Skip to content


Panteismo e storia

Antichità e natura in Goethe
Recensione a:
Ricordati di vivere. Goethe e la tradizione degli esercizi spirituali
di Pierre Hadot
in Vita pensata
anno XV, n. 32, maggio 2025
pagine 144-146

Antichità e natura sono i due poli e le due luci che guidano Goethe nella sua vita e nel suo creare. Entrambe, antichità e natura, sono oggettive, antropodecentriche, pervase da una distanza dal dolore e da un coinvolgimento nel dolore la cui dinamica plasma la loro identità. In natura la gran parte della materia non prova alcuna sofferenza, anche quando subisce condizioni e forze estreme. Soltanto una piccola parte di essa, la materia biologica, la materia cellulare, è sensibile al dolore. Ma si tratta di un accidente rispetto alla perfezione delle leggi che guidano l’energia del cosmo. 

Il sospetto

Friedrich Dürrenmatt
Il sospetto
(Der Verdacht, 1953)
In «Romanzi e racconti», a cura di Eugenio Bernardi
Traduzione di Enrico Filippini
Einaudi-Gallimard, Torino 1993
Pagine 93-189

Nell’autunno del 1948 il commissario Bärlach e il suo amico Dottor Hungertobel osservano su un numero di Life la foto di un medico nazionalsocialista che operava senza narcosi i prigionieri del lager di Stutthof.
Hungertobel impallidisce perché gli sembra di riconoscere un collega che ha studiato con lui, ma subito distoglie il sospetto che invece per Bärlach, e in base ai racconti dell’amico, diventa sempre più plausibile. Per verificare la giustezza o meno di questa improbabile ipotesi, il commissario si fa trasferire nella lussuosa clinica di Zurigo dove il collega di Hungertobel adesso lavora. Il suo nome è Emmenberger, anche lui di Berna, come Bärlach. Nel tentativo di confermare il proprio sospetto, tuttavia, il commissario osa troppo e il soggiorno nella lussuosa clinica Sonnenstein diventa sempre più inquietante, sino a esiti imprevisti.
Questa drammatica, tesa, dolorosa trama fa da occasione per una riflessione tragica e implacabile sugli uomini e sulla storia, sul potere che protegge i criminali, i grandi criminali, su «questo pianeta maledetto da dio» (p. 116), su «un dio che è capace di infliggere le pene dell’inferno» (115), sulla vana speranza che il sadismo della specie e della vita possa essere fermato, sui «vagabondaggi attraverso il mare insanguinato dell’assurdo di quest’epoca» (121) ma in realtà di tutte le epoche, sulla fede che la giustizia abbia sempre senso e però sulla constatazione che, sconfitto in un luogo e in un tempo, il male possa «ricomparire come una lebbra altrove, con altri torturatori e sotto altri sistemi politici, per riemergere dalla profondità dell’istinto umano» (122).
Così infatti, con queste ultime esatte parole, si potrebbe descrivere ciò che i torturatori di ieri sono diventati nell’inesorabile sadismo di chi ritiene sia giusto, equo, dovuto, far morire di bombe, di proiettili e di fame i palestinesi nella ‘Terra promessa’. Il male riemerge nella desolazione delle vittime palestinesi che probabilmente non avranno un narratore della loro tragedia capace come Dürrenmatt di trasformarli in un simbolo della sofferenza universale.
Vediamo infatti, in un crescendo di angustia e di orrore, il commissario trasformarsi da «malato impenetrabile come la statua di un idolo […] che ora tesseva impassibile la sua tela come un ragno gigantesco» (132), trasformarsi in un povero scheletrico corpo, un corpo prigioniero e alla mercé di un uomo crudele e convinto della legittimità della propria ferocia, delle torture che ha inferto e che infligge.
La fiducia di Bärlach nella «lotta contro la stupidità e contro l’egoismo degli uomini» (136) vacilla di fronte al gelo, alla potenza e alla determinazione del medico delle SS Emmenberger, l’uomo-inferno, l’«alito del nulla» (141), l’emblema del potere che si fa legge a se stesso e agli altri.
Emmenberger è – alla fine – soltanto figura di «un universo spaventoso di vuoto, spaventoso di pienezza, una dissipazione senza senso» (159). Sarebbe già una grazia, e una luce, poter «uscire dal nulla e vivere» (162), una grazia che i nati gettati nell’esistenza e dunque nel nulla non potranno ricevere, gustare, godere.
Il nulla sembra il vero argomento di questo giallo ancora una volta finto, che invece è una meditazione metafisica nella quale il personaggio che incarna il Male pronuncia parole di grande saggezza e sapienza, salvo poi precipitare nel banale baratro di deduzioni insane e folli.
Emmenberger afferma infatti di credere

