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Epidemie, biodiversità, alimentazione

Epidemie, biodiversità, alimentazione

Come sempre, la scaturigine di ciò che accade è politica, sta nelle opzioni economiche e nella tracotanza che la natura punisce.
Lo conferma una analisi di Silvia Granziero sul numero del 7.4.2020 di Internazionale, Le pandemie sono una delle conseguenze della perdita di biodiversità:

«È la distruzione della biodiversità da parte dell’uomo a creare le condizioni per nuovi virus e patologie come la COVID-19. David Quammen, autore di Spillover. L’evoluzione delle pandemie, sintetizza così: “Sconvolgiamo ecosistemi e liberiamo virus dai loro ospiti naturali: quando succede, hanno bisogno di nuovi ospiti, e spesso siamo noi”. […]
La distruzione delle foreste – attraverso il taglio di legname, la costruzione di strade e miniere, l’urbanizzazione e la crescita demografica – avvicina le persone alle specie animali con cui non sono mai state così a contatto, e questo aumenta la possibilità per i virus di passare da una specie all’altra. […] L’attività umana danneggia anche la biodiversità animale, provocando una perdita di specie predatrici degli animali vettori. […]
In pratica, più disturbiamo habitat e foreste e più siamo in pericolo. […] Grazie alla loro adattabilità, i virus possono poi replicarsi e diffondersi con estrema rapidità grazie al sovraffollamento dei grandi centri. […]
Anche l’inquinamento gioca la sua parte […] quasi tutte le recenti pandemie sono state influenzate da alta densità di popolazione, aumento di commercio e caccia di animali selvatici, cambiamenti ambientali e allevamenti intensivi. […]
Dobbiamo metterci in testa l’idea che non si può salvaguardare la salute umana senza rispettare la biodiversità. È il momento di ripensare completamente la nostra relazione con la natura: fermare la crisi climatica, frenare la distruzione delle foreste e ridurre il consumo di risorse sono misure da avviare immediatamente. Anche le pandemie sono una delle le conseguenze della perdita di biodiversità. Quando quella da coronavirus sarà cessata, bisognerà intervenire sui fattori che l’hanno scatenata e renderci conto che la diffusione di questi nuovi virus è anche la risposta della natura all’assalto dell’uomo»
.

Sono tre i nuclei della questione ecologica: l’utilizzo di varie forme di energia, la demografia, l’alimentazione.
Siamo chimica in movimento, materia consapevole di esserci. Ciò che mangiamo diventa la nostra persona, ciò di cui ci nutriamo si fa tessuto, muscoli, sangue, liquidi, cervello, pensieri. Esserne consapevoli significa oltrepassare le secche di ogni dualismo ‘mente – corpo’ come di ogni riduzionismo che evidenzia soltanto una delle componenti dell’essere umano o dei viventi: che si tratti dell’ ‘anima’ o dell’organismo.
Siamo plurali, complessi, intessuti di tante vite, di quelle dei nostri avi come degli incontri che ci regalano gioia o ci infliggono tormento. E siamo fatti anche di una miriade di esseri che abitano nel nostro corpo, che sono il nostro corpo.
Portiamo con noi, dentro di noi, fatti di noi e noi di loro, «miliardi di esseri viventi che ci condizionano l’esistenza senza che noi ce ne accorgiamo. Si tratta di batteri che costituiscono il nostro microbiota, cioè l’insieme di esseri che si trovano nel tubo digerente. I vegetariani, consumando frutta e verdura, ‘coltivano’ batteri intestinali di varietà specifiche che hanno un impatto positivo sulla salute» (Biagio Tinghino, Vivere senza carne. La guida a una nuova alimentazione scritta da un medico vegetariano, Tecniche nuove 2016, p. 119).
Ciò che chiamiamo salute e malattia è il risultato sempre provvisorio del corpo come dimora di entità e strutture plurali e diverse tra di loro. Soltanto se proiettata su uno sfondo antropologico e biologico complessivo la questione del vegetarianesimo mostra tutta la propria fecondità. Decisivo è l’approccio statistico poiché le osservazioni soggettive e parziali non bastano, né gli impressionismi più o meno sentimentali o ideologici, ancor meno la parola di presunte autorità che non dimostrino le loro tesi sulla base di ampi studi. Tinghino fa invece «riferimento a studi osservazionali, di coorte e soprattutto a metanalisi. In una parola: vogliamo appoggiarci su fondamenti seri» (44), allo scopo di affrancarsi da «un dibattito che sembra ormai accecato dalle polemiche tra le varie fazioni» e fare invece «informazione scientifica serena, fondata sulle evidenze e, quando necessario, critica» (2).
Il risultato complessivo di analisi nutrizionali, chimiche, mediche molto accurate – basate su una bibliografia davvero imponente – è che «la carne rossa fa male e le carni conservate aumentano il rischio di cancro nei consumatori. L’Organizzazione Mondiale della Sanità si è recentemente espressa in questi termini, attraverso l’IARC, l’agenzia internazionale di ricerca sul cancro» (77); «la carne non è indispensabile in nessuna fase della vita» (24); «mangiare molta carne accorcia la vita ed è alla base di molte malattie del nostro secolo: tumori, patologie croniche e degenerative» (1).
Ne consegue un interrogativo ovvio e razionale: «Perché dovremmo far soffrire gli altri animali per usarli come cibo, quando, evitandolo, possiamo addirittura stare meglio in salute?» (3). Anche in questo caso la risposta è complessa ma alla sua base c’è una constatazione di fatto, confermata dallo sguardo e dagli studi antropologici: «Mangiamo gli animali perché essi non riescono a difendersi con l’astuzia e la tecnologia di noi umani. La questione è tutta qui» (14), come mostrano le analisi antropologiche di Gianfranco Mormino.
Ed è una questione che si volge poi contro l’umano che utilizza senza misura e intelligenza i propri poteri. Il carnismo sistematico è infatti fonte di numerose e gravi patologie. Una delle ragioni è che Homo sapiens è diventato onnivoro ma la sua anatomia non è quella di un carnivoro. A mostrarlo ci sono molteplici evidenze: le nostre mani e i piedi sono privi di artigli o zanne, siamo incapaci di correre e saltare, come sanno fare tutti i predatori, siamo invece 

«tra i più lenti esseri viventi. […] Anche se le scimmie possono occasionalmente mangiare carne o cibarsi di insetti, fondamentalmente i primati sono frugivori o folivori (mangiano foglie e germogli). […] L’intestino umano è molto più lungo di quello dei carnivori. […] La flora batterica (microbiota) dei frugivori e dei primati in generale è fermentante, non putrefatta come quella dei carnivori. […] Quando questa flora batterica viene alterata dall’eccessiva introduzione di cibi animali è più facile che insorgano alcune malattie come i tumori e le malattie infiammatorie. […] I denti dell’uomo non sono adatti ad afferrare prede e strappare carne, ma ad addentare la frutta (con gli incisivi, propri degli erbivori), trattenerla (canini, piccoli e pochi), triturare il cibo (coi premolari e molari). […] L’uomo, dunque, non è adatto a un cibo carneo. È più coerente definirlo un frugivoro-cerealicolo che occasionalmente potrebbe cibarsi di altro, come la carne, senza però fare di essa il cibo fondamentale» (17-19).

Anche dall’ignoranza di questi dati fisiologici e anatomici nascono veri e propri miti alimentari, come quello delle proteine. Una leggenda frutto di fattori sociali e storici e non certo scientifici, che fanno riferimento alla carne come status symbol e non come alimento né sano né necessario. Tanto è vero che se «nel 1968 si è scesi a raccomandarne 1,8 g e nel 1974 1,35 g. Le raccomandazioni attuali oscillano intorno a 1 grammo [per chilo di peso]. […] Le prime credenze sono state sconfessate dalla ricerca più recente, ma il mito popolare delle proteine tarda a morire e l’industria della carne si sta apprestando a battere nuovi record, fino a quando il sistema economico non collasserà» (23-24).
In realtà le proteine sono presenti non soltanto nella carne bensì «in tutte le classi di alimenti, ma in quantità variabile» (131). Assumere tali sostanze dai vegetali invece che dagli altri animali costituisce un’espressione di razionalità anche ambientale, dato che «la produzione di carne è probabilmente il maggior spreco di risorse del pianeta Terra», in quanto «un onnivoro consuma le risorse che basterebbero a cinque vegetariani» e «l’88% delle foreste viene abbattuto in Amazzonia proprio per creare pascoli. Il consumo di acqua è raddoppiato dagli allevamenti e il 65% dell’ossido di azoto immesso in atmosfera deriva dagli allevamenti, così come il 35% del metano. Stiamo parlando di gas che hanno un impatto tra 23 e 297 volte superiore a quello dell’anidride carbonica (CO2) sull’effetto serra» (25).
È dunque chiaro che la razionalità e la scienze stanno dalla parte di un’alimentazione vegetariana. E questo prescindendo dai fattori di crudeltà, di interesse economico e di silenzio mediatico promossi dall’industria alimentare.
È confortante che (dati del 2014) «in Italia i vegetariani costituiscono il 6,5% della popolazione e i vegani lo 0,6%, per un totale del 7,1%, pari a circa 4 milioni e 200 mila persone. […] Più in alto dell’Italia, in Europa, si colloca solo la Germania, con l’8,6% della popolazione, mentre in India i vegetariani sfiorano il 3% e in USA calano al solo 2%» (14). È confortante per la salute e per la razionalità, per l’unità corpomentale che siamo.

In un articolo per girodivite.it di qualche anno fa avevo discusso altre motivazioni -sia generali sia specifiche- che rendono razionale e necessaria l’opzione vegetariana: Essere vegetariani. Le ragioni.

12 commenti

  • agbiuso

    Febbraio 11, 2024

    Da Non c’è più il clima adatto per le favole?
    il Simplicissimus, 11.2.2024

    “La questione climatica si complica e perde pezzi ogni giorno che passa, mentre via via si vanno ridimensionando i progetti Net Zero sia per i loro costi esorbitanti, sia per l’impossibilità di realizzazione concreta. Molte aziende si ritirano dal settore dopo aver collaborato a creare la sindrome climatica e anche alcuni governi come quello inglese, annunciano disinvestimenti, mentre come sappiamo il mondo dell’agricoltura è in rivolta”.

  • agbiuso

    Maggio 21, 2021

    Dicono così alcuni scienziati apocalittici. Un complottismo biologico forse non disinteressato.
    Altri sostengono posizioni diverse.
    In ogni caso pochi vanno al cuore del problema, che è il rapporto dell’umano con gli altri animali e con l’οἶκος, la casa che tutti ci ospita.

  • agbiuso

    Dicembre 9, 2020

    La grande truffa della Green Economy, del tutto funzionale alla distruzione dell’ambiente e al moltiplicarsi della disuguaglianza.

    ===========
    Sostenibilità vs. ‘green economy’
    associazioneindipendenza, 8.12.2020

    La notizia è di quelle funzionali a suscitare un’overdose di retorica finto-ambientalista a buon mercato: il 9 dicembre inaugura a Torino “Green Pea”, il primo “Green Retail Park” (sic!) al mondo dedicato al tema del Rispetto e della Sostenibilità (rigorosamente in maiuscolo).

    Tralasciando l’insopportabile abuso di anglicismi che pervade ormai lo spazio pubblico odierno, di che cosa si tratta? Niente meno che della nuova creatura (o dell’ennesima operazione d’immagine, a seconda dei punti di vista) del noto imprenditore Oscar Farinetti, che sul “green” ha costruito un impero. Immagine, dicevamo, e il perché è evidente: questa meraviglia dell’eco-sostenibilità altro non è infatti che l’ennesimo centro commerciale, anche se la definizione di “Retail Park” suona meglio e appare più seducente. Cinque piani dedicati non tanto –come ci si potrebbe aspettare conoscendo l’artefice del progetto– al cibo, ma “a cambiare il rapporto con l’energia, il movimento, la casa, l’abbigliamento e il tempo libero”. I ‘partner’ commerciali sono circa un centinaio, suddivisi in aree tematiche, tre delle quali ovviamente definite in inglese (l’italiano evidentemente non è sufficientemente “cool”): Life, Home, Fashion e Bellezza. Tra i nomi più significativi troviamo FCA, Iren, Enel X, UniCredit, Mastercard, FPT Industrial, Samsung, Smat, Argo, Whirlpool, Timberland, North Sails, insieme alle “migliori firme italiane dell’abbigliamento”: Ermenegildo Zegna, Brunello Cucinelli, Herno e SEASE, le quali proporranno “concept store” dedicati a Green Pea. Parallelamente, cosmesi, libri, cultura e cibo. Infine sul tetto della megastruttura troviamo nientemeno che il Club dedicato all’Ozio Creativo con l’alkemy Spa (sic!), il Cocktail Bar e l’Optium Pea Club, definito come “la prima infinity pool (sic!) di Torino affacciata sull’arco alpino”. Tradotto in italiano e depurato dalle espressioni ad effetto, si tratta di una piscina riscaldata e sauna a cielo aperto. Non pensate però che al Green Pea la cultura sia messa in secondo piano: la Spa è infatti fornita niente meno che di “erogatori automatici di storie” (sic!). Basta premere un pulsante e Platone ti dice la sua. Cosa desiderare di più?

    Potremmo indugiare a lungo ironizzando sull’anglofonia imperante, sull’abuso di retorica e sulla mortificazione della cultura ridotta a prodotto di consumo, ma in questa sede merita di essere sottolineata la questione che emerge prepotentemente nella sua centralità, vale a dire la menzogna fondante che sorregge la narrazione relativa alla “green economy”: ci riferiamo alla conciliabilità degli interessi del grande capitale con il tema dell’eco-sostenibilità.In che modo un tempio del consumo rivolto a una clientela di fascia medio-alta, vetrina per aziende –alcune delle quali multinazionali– che della crescita esponenziale dell’usa e getta e dell’obsolescenza programmata hanno fatto parte integrante delle loro strategie commerciali, può contribuire alla tutela dell’ambiente? La risposta a questo interrogativo Indipendenza se l’è data implicitamente nelle relative tesi approvate in occasione dell’ultima assemblea nazionale dell’associazione, tenutasi a Roma il 26 settembre 2020.

    Ne riportiamo alcuni estratti (tesi):

    2. Vi è un’incompatibilità strutturale e insuperabile tra capitalismo e tutela dell’ambiente. Il perseguimento della crescita infinita del profitto implica l’assenza di un limite allo sfruttamento delle risorse anche ambientali, le quali però sono finite, dato che tale è il pianeta. Lo sviluppo misurato da parametri esclusivamente quantitativi come il PIL non può conciliarsi con un qualsiasi approccio che sia realmente e coerentemente ecologista.

    3. In tal senso è necessario essere consapevoli della carica mistificante insita nelle risposte (presunte) “ecologiste” organiche alle logiche e alle finalità degli interessi capitalistici. Si fa riferimento in particolare a quei fenomeni generalmente indicati con i neologismi anglofoni greenwashing e green economy. Se il primo consiste nel tentativo, portato avanti per fini di marketing da parte di alcune aziende (di solito multinazionali), di darsi un’immagine ecologista, occultando così le proprie pratiche tutt’altro che rispettose per l’ambiente, assai più insidioso ed ambiguo si rivela il cosiddetto modello della green economy. Con questa espressione s’intende genericamente un modello di sviluppo che si presenta come sostenibile dal punto di vista ecologico. In realtà, dietro la facciata green si cela il perseguimento di interessi squisitamente capitalistici, in nome dei quali si pone un’enfasi ingiustificata su alcuni aspetti anche importanti (ad esempio le emissioni dei veicoli privati), talvolta del tutto secondari e circoscritti, occultando comunque questioni ben più impattanti, come lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali o le emissioni necessarie per produrre e trasportare in tutto il mondo prodotti dotati di tecnologia “verde” e “sostenibile”; in altri termini la logica estrattivistica propria del capitalismo non viene scalfita.

    4. Il modello alla base della green economy è inoltre intrinsecamente classista, poiché scarica la responsabilità del riscaldamento globale sulle fasce più deboli della popolazione, quelle che non possono permettersi la tecnologia più avanzata e che non hanno un reddito sufficiente per abitare nelle città smart ed ecologiche. Città che queste persone sono obbligate comunque a raggiungere quotidianamente dalla provincia o dalle periferie suburbane più trascurate, spesso con mezzi propri, dal momento che il trasporto pubblico si rivela spesso inefficiente. Tali dinamiche non fanno altro che acutizzare la contrapposizione tra città e provincia, alimentando lo spopolamento e l’abbandono di larghe porzioni di territorio e contemporaneamente la crescita smisurata e disordinata delle aree metropolitane. Uno scenario assai poco ecologico e sostenibile.

  • agbiuso

    Settembre 1, 2020

    Un articolo documentato ed efficace di Andrea Casini mostra il profondo legame tra le epidemie -compresa quella da Covid19- e lo sfruttamento/morte degli altri animali:
    Pandemie, Wet Market e traffico di animali esotici
    LAV, 17.4.2020

  • agbiuso

    Luglio 24, 2020

    Un articolo di Giuseppe Mazza sulla rivista Doppiozero ricorda che, oltre a finanziare il partito nazionalsocialista, Henry Ford ebbe in comune con Adolf Hitler l’essersi entrambi ispirati ai macelli di Chicago per produrre automobili e cadaveri umani. Discute poi della forte tendenza che la pubblicità contemporanea ha a frammentare l’unità del corpomente.
    Qui il link all’articolo: L’individuo disarticolato del fordismo.
    Da quando non mi nutro più di cadaveri la mia vita è migliorata sotto ogni aspetto, intellettuale e fisico.

  • agbiuso

    Luglio 1, 2020

    Comincerò a credere a una reale volontà di «salute» soltanto quando i decisori politici e il corpo collettivo cominceranno a smettere di mangiare cadaveri.

  • agbiuso

    Maggio 27, 2020

    NON TORNIAMO COME PRIMA: 6 PROPOSTE PER CAMBIARE E SALVARE TUTTI

    “NON TORNIAMO COME PRIMA” è il nostro manifesto per agire subito sulle cause della pandemia ed evitarne di future. Cambiamo noi per salvare tutti!

    Una proposta in 6 punti che richiama il celebre insegnamento del Mahatma Gandhi “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”: la via d’uscita dall’emergenza Covid19 passa da nuovi modelli di comportamento, sia individuali che collettivi e da interventi legislativi in grado di prevenire future catastrofi di tipo sanitario ed economico.

    QUESTI I PUNTI CHIAVE DEL MANIFESTO CHE INVITIAMO TUTTI A SOTTOSCRIVERE

    1. Iniziamo da noi stessi. Dal cibo che mangiamo. Preferiamo i cibi vegetali! Perché carne, latte e uova fanno tagliare foreste, inquinano, causano sofferenza.

    2. Le aziende, a partire da quelle dell’alimentazione e dell’abbigliamento, devono essere rifondate sulla base di criteri di reale sostenibilità e Responsabilità Sociale. E lo Stato sia d’aiuto in questa trasformazione, con una diversa fiscalità.

    3. Fermiamo i mercati, le fiere, l’uso e l’uccisione degli animali selvatici ed esotici. Basta caccia, catture e riproduzione di animali per farne cibo, spettacolo, pelli e pellicce a partire dall’Italia e nel resto del mondo.

    4. Spostiamo i finanziamenti pubblici dagli allevamenti alla produzione di alimenti vegetali. Ad esempio, equipariamo l’IVA sui prodotti alimentari vegetali e incentiviamo i pasti di origine non animale nella ristorazione pubblica.

    5. Investiamo concretamente nella prevenzione delle malattie e nella ricerca scientifica “human based”. Riconosciamo la sperimentazione con metodi sostitutivi all’uso degli animali come primo passo verso una effettiva “libertà di ricerca”.

    6. Tuteliamo gli animali domestici per aiutare le loro famiglie in difficoltà. Favoriamo l’adozione di cani e gatti e l’accesso ai farmaci veterinari e cancelliamo l’IVA da “beni di lusso” su cibo e prestazioni veterinarie.

    “Nessuno deve sentirsi sopra le parti rispetto alla necessità di adottare comportamenti e stili di vita responsabili – spiega Gianluca Felicetti, Presidente LAV – L’urgenza per tutti di superare l’emergenza, oltre che sanitaria anche economica e sociale, non deve far dimenticare le cause di questa Pandemia: senza mal-trattamento degli animali non ci sarebbe stato il coronavirus. Solo agendo su di esse potremo così evitarne altre, visto che la stragrande maggioranza di epidemie e pandemie dell’ultimo secolo provengono da zoonosi, e garantire anche un futuro alle prossime generazioni. Da sempre siamo attivi anche con investigazioni, nel denunciare la drammatica realtà di allevamenti, mercati di animali e traffici anche illegali, da sempre ne denunciamo i rischi sanitari e oltre 10 anni fa siamo stati pionieri nel lanciare il sito http://www.cambiamenu.it per favorire scelte alimentari e stili di vita necessari per evitare tragedie come l’attuale pandemia”.

    Lo dobbiamo ