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Sulla Russia

Che cosa ha fatto?
Aldous, 14 maggio 2022

In questo breve articolo ho cercato di sintetizzare ciò che penso del conflitto tra Russia e Ucraina all’interno del più ampio contesto geopolitico contemporaneo. Un contesto che mi sembra pericolosamente simile al clima di esaltazione e di propaganda che portò l’Europa al suicidio nell’estate del 1914.

Segnalo inoltre il miglior articolo che abbia letto sinora sul conflitto in Ucraina, il suo significato, le modalità, la funzione:
Lo spettacolo della guerra
di Giovanna Cracco, paginauno, n. 77, aprile-maggio 2022.

Infodemia

Ciò che risulta evidente nei regimi totalitari del Novecento vale a bassa intensità per qualunque regime contemporaneo, in quanto fondato su due elementi che prima della Rivoluzione industriale non esistevano: le masse e le tecnologie sociali capaci di scandire e trasmettere in tempi veloci gli ordini dell’autorità alle masse stesse. Capacità che nel XXI secolo è diventata fulminea come la luce, fondandosi sulla strumentazione elettronica la quale, appunto, viaggia alla massima velocità concepibile.
Il terrorismo politico/sanitario – scopo e insieme mezzo – non sarebbe stato possibile senza il terrorismo mediatico, senza l’infodemia; senza l’urlo di morte lanciato dalle televisioni; senza numeri arbitrari, falsi e inventati; senza la colpevolizzazione giornalistica dei liberi. Quello che sta accadendo è molto più di un’epidemia, è la manifestazione di un dominio mediatico-sanitario che probabilmente determinerà la vita politica negli anni e decenni futuri.
L’informazione è dunque diventata una malattia. L’effetto di questa tragedia è l’odio collettivo e la contrazione della vita. Un odio rivolto a tutte le figure non allineate e non obbedienti da parte di chi per una ragione o per l’altra si è sottoposto a pratiche i cui rischi sono reali e, in prospettiva futura, inquietanti.
A dominare la vita è il terrore della morte in una società diventata psicologicamente assai fragile, nella quale lo strapotere dell’informazione è del tutto schierato al servizio di governi i cui diktat vengono veicolati alle masse dalla propaganda televisiva. Nelle società contemporanee esercita egemonia, in senso gramsciano, il principe che possiede, seleziona, diffonde, inventa le notizie.
L’egemonia pandemica è il titolo di un articolo nel quale Giovanna Cracco (sul numero 75 di paginauno,  dicembre 2021 – gennaio 2022) riprende e aggiorna alcune analisi formulate qualche mese fa a proposito dell’epidemia.
L’autrice riassume il concetto gramsciano di egemonia e per suo tramite legge il presente. Queste alcune affermazioni  enunciate nelle righe conclusive:

Sul piano dell’egemonia, il potere strepita in modo sempre più forsennato al terrore e all’emergenza (indipendentemente dai numeri reali) accusando i no-vax dell’aumento dei casi positivi – nonostante l’ormai riconosciuta deficienza dei vaccini nel proteggere dalla trasmissione del virus.  Utile capro espiatorio da sbattere in prima pagina, i no-vax sono perfetti per compattare una popolazione che non deve avere dubbi e aizzarla contro un ‘nemico’, e per nascondere il fallimento della classe dirigente nella gestione della pandemia. […] L’emergenza e la pandemia sono gli strumenti che la classe dominante/dirigente sta usando per disegnare una nuova società e su di essi è riuscita a produrre una nuova egemonia: se non li denunciamo come tali, non può esserci opposizione.