nella materia, che è contemporaneamente forza e massa, un tutto non rappresentabile e insieme una sfera che si può delimitare, che si può toccare come la palla con cui giuoca un bambino, la palla su cui viviamo e sulla quale corriamo attraverso il vuoto assurdo dello spazio; credo in una materia (com’è meschino e vuoto dire, invece: credo in un dio!), che è tangibile sotto forma di animale, di pianta, di carbone, e inafferrabile, imprevedibile sotto forma di atomo, una materia che non ha bisogno di alcun dio, né di qualcosa del genere, e il cui unico incomprensibile mistero è l’essere. E credo di essere una parte di questa materia, atomo, forza, massa, molecola (179).

Da questa lucida metafisica di impianto democriteo e spinoziano il medico conclude però scioccamente e contraddittoriamente che la sua esistenza come parte della materia infinita gli «dia il diritto di fare ciò che voglio» (Ibidem).
Il vero crimine che genera tutti gli altri, che produce le azioni di Emmenberger, sta in tale immotivata e del tutto contraddittoria deduzione, che dall’essere parte profonda e partecipe di un intero si fa poi separazione, diventa una volontà piccola e malvagia (ma potrebbe essere anche ‘buona’, metafisicamente non fa differenza) solo allo scopo di giustificare e legittimare la propria malattia esistenziale, il proprio essere insano, alla fine la propria certezza che non ha più nulla di ideologico e molto invece di demente.
La narrativa di Dürrenmatt racconta in ogni sua opera tale demenza al modo di una malattia orribile e sacra. 

Versione in pdf

Sarah Dierna su Logos

Sarah Dierna
La letteratura è anche sempre filosofia
Recensione a:
Logos. Scritti di estetica e letteratura
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
22 aprile 2025
pagine 1-6

«Che si tratti di una coniugazione voluta come nella narrativa di Leonardo Sciascia o spontanea come nella potenza letteraria di Borges e Dürrenmatt; che sia l’esito di un’ermeneutica letteraria come accade nel critico Giuseppe Savoca; che avvenga nella forma poetica di Eugenio Mazzarella o alla maniera barocca di Carlo Emilio Gadda, la letteratura è sempre anche filosofia. L’ultimo libro di Alberto Giovanni Biuso, Logos. Scritti di estetica e letteratura, fa trasparire tale connubio a ogni pagina, capitolo e sezione che compone questo ampio volume il quale prosegue, per forma, intenti e disposizione, Chronos. Scritti di storia della filosofia, uscito per la stessa collana di Mimesis nel 2023.
Mentre quest’ultimo testo ha fatto emergere, sia pur in modo variegato e non sempre manifesto, i dispositivi dell’essere, del tempo e della materia che guidano il pensare filosofico dell’autore, gli scritti di estetica, di letteratura e di arti visuali toccano con disincanto e delicatezza la dimensione profonda dell’umano: gli archetipi della guerra e del viaggio, le passioni che lo sconvolgono – prima fra tutte l’amore – la costitutiva solitudine e, sopra ogni cosa, il trionfo della morte. […]
L’espressione letteraria così come la forza delle immagini – a cui l’autore dedica una sezione visuale – possiedono una potenza evocativa, una capacità comunicativa che rendono anche molte manifestazioni artistiche dei capolavori filosofici attraverso i quali è possibile portare ‘a evidenza, comprensione e dolore ciò che di più radicale gorgoglia nelle vite’; se c’è una differenza rispetto alla scrittura filosofica più stringente e teoretica, essa risiede nel fatto che nella poesia, nella letteratura e nelle arti visuali ‘è il mondo stesso che prende la parola, che si fa parola’ per mezzo di un linguaggio in cui la forma lirica e narrativa fa ‘in modo che dei corpimente possano comprendere’ così da trasformare il fango dell’esistenza nell’oro della conoscenza che riscatta la vita investendola di una luce che non cancella il principio dionisiaco del mondo ma impara ad accoglierne la necessità e a esprimerla mediante la forma e l’equilibrio pacato di Apollo».

