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Vedere

L’occhio e lo spirito
(L’Œil  et l’Esprit [1960], Gallimard, Paris 1964)
di Maurice Merleau-Ponty
Trad. di Anna Sordini
Postfazione di Claude Lefort
SE, Milano 1989
Pagine 75

Che cosa significa vedere? In che cosa consiste il mondo di colori, forme, strutture che si impone appena apriamo gli occhi? L’arte, e in specie la pittura, descrivono il reale oppure lo producono? Quali saperi sono più adatti a comprendere la relazione  che intercorre tra i sensi, il cervello e l’essere? Le scienze dure manipolano il reale e rinunciano ad abitarlo, afferma Merleau-Ponty, poiché prendono in considerazione soltanto le componenti quantitative che esse stesse hanno elaborato in modo che possano essere registrate dagli apparati di cui si servono. Vale anche per esse il principio fenomenologico fondamentale secondo cui noi «vediamo solamente quel che guardiamo» (p. 17). La fenomenologia è anche un tentativo di guardare l’esterno della materia e l’interno della coscienza non come contrapposte ma in quanto generate entrambe dalla stessa matrice, che è il corpo isotropo. Il movimento di ciascuno, infatti, «è il proseguimento naturale e la maturazione di una visione» (18), la quale si struttura come un cerchio il cui centro è la materia consapevole di esistere -il corpo, appunto- e le cui onde sono la penna e il computer, il sole e le stelle, le montagne e le case, tutto ciò che la visione tocca e che noi stessi diventiamo nel tocco della visione. Vedere è dunque «la metamorfosi delle cose stesse nella loro visione», è «la doppia appartenenza delle cose al grande mondo e a un piccolo mondo privato» (31).
Per questo, secondo Merleau-Ponty, ogni teoria della pittura è sempre anche una metafisica della visione e dipingere significa comprendere in atto che «qualità, luce, colore, profondità, che sono laggiù davanti a noi, sono là soltanto perché risvegliano un’eco nel nostro corpo, perché esso li accolga» (20). È dal corpo quindi che si genera il mondo reale, inteso come mondo percepito, sentito, compreso e vissuto. In quanto si muove e vede, vede e si muove, il corpo

tiene le cose in cerchio intorno a sé, le cose sono un suo annesso o un suo prolungamento, sono incrostate nella sua carne, fanno parte della sua piena definizione, e il mondo è fatto della medesima stoffa del corpo. (19)

Al di là di soggettivismi e oggettivismi, di idealismi e di realismi vecchi e nuovi, una fenomenologia corporea  ci aiuta a penetrare nell’enigma della visione, dello spazio, della pittura, la quale non è cartesianamente disegno ma è quell’«indeciso mormorio dei colori» che ci mostra «cose, foreste, tempeste, insomma il mondo» (33).
Ultimo scritto di Merleau-Ponty -redatto in Provenza nell’estate del 1960, nel paesaggio abitato da Cézanne-, L’Œil  et l’Esprit, l’occhio e la mente, «facendo vedere con delle parole» (Lefort, p. 75) restituisce al linguaggio la sua natura ontologica e all’essere delle cose la loro scaturigine dalla materia che parla, dal corpo che vede e che guarda.

2 commenti

  • Biuso

    Giugno 3, 2012

    Caro Diego, in effetti “vedere” e “guardare” in greco si esprimono con θεωρέω. “Teoria” è dunque saper vedere, fare del corpomente il luogo in cui il mondo si comprende.
    Hai colto dunque assai bene la centralità del vedere nella mia riflessione. Grazie per questo.

  • diego b

    Giugno 2, 2012

    caro alberto, la visione è un tuo tema «classico»

    una piccola curiosità di personale biografia culturale:
    le prime tue parole che ho letto, l’inizio di un percorso che mi ha portato a leggere tutti i tuoi libri, le ho lette in una tua recensione su «sitosophia» del testo «i colori della luna di paola bressan»

    per me quindi il tema della visione è appunto come un basso continuo nella trama melodica del tuo pensiero

    scusa l’autobiografismo, ma ad un lettore assiduo lo puoi concedere…

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