Qui il link all’articolo: L’egemonia pandemica (e qui la versione in pdf).
Sugli irrazionali comportamenti indotti dalla infodemia segnalo anche un intervento di Andrea Zhok (professore di Filosofia morale alla Statale di Milano): Infodemia istituzionale e stati ontologici dissociativi, «Sfero», 12.1.2022.
Il mezzo forse in declino ma ancora incomparabilmente potente dell’egemonia rimane la televisione. Essa è infatti ancora lo strumento primario e spesso esclusivo dell’informazione per milioni di persone, per coloro che non nutrono il minimo dubbio sulla verità e bontà delle notizie che la scatola televisiva ammannisce ogni giorno senza requie e che da questo ascolto e visione fanno discendere i propri comportamenti quotidiani e alla luce dei quali interpretano ogni evento, parola, idea della quale vengono a conoscenza.
Il fideismo mediatico-politico genera alcuni gravi fenomeni, tra i quali:
-la tonalità collettiva pervasa di terrore, odio e paura verso chi non è conforme agli standard stabiliti dall’autorità;
-l’esaltazione che alla maggioranza deriva dalla certezza di essere nel giusto e dalla convinzione che i dissidenti siano invece pericolosi per la salute del corpo sociale;
-la gravissima sottrazione a una parte dei cittadini dei diritti costituzionali (e dunque la cancellazione di fatto della Costituzione repubblicana);
uno stato di emergenza/eccezione permanente;
-la diffusione di un atteggiamento mentale antiscientifico, dogmatico, fideistico e superstizioso che si rivela incapace di rispondere a una sola, semplice e fondamentale questione che riguarda l’efficacia dei vaccini: se, in qualunque ambito, una strategia di contrasto si rivela infatti inadeguata, la logica, l’esperienza e il buon senso impongono di cercarne un’altra. E invece di fronte al clamoroso diffondersi del virus tra milioni di soggetti vaccinati con due e tre dosi, la soluzione che si invoca consiste nell’assurdità scientifica di rendere obbligatorio per tutti un vaccino inefficace, rifiutando invece le cure che esistono, tanto è vero che la stragrande maggioranza delle persone colpite dal virus guarisce.
Sulla natura totalitaria della televisione Karl Popper ha avuto ragione: la televisione non è soltanto una cattiva maestra, è la peggiore delle autorità, è «le soleil qui ne se couche jamais sur l’empire de la passivité moderne. Il recouvre toute la surface du monde et baigne indéfinitement dans sa propre gloire; il sole che mai tramonta sull’impero della moderna passività. Esso ricopre per intero la superficie del mondo e si immerge indefinitamente nella propria gloria» (Guy Debord, La Société du Spectacle, Gallimard 1992, § 13, p. 21), anche e soprattutto quando la gloria è il lutto, quando la gloria è la morte.

 

Disciplina

È una delle tante parole polisemantiche della nostra bella lingua.
Disciplina indica infatti in italiano un ambito del sapere o dello sport; significa poi il rigore con il quale ci si approccia a una esperienza di vita; vuol dire infine ciò che un’autorità richiede ai suoi subordinati.
Il saggio dell’economista Giovanna Cracco che qui segnalo, dal titolo Contro il Green Pass. La posta in gioco: disciplina e sorveglianza, risponde a tutti e tre questi significati. L’autrice infatti, che dirige Paginauno (una delle riviste più indisciplinate dell’attuale panorama editoriale), mostra in questo testo una sicura competenza nella lettura dei dati, un approccio razionale e rigoroso alla questione, un’argomentata analisi della disciplina che i governi stanno cercando in tutti i modi di imporre al corpo collettivo.
Riporto qui alcuni brani dall’articolo, invitando a una sua lettura calma, diretta e integrale; si tratta infatti del testo più rigoroso e completo che conosca sul tema della gestione politica dell’epidemia e sul lasciapassare / green pass.
Queste pagine dimostrano che se si vuole capire si può capire; che se si è degli studiosi dotati degli strumenti analitici che il sapere contemporaneo pone a nostra disposizione si deve capire; che la strategia di una comprensione rigorosa di quanto sta accadendo -rimanendo liberi dalla violenza, dalla ripetitività, dal terrore, dalla menzogna e dalla banalità che giornali, televisione e social ogni giorno ammanniscono-, è l’unica capace di evitare di bollire. Utilizzo questo verbo nel significato della nota favola della rana bollita a temperature ogni giorno quasi impercettibilmente superiori al giorno prima, la quale si accorge che sta morendo soltanto quando il suo corpo è ormai a brandelli.