Europa e metafisica

Europa e metafisica
in EuRoad. Percorsi della cultura europea tra filosofia e scienza
a cura di Corrado Giarratana
Rubettino, Soveria Mannelli 2025
Pagine 43-58

Indice
-Breve premessa cosmologica
-Che cos’è metafisica?
-Una metafisica cosmologica e materialistica
-Metafisica e ontologia
-Una metafisica temporale

Le culture umane, la presenza stessa dell’umano e della vita sul nostro pianeta, sono naturalmente fenomeni e realtà del tutto effimere, di nessun peso nel volgere infinito ed eterno delle galassie, dell’energia instancabile della materia. Ma se vogliamo occuparcene, come Platone ci suggerisce nonostante egli pienamente ammetta tale insignificanza – «ἔστι δὴτοίνυν τὰ τῶν ἀνθρώπων πράγματα μεγάλης μὲν σπουδῆς οὐκ ἄξια, ἀναγκαῖόν γε μὴνσπουδάζειν: τοῦτο δὲ οὐκ εὐτυχές. […] ἄνθρωπον δέ, ὅπερ εἴπομεν ἔμπροσθεν, θεοῦ τιπαίγνιον εἶναι μεμηχανημένον. È vero che le vicende umane non meritano che ci si interessi molto di loro, bisogna però occuparsene, per quanto la cosa possa risultare ingrata. […] L’umano, come dicevamo prima, è soltanto un giocattolo fabbricato dagli dèi» (Leggi, 803 b-c). – allora ha senso cercare di cogliere identità e differenze tra le varie epoche e luoghi nei quali l’umanità sparge la propria presenza e scandisce il proprio tempo.
Uno di questi luoghi è l’Europa. Che cosa significa Europa? Che cosa vuol dire essere europei? Le risposte possibili sono ovviamente numerose, ricche e plausibili. In questo saggio ne propongo una molto semplice: l’Europa è lo spazio della metafisica, intesa quale scienza capace di cogliere, analizzare e descrivere l’essere come tempo e μεταβολή. A uno sguardo attento alla storia della filosofia, alle sue domande, alle sue grandi articolazioni, appare infatti chiaro che uno dei fondamenti del pensiero europeo è proprio il divenire come identità di realtà e metamorfosi, di essere e tempo, come struttura che si trasforma di continuo senza dissolversi mai.

*********************

In questo volume sono stati pubblicati i saggi di alcuni miei allievi che hanno partecipato al progetto di ricerca del quale il libro è uno dei risultati:

-Daria Baglieri, Lebenswelt, corpo, intersoggettività. La rifondazione husserliana dell’Idea di scienza nella correlazione Io-mondo

-Sarah Dierna, Destinati a finire. Sull’estinzione del genere umano

-Lucrezia Fava, Paradigmi dell’amore nella tradizione filosofica

-Enrico Moncado, Presenza, crisi della presenza e forme del trascendimento in De Martino e Heidegger 

-Enrico Palma, Kafka e il sacro. Riflessioni a partire dai Quaderni in ottavo

 

Federico Nicolosi su Chronos

Federico Nicolosi
Essere, tempo, materia
Recensione a Chronos. Scritti di storia della filosofia
in Dialoghi Mediterranei
n. 71, gennaio-febbraio 2025
pagine 538-542

«Il cammino di quest’opera, che in certo qual modo ingloba e supera i precedenti lavori Temporalità e differenza e Tempo e materia, collocandosi sulla medesima scia di ricerca da essi inaugurata, si dispiega in una metafisica dell’immanenza drasticamente materialista e disincantata, la quale affonda le proprie radici nel gioco dialettico che mette perpetuamente in relazione tra loro l’Identità e la Differenza, l’essere e l’ente, la Zoè della materia organica e il Bìos che l’uomo è, il tempo cosmico e la temporalità dell’esserci umano. […]
Tutto ciò, sovente in maniera esplicita e altre volte più velatamente, filtra da ogni pagina di Chronos, che di questa tesi di fondo – ovvero, di oltre venti anni di ricerche – è il coronamento e forse la realizzazione migliore; un quadro unico e molteplice capace di compendiare con tagliente schiettezza e con finezza talora quasi poetante l’intero sistema filosofico di Alberto Giovanni Biuso o, come sopra mi è piaciuto chiamarlo, il suo cammino verso il Tempo, dal Tempo, nel Tempo».

In apertura il fotomosaico (realizzato dal telescopio spaziale Hubble) della Galassia di Andromeda (M31), la più vicina alla nostra (dista 2,5 milioni di anni luce) e a essa molto simile. M31 si compone di circa mille miliardi di stelle. Quelle che si vedono nell’immagine sono soltanto una piccola frazione. Le immagini in basso sono un ingrandimento di alcune sezioni della foto principale, con la relativa descrizione.
Utilizzo immagini astronomiche per illustrare le pagine di questo sito, in particolare di quelle che parlano dei miei libri, poiché in essi, soprattutto nella tetralogia dedicata al tempo ma anche in Chronos, uno dei concetti fondamentali è l’antropodecentrismo. Concetto e realtà che ha nella immensità del cosmo – per la nostra mente di fatto inimmaginabile – una delle sue prove più semplici e più evidenti. Platone si chiede (Repubblica, VI 486a) quanto possa essere e apparire μέγα τὸν ἀνθρώπινον βίον (grande la vita degli umani) di fronte alla potenza senza pari dell’essere e del tempo. E risponde che essa non può che apparire vicina al nulla. Ecco: sta qui, esattamente in questo, l’identità della filosofia e della sua storia. Sta in questo sguardo rivolto alla ζωή dalla prospettiva della Φύσις, dalla prospettiva del Cosmo, dell’Intero.

Federico Nicolosi su Tempo e materia

Federico Nicolosi
Recensione a Tempo e materia. Una metafisica
il Pequod, anno V, n. 10, dicembre 2024
Pagine 137-142

«La metafisica di Biuso, radicalmente materialistica e antropodecentrica, si propone così di ‘comprendere ciò che siamo dentro l’intero che noi non siamo’, non subordinando solipsisticamente l’essere (existentia) degli enti al loro mero esser-conosciuti da un umano, bensì al contrario sforzandosi di comprenderli nella struttura diveniente e pur immutabile da cui di volta in volta si staccano rendendosi accessibili a un corpomente conoscente.
Questa struttura si chiama Tempo, o parimenti (e forse più correttamente) esseretempo; la condizione del suo darsi è quell’incessante, ineliminabile e sempre dinamico attrito tra identità e differenza che senza sosta anima il presentarsi e lo scomparire degli enti dal mondo, ovvero il loro emergere (come differenza) dall’Intero e il loro rientrarvi, mutando forma e a un tempo rimanendo ciò che sono».

[L’immagine (NASA/ESA Hubble Space Telescope) raffigura la nebulosa Westerlund 2, al cui centro si trova un magnifico ammasso stellare. Questo è il tempo, questa è la materia]

Gadda, il guerriero

Gadda, la guerra, la nazione
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
18 febbraio 2025
pagine 1-7

In Carlo Emilio Gadda, nella sua idea del mondo, non c’è posto per gli infingimenti, per le illusioni, per i sentimentalismi ‘umanitari’. Lo testimonia un esplicito brano, che Gadda scrisse anche se poi preferì non pubblicarlo: «Io non ho mai avuto sentimenti umanitarî, né in guerra né in pace, pur essendo molto sensitivo al dolore e alla miseria degli altri e anche alla gioia degli altri». Espressamente enunciata è invece una formulazione che della guerra mostra le innate radici nell’umano e nelle sue società: «Le armi Caino ferocemente le impugna: e talora anche contro alla nostra filantropia».
Ovunque e sempre nei suoi scritti – direi tratto caratterizzante l’intera sua opera – Gadda non ha inteso ‘migliorare il mondo’ ma ha voluto descriverlo nella sua realtà spesso surreale e divertente così come spesso è insensata e feroce: «essendo io un rètore, amo le scritture compiute e non amo gli edificanti stralci». Nessuna scrittura edificante, no, ma la descrizione di ciò che necessariamente consegue da una verità metafisica quale è il tempo che tutto intesse, involve e vince, al modo in cui anche Petrarca sa dirlo: «Così ’l Tempo triunfa i nomi e ’l mondo». Con densità ed efficacia simile a queste, Gadda scrive che «gli umani, nella brevità storica della lor vita, sono il sostegno efimero del divenire».
Eφήμεροι e patetici, con la pretesa – in alcune filosofie ed epistemologie – che  il divenire immenso (miliardi di anni) della materia, delle galassie distanti miliardi di anni luce, degli oceani terrestri, delle lave dell’Etna, tutta questa magnifica potenza dipenderebbe per esistere (non per essere semplicemente conosciuta dall’umano ma proprio per esistere) da quella dimensione parzialissima e insignificante che è la coscienza  di una entità abitante da pochi anni un periferico pianeta di una delle innumerevoli galassie che compongono il cosmo. Pretesa formulata da una entità, l’umano, frutto del tempo (come tutto), la cui vita è intramata di limiti, sofferenza, patologie, ed è destinata in un batter di ciglia a sparire.

 

Vai alla barra degli strumenti