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Al di là del Nord, dei ghiacci, della morte – la nostra vita, la nostra felicità…Noi abbiamo scoperto la felicità, noi conosciamo la via, noi trovammo l’uscita da interi millenni di labirinto.

— Friedrich Nietzsche, L’Anticristo, Adelphi, § 1, p. 168

La linea d’ombra

Joseph Conrad
La linea d’ombra. Una confessione
(The Shadow Line, 1917)
Trad. di Gianni Celati
Mondadori-Bibliotext, Milano-Barcellona 2002
Pagine 159

La linea d’ombra oltre la giovinezza. Il tempo, gli eventi, l’occasione che allontanano un umano dalla sua inquieta lievità di ragazzo per regalargli il dolore del mondo, la sua complessità, l’enigma.
Dopo aver lasciato la nave sulla quale come ufficiale si era trovato benissimo – ma che non gli dava più soddisfazione – il protagonista decide di tornare in patria. Nell’attesa, riceve l’imprevedibile proposta di diventare lui il capitano di una nave. Non ci aveva mai pensato, neanche lo immaginava, ma quando esce dall’ufficio nel quale ha firmato il contratto con gli armatori e con la capitaneria di porto descrive se stesso con azioni e pensieri che possono essere nominati tramite una sola parola: gioia.
Dalla sensazione provata poche ore prima – l’«oscuro sentimento della vita come uno spreco di giorni» (p. 34) – transita alla «potente magia» del comando di una nave (41). Primo comando era infatti il titolo con il quale Conrad aveva in un primo tempo immaginato questo suo romanzo. La gioia, quindi, la gioia che lo conduce a «fluttuare» per le scale, a continuare a fluttuare per la strada, in un «profondo distacco da tutte le forme e i colori di questo mondo. Distacco che era, per così dire, assoluto» (49). Indifferenza a tutto il resto, esultanza, attesa di una nuova vita, sono i sentimenti che lo invadono.
Accetta dunque con slancio la proposta di raggiungere la sera stessa la nave che gli era stata assegnata e che era ancorata, dopo la morte del precedente capitano, in un altro porto. Il narratore vive «un momento delizioso e unico» nel pensare «una nave! La mia nave!», provando «un tal sentimento d’intensità dell’esistenza» (55) da poter essere indicato con una parola non inglese, non italiana, con la parola di una lingua apparentemente morta e invece vivissima: καιρός, la pienezza dell’istante nel quale l’eterno sembra condensarsi; parola che la teologia paolina e cristiana ha tradotto con Grazia.
Ma la grazia viene dopo il peccato, la grazia redime dal peccato. Qui essa è arrivata invece prima. Non un peccato morale, naturalmente, ma un destino è quello che accoglie il da poco nominato capitano. Il destino di una nave in ottime condizioni, con un equipaggio disciplinato, attento e competente. Con un cambusiere/cuoco eccellente e con il solo primo ufficiale a compensare tutto questo con la stranezza di una sua irrazionale convinzione, quella che il precedente capitano fosse un individuo malvagio dalla testa ai piedi e che avrebbe cercato di danneggiare in tutti i modi la nave e i marinai anche da morto.
Il nuovo capitano non crede, giustamente, a simili fantasie, davanti alle quali dice a se stesso e riferendosi al primo ufficiale che «perfino sul mare, un uomo poteva cadere in preda agli spiriti del male» (79). Quegli spiriti, quella casualità, quella necessità che dopo l’uscita della nave in mare aperto la fermano a lungo, vittima delle «potenze malefiche della bonaccia e della pestilenza» (108). Potenze che sembrano far andare l’imbarcazione alla deriva nella calma più assoluta dei venti e nella impossibilità di curare l’equipaggio con il chinino, che qualcuno prima della partenza aveva sottratto, mantenendo apparentemente intatte le confezioni.
Nessun alito di vento, il mare diventato solido, lo spuntare del sole e il suo tramontare come un meccanismo tanto regolare quanto insensato, le stelle sempre uguali, sempre uguale un’isola del vasto arcipelago dalla quale la nave è incapace di allontanarsi.  Sembra davvero impossibile sottrarsi «alla tremenda impressione» di «un’atmosfera avvelenata» (105), dentro la quale «ognuno era solo là ove si trovava» (136).
Il capitano aveva già imparato, delle tante cose che deve apprendere un uomo, «che l’umana natura non sia cosa bellissima sotto tutti gli aspetti» (37). Ma ora il trascorrere di giorni che non trascorrono, le notti afose nel buio più profondo, l’essere lui e i suoi uomini immersi in una potenza inscalfibile e oggettiva fatta di «stelle, sole, mare, luce, oscurità, spazio, vaste acque», rende palese, rende chiaro, rende evidente che dentro «l’opera formidabile della Creazione sembra che l’umanità sia capitata per sbaglio, non desiderata. Oppure caduta in trappola» (118), precipitata nel cuore di tenebra dell’esistenza.
Come Hearth of Darkness, anche The Shadow Line è una meditazione che scaturisce dall’interno del mondo e del pensiero, sgorga dalla potenza esplicativa della Gnosi, si genera dalla conoscenza che guarda il mare di tenebra, la Medusa, ma non se ne fa pietrificare. Si trasforma invece in parola che salva, in Λόγος.

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