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Contro il Green Pass. La posta in gioco: disciplina e sorveglianza 
in Paginauno, Numero 74 | Ottobre-Novembre 2021

Vaccinazione e Green Pass sono due atti differenti. La scelta di vaccinarsi contro il virus Sars-Cov-2 tocca aspetti intimi e personali quali le ataviche paure della malattia e della morte, a cui ciascuno risponde con le proprie, insindacabili, scelte. Quanto la martellante propaganda politica e mediatica abbia alimentato ad arte tutte le possibili paure umane in questi quasi due anni, è un discorso che esula dalla riflessione che si vuole qui affrontare: resta l’esistenza del sentimento con cui ognuno deve scendere a patti, e la vaccinazione è uno dei patti possibili.

Il vaccino tutela il vaccinato dal contrarre la malattia in forma grave e quindi, in teoria, dal ricovero ospedaliero e, si spera, dalla morte. L’ultimo studio al momento disponibile (21 luglio 2021) dell’Istituto Superiore di Sanità (2) analizza le caratteristiche dei 127.044 pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 (sono lo 0,21% della popolazione italiana, secondo i dati Istat): l’età media è 80 anni e, su un campione rappresentativo di ogni fascia di età, il numero medio di patologie presenti è 3,7. Sono numeri che, a distanza di 16 mesi dall’inizio dell’epidemia, confermano il dato che i decessi colpiscono gli anziani, prevalentemente con patologie, e le persone non anziane già compromesse da patologie.

Tirando le somme, il vaccino protegge se stessi dalla malattia grave ma non protegge in egual misura gli altri; pur diminuendo la diffusione del virus (forse per appena tre mesi), non ne blocca la circolazione – né l’eventuale creazione di varianti –; milioni di persone hanno inconsapevolmente già acquisito una immunità naturale che li pone sullo stesso piano dei vaccinati ed è durevole (a differenza di quella data dai vaccini, a quanto pare); gli asintomatici vaccinati hanno cariche virali simili a quelle dei non vaccinati, e questo incide nella trasmissibilità del virus; la mortalità per Covid-19 colpisce i ‘fragili’, ossia anziani (prevalentemente con patologie) e non anziani già compromessi da patologie.

Le conseguenze della scelta di non immunizzarsi con il siero ricadono unicamente sulla persona che opera tale scelta: l’altro, che ha optato per la vaccinazione, è protetto. Dunque, come è insindacabile la decisione personale di vaccinarsi, lo è quella contraria.

La scelta politica di mettere in atto una campagna vaccinale sull’intera popolazione sopra i 12 anni – mentre si sta studiando anche il siero per i bambini –: sulla base dei dati e dei fattori sopra analizzati, è una decisione che non ha alcun fondamento logico.

Vale la pena ricordare che l’EMA ha rilasciato a tutti i vaccini una “autorizzazione condizionata” (conditional marketing authorization) proprio per l’assenza delle informazioni relative ai rischi a lungo termine.

Ora, detta brutalmente: una persona anziana può a ragion veduta ritenere poco rilevanti gli eventuali effetti a lungo termine del vaccino, a fronte di un rischio molto più concreto di malattia grave Covid-19; un adolescente o un 50enne inverte i fattori dell’equazione.

La realtà che viviamo è nebulosa e illogica: nebulosa per tutto ciò che ancora non è chiaro, illogica per tutto ciò che già lo è.

Il Green Pass è un ricatto: esteso a università (1 settembre) e lavoro (15 ottobre) si configura come un obbligo vaccinale che discrimina chi non accetta un trattamento sanitario. […] Al momento, l’Italia è l’unico Paese al mondo che ha esteso il Green Pass ai luoghi di lavoro, mentre solo quattro Stati hanno imposto l’obbligo vaccinale direttamente per legge: Indonesia, Turkmenistan, Tagikistan e Micronesia.

Il Green Pass non rappresenta solo l’obbligo vaccinale. È insieme una tecnologia e una pratica di potere.

L’eccezionalità del Green Pass è infatti la sua caratteristica tecnica che lo rende uno strumento dinamico, il cui utilizzo potrà estendersi e arricchirsi nelle forme più diverse: potrà abilitare il soggetto in base a condotte di comportamento (oggi la vaccinazione, domani pagamenti…) o a status (residenza, occupazione, dichiarazione dei redditi, fedina penale… qualsiasi cosa).

Non solo. La struttura a blockchain permette una raccolta dei dati (potenzialmente infinita) che non è aggregata: la blockchain individualizza i dati, legandoli all’identità digitale creata, e come tali li conserva. Il Green Pass quindi sta attuando una schedatura di massa.

La privacy non è la nostra dimensione privata ma la relazione di potere tra individuo, Stato e mercato.

Potere che è in  apparenza tanto meno ‘corporale’ quanto più è sapientemente ‘fisico’”. Spazi (luoghi in cui si può accedere solo con il Green Pass), sorveglianza verticale (Gateway e blockchain) e collaterale (il cameriere, il controllore sul treno, il bigliettaio del cinema, l’impiegato adibito al lavoro, a cui bisogna esibire il Pass): una rete di sguardi che quotidianamente controllano. Potere fisico non solo perché si impone sul corpo, ma perché il corpo è il primo ‘oggetto’ che viene investito dalla disciplina del lasciapassare: deve essere sottoposto a un trattamento sanitario (vaccino) o a un esame diagnostico (tampone).

Tirando le somme, il Green Pass ha corretto, normalizzato, diviso, sorvegliato e utilizzato i cittadini, disciplinandoli. È, a oggi, l’ultimo atto di una serie di pratiche politiche che hanno creato una popolazione docile perché impaurita, prima shockata e poi normalizzata in una nuova abitudine, che si affida al ‘sovrano’ per la sua salvezza, convinta che la propria vita dipenda da un trattamento sanitario a cui è disposta a sottoporsi annualmente, e da un lasciapassare politico che lo attesti e che le garantisca l’accesso a luoghi nei quali possa interagire solo con persone altrettanto verificate e controllate.

La situazione è nebulosa e illogica. Ma ciò che lascia sconcertati è che non ci siano – e non ci siano state – domande.

Non si può né sperare né attendere una chiamata strutturata e organizzata, da sinistra, per questo conflitto: salvo poche realtà o singoli individui, la sinistra movimentista che si riempie continuamente la bocca della parola ‘discriminazione’, dichiarando di volerla combattere, si è appiattita sulle posizioni governative spedendo il cervello in vacanza. Sta, dunque, a ciascuno di noi. Scegliere.

«L’Unione Europea di Hayek»

Il titolo di questa brachilogia non è mio ma è quello di un articolo della giornalista economica Giovanna Cracco, direttrice della rivista Paginauno. Il testo è stato pubblicato sul numero 61 (febbraio/marzo 2019) .
Degli economisti Friedrich August von Hayek e Milton Friedman ho parlato qualche giorno fa. Riprendo adesso il discorso in relazione alle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo. A distanza infatti di poco più di un anno dall’auspicio che nel marzo 2018 formulavo sul successo elettorale del Movimento 5 Stelle, alcuni elementi del programma di quel partito sono stati realizzati, molti altri no. E tuttavia confermo il mio sostegno al M5S.
A convincermi è stata anche e specialmente l’analisi che Cracco propone dei fondamenti e delle scelte politiche di un Parlamento Europeo di impronta liberale e liberista, come quello che ha rappresentato e governato l’Unione Europea negli ultimi cinque anni e continuerebbe a dominarla se prevalessero le formazioni politiche favorevoli al potere liberista. In Italia: il Partito Democratico; Forza Italia -la cui proposta di Mario Draghi a capo di un nuovo governo italiano (che avrebbe certamente il sostegno del PD), ha il pregio della chiarezza, Draghi è infatti l’emblema stesso dell’ultraliberismo dell’Unione Europea–; la Lega, che si presenta come ‘sovranista’ ma le cui scelte politiche sono nel segno del liberismo occidentalista.
Ho illustrato più volte le ragioni per le quali ritengo negative sino alla catastrofe le politiche liberiste; l’ho fatto ad esempio qui: Brexit. Assai meglio di quanto possa enunciarle io, che economista non sono, tali motivazioni vengono riassunte con grande chiarezza nell’articolo di Cracco, la cui rivista è decisamente ‘di sinistra’. Invito dunque a leggere queste poche pagine, nel cui pdf si trovano anche alcune mie evidenziazioni.

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