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Un’ermeneutica della finitudine

Stefano Piazzese
Ermeneutica della finitudine
La filosofia di Alberto Giovanni Biuso
in Dialoghi Mediterranei
n. 60, marzo-aprile 2023
pagine 583-590

Indice
-Ermeneutica filosofica
-Essere è tempo
-La verità
-La differenza
-Corpo e storia
-Finitudine
-Teologia e semantica

«In Biuso l’ermeneutica è un tentativo umano di comprendere il mondo e la vita a partire dalla dimensione temporale, al di fuori della quale nessun ente può apparire – ad parere, esser manifesto, ergersi allo sguardo altrui, presentificarsi, farsi vedere –, e dove Gegenstand e Bedeutung, dato e significato, diventano i costrutti fenomenologici e teoretici che hanno luogo nella condizione trascendentale di tutto ciò che appare, ovvero il tempo».
Ringrazio Stefano Piazzese per questo percorso dentro i miei libri a partire dal dispositivo ermeneutico. I titoli con i quali l’autore ha scandito il testo credo che descrivano con efficacia alcuni degli elementi più costanti del mio tentativo di pensiero.

Il corpo nello spazio

Carlo Traini. Il corpo nello spazio
in Gente di Fotografia. Rivista di cultura fotografica e immagini
anno XXIX – numero 80 – marzo 2023
pagine 62-67

‘Fèrmati dunque, sei così bello!’ sembra dire Carlo Traini al corpo umano. Corpo non sempre bello, anzi a volte sgraziato, obeso, anziano. Più spesso, certo, è un corpo giovane, muscoloso, desiderabile, forte. In ogni caso il fotografo lo osserva a lungo e con cura e poi lo ferma nell’istante in cui il corpo parla senza bisogno di proferire parola. A esprimersi è infatti il dinamismo dei corpi, il loro muoversi rapido nello spazio, il loro capovolgersi in verticale scattanti o in attesa di un pallone che arriva dal cielo, nelle capriole dentro le onde del mare, scrutando l’orizzonte nella luce, persino in un abbraccio sulla sdraio che sembra disegnare un ibrido, un androgino dalla testa di maschio e dal flessuoso e attraente corpo di femmina.
Un gesto d’intelligenza del fotografo è aver tradotto tutto questo in un limpido bianco e nero che ha depurato i corpi dall’eccesso di luce dell’estate, mantenendo in questo modo l’εἶδος, la loro essenza.

Il corpo, la guerra

Mito e guerra in James Hillman
in Dialoghi Mediterranei
n. 59, gennaio-febbraio 2023
pagine 46-52

Indice
-Il mito
-La salute
-L’angoscia
-La guerra
-Pan

Il significato, la funzione, le strutture del mito affondano nella vita quotidiana degli umani, nelle loro speranze più intime, nelle angosce più fonde, nei pensieri del corpo. E dato che il corpo esiste sino a che siamo vivi, il mito è consustanziale all’esserci, diventa un archetipo la cui fecondità è perenne. Il mito greco è il luogo in cui l’immaginale costruisce la propria tela di significati, dove la caverna è sempre aperta, dove dell’orrore si dà conto.
Opposta alla salute ma sua costante compagna è l’angoscia, la quale non costituisce una semplice tonalità emotiva o uno stato temporaneo di alterazione. L’angoscia è ciò che intesse la vita degli umani poiché essa è l’espressione psicologica della Necessità e del Tempo. Mito, angoscia, salute si coniugano in due figure ambivalenti e ambigue, opposte ma penetranti l’una nell’altra: il Senex e il Puer.
Queste dinamiche contribuiscono a meglio comprendere e a spiegare un fatto, una catastrofe, una potenza antica dentro la quale l’umano abita e si perde: la guerra. Il tentativo di Hillman è consistito anche nel coniugare guerra, mito e psiche; di penetrare dentro la guerra, la sua disumanità così umana, il suo fascino costante e sinistro, il suo dominio nella storia. Pensare la guerra per capirla e quindi in qualche modo fronteggiarla. Una vera scienza della guerra non può limitarsi alla storia, alla sociologia, alla psicologia, alla tattica e alla strategia, non può limitarsi all’apparente razionalità delle sue cause, delle forme e degli scopi ma deve cogliere la natura inumana del massacro, le forze profonde che spingono l’essere vivente e razionale a intraprendere la distruzione di ogni cosa e di se stesso.
Una via d’uscita dalla catastrofe è per Hillman il mito politeistico, con le sue figure. In particolare Pan, il quale tiene ancora unita l’identità molteplice del politeismo mentre l’imporsi dei tre grandi monoteismi ha impoverito il mondo della sua strepitosa e costitutiva varietà, ha fatto vincere la coscienza egoica di un soggetto monocorde e senza (apparenti) contraddizioni. Ma il riemergere inevitabile della differenza produce schizofrenie, isterismi, paranoie ben più gravi di quelle che pure il corpo panico di per sé possiede, delle quali è fatto.
La natura più fonda di Pan è costituita dall’al di là dell’Eros, poiché il panico – il terrore della fuga e del polemos – precede l’Eros in ogni sua forma: greca, cristiana, romantica. Con estrema chiarezza, Hillman mormora che «la lotta tra Eros e Pan, e la vittoria di Eros, continuano ad umiliare Pan ogni volta che diciamo che lo stupro è inferiore al rapporto, la masturbazione inferiore alla copula, l’amore migliore della paura, il capro più brutto della lepre» (Saggio su Pan).
E poiché il corpo è l’intrascendibile – nonostante ogni sforzo di negazione attuato dalle religioni ascetiche e dai progetti di un’Intelligenza Artificiale disincarnata –, alla fine esso vince. Sempre.

Distanza

Prefazione a:
Guida filosofica alla sopravvivenza
di Davide Miccione
Algra Editore 2022, pp. 132
Pagine 9-12

Gli oggetti, la distanza, la malattia, la tecnica, il corpo, lo spazio, il tempo, la dissoluzione.
È di questi temi che Davide Miccione parla nella forma di una Guida al respiro del presente, alla sua fatica, al suo masochismo travestito da edonismo, al suo provincialismo globalizzato. Si tratta di un filosofo che esercita il diritto e assai più il dovere di pensare, di tenersi nella forza e nel dolore del pensiero di fronte a qualcosa che ha un’evidenza così accecante da trasformare l’accadere a tutti familiare – il nostro esistere, adesso – in una oscurità quasi incomprensibile. Perché è difficile capire l’insensato. Ma è il nostro compito, a qualunque costo.
Miccione descrive con intelligenza e ironia (sono la stessa cosa) la dissoluzione, l’impulso alla distruzione, il Paese dei balocchi che non ci trasforma – tutti: studenti, professori e cittadini – in ciuchi ma in burattini che qualunque autorità è pronta a utilizzare per i propri obiettivi salutistici, moralistici, solidaristici, valoriali, santi. Ma per tutti – studenti, professori, cittadini e autorità – l’esistenza rimane attrito, dramma, travaglio del negativo. Questa Guida è una apologia del conflitto, delle difficoltà che l’esistere comporta, della fatica quotidiana necessaria per rimanere liberi, critici, pensanti.

Platone, il pugile

Simone Regazzoni
La palestra di Platone
Filosofia come allenamento
Ponte alle Grazie, Milano 2020
Pagine 204

Aristocle era il nome di un giovane ateniese del V-IV secolo membro di una delle famiglie più potenti della città, dotato di una intelligenza profonda e ramificata, fisicamente assai prestante, tanto da vincere gare di lotta nei giochi istmici (e forse anche olimpici), proprietario di una palestra frequentata da giovani, ragazze, schiavi.
Il nome con il quale quest’uomo è diventato famoso è però Platone. Soprannome che gli venne dato da Aristone, suo maestro di lotta, proprio per la sua complessione fisica, per il suo vigore di atleta. È deviante ed equivoca, dunque, la rappresentazione che di questo filosofo diede Raffaello nel suo pur magnifico affresco della Scuola di Atene. L’uomo raffigurato al centro della composizione è Leonardo da Vinci. Una realistica testimonianza della figura di Platone è invece l’erma del 125 che si trova a Berkeley, la quale rappresenta appunto un atleta con la tipica fascia nei capelli; postura confermata dal bellissimo busto del I secolo che si trova nel Museo archeologico nazionale di Napoli (immagine di apertura).
Quest’uomo non avrebbe dunque mai potuto disprezzare il corpo e fondare una metafisica dualistica. Elementi questi che sono presenti in Plotino e nel neoplatonismo ma non in Platone. Basta leggere i dialoghi per rendersene conto, con l’eccezione del Fedone, che si spiega anche con gli specifici obiettivi di quel testo, con la sua volontà di considerare ancora e sempre vivo il maestro Socrate.
In realtà, «l’attenzione per il corpo da parte di Platone è totale» (p. 94) ed emerge in una molteplicità di espressioni e forme. Tra queste la vicenda biografica di un filosofo che fu appunto atleta e lottatore, forse anche di pancrazio, la lotta cruenta, senza esclusione di colpi. E poi soprattutto una concezione della filosofia come ‘corpo a corpo’, colpi che si danno e colpi che si ricevono, competizione costante e lotta all’ultima verità. L’unità corpomentale è così profonda da rendere «impossibile pensare la filosofia platonica senza pensare la lotta: si pensano e si praticano l’una attraverso l’altra» (52-53); ἄσκησις è un termine greco che è venuto a connotare l’ascesi come rinuncia ma esso significa anche e soprattutto esercizio, allenamento fisico in vista di un risultato, di una vittoria; ascesi significa mettere alla prova se stessi, vuol dire esistenza impegnata nella lotta. La dialettica è questo, è un esercizio continuo del corpomente, un allenamento alla vita, un «dare forma alla vita, è una forma di vita» (84).
Vita che sempre e ovunque, e dunque anche negli umani, è rapporto e confronto quotidiano con il buio che siamo, con l’aggressività che ci pervade e ci difende, con la violenza intrinseca al vivente. La lotta della quale Platone fu un maestro, la lotta fisica, è segnale e forma di questo confronto e di una tensione rivolta a utilizzare la forza senza però distruggere, volta a dare una forma al male. La lotta è, nella sua radice profonda, un confronto non con altri umani ma una relazione con la morte, con il limite ultimo che ci costituisce. «Si tratta di rendere più potente, più intensa, più affermativa la vita in un confronto continuo con la morte» (67). Confronto che pervade anche e soprattutto il Fedone. Quella filosofica è «una vita che fa corpo, fin dentro la morte, con la filosofia» (187).
L’altro filosofo che concepisce l’esistenza sempre come Strebung, sforzo, aspirazione, lotta, corporeità, è Friedrich Nietzsche, che infatti viene citato assai di frequente e con ammirazione da Regazzoni in questo libro originale anche perché chiaramente tendenzioso nell’attribuire a Platone e ai Greci una centralità della ‘palestra’ che mi sembra fortemente contemporanea. In ogni caso, la lotta platonica e la corporeità nietzscheana costituiscono anche direzioni e itinerari volti a comprendere davvero ciò che siamo, a «divenire animale», a esercitare il «pensiero animale», come recitano i titoli dei capitoli 26 e 27 del libro. Lo Übermensch, «l’oltre-umano [va] inteso come divenire animale» (167), quell’«animale che siamo» (19) poiché l’animalità è l’evidenza del corpo e del tempo, della corporeità temporale che ci costituisce.
L’animale è flusso, è differenza, ed è semplicemente corpo. L’animale può davvero dire «Leib bin ich ganz und gar, und Nichts ausserdem; ‘Corpo io sono in tutto e per tutto e nient’altro’» (Also sprach Zarathustra, I parte, “Von den Verächtern des Leibes” – “Dei dispregiatori del corpo”).
L’animalità è a sua volta parte dell’intero, della materia, dell’inorganico di cui la vita organica rappresenta soltanto una ramificazione, «una varietà dell’inanimato e una varietà alquanto rara», come afferma ancora una volta Nietzsche  (La gaia scienza, af. 109) e come emerge dalle parole belle e vere di Roger Caillois, ricordate da Regazzoni: «Parlo delle pietre che c’erano prima della vita e che restano dopo di essa sui pianeti raffreddati. Parlo delle pietre  che non devono neanche attendere la morte e che non hanno null’altro da fare che lasciarsi scivolare su di sé la sabbia, la pioggia o la risacca, la tempesta, il tempo» (Pietre, a cura di G. Zuccarino, Graphos 1988, p. 9).
Non stupisce dunque che il pensiero platonico possa essere riletto nella direzione di una metafisica della materia, per la quale le forme ideali sono inseparabili dalle forme dei corpi.

[Devo la lettura di questo libro alla segnalazione del mio allievo Marco Iuliano, che ringrazio]

«Il corpo è una grande ragione»

Venerdì 16 settembre nel Parco Archeologico di Giardini-Naxos dalle 16.30 si terrà un pomeriggio di riflessione sul tema della corporeità nell’ambito delle iniziative di «Naxoslegge». L’evento ha come titolo Scritto sul corpo.
La prima conversazione si svolgerà con Danilo Breschi sul tema del Corpo elettrico.
La seconda consisterà in una passeggiata archeo-filosofica condotta da me. Il titolo è «Corpo io sono in tutto e per tutto», un’affermazione che si legge nella I parte di Also sprach Zarathustra: «Leib bin ich ganz und gar, und Nichts ausserdem». Nella traduzione di Mazzino Montinari: «Corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro». Nietzsche continua scrivendo che «il corpo è una grande ragione. […] Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto –che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo» («Opere», Adelphi, vol. VI/1, I parte, “Von den Verächtern des Leibes” – “Dei dispregiatori del corpo”, p. 34).

L’essere umano è assai più che un Körperhaben, l’avere un corpo, e diventa un Leibsein, l’essere una corporeità situata in un ambiente anche culturale e sociale. Il corpo è  una struttura isotropa, dalla quale inizia e si espande l’intero mondo della persona.
-Il corpo è corporeità vivente nel tempo e abitante un mondo.
-Il corpo è il nodo ontologico nel quale si raccolgono il mondo, il tempo e l’intenzionalità dei significati.
-Il corpo è un insieme di strutture materiali e nello stesso tempo è una regione semantica.
Il corpo è quindi l’elemento percettivo, fenomenologico, precategoriale e primario da cui tutto nasce, del quale è intessuta ogni esperienza e nella cui dissoluzione finiscono per l’individuo il tempo, il bios e, con essi, ogni possibile significato.
Anche per questo l’umano è una macchina naturale che si articola in tre espressioni principali.
Siamo corpi comprendenti e quindi semantici
Siamo corpi intramati di desideri
Siamo corpi pulsanti nel tempo e di tempo intessuti.

Storia del corpo

Recensione a:
Maria Teresa Catena
Breve storia del corpo
Mimesis, 2020
Pagine 201
in Scienza & Filosofia
numero 27 / giugno 2022
Pagine 404-407

Complessa è la vicenda del corpo nella storia. Di essa Maria Teresa Catena formula una sintesi illuminante a partire dai concetti e dalle pratiche del corpo presente e del corpo assente. Due paradigmi che nel corso del tempo si susseguono, si intrecciano, si separano, si trasformano. Anche Platone, il troppo frainteso Platone, pur privilegiando in alcuni dialoghi e momenti la ψυχή non ha mail ritenuto il σῶμα un elemento di perdizione e anzi nel Timeo lo pone al centro dell’armonia individuale e cosmica. Il ‘dualismo’ platonico è in gran parte presunto ed è invece assai più reale il dualismo cartesiano e post-cartesiano che mostra ancor oggi tutta la sua forza ermeneutica e prassica nel corpo assente delle correnti e posizioni estropiane e transumanistiche che pervadono anche alcuni sviluppi dell’Intelligenza Artificiale e del variegato arcipelago delle tecnologie virtuali. Le quali sembrano volersi sbarazzare di insegnamenti diversi tra loro ma fondamentali quali il naturalismo darwiniano, la fedeltà nietzscheana ai corpi e alla terra, la fenomenologia della chair di Merleau-Ponty, tutte espressioni del corpo immanente che siamo, che l’animalità è. Perché la corporeità umana è la storia, il corpo è la vita.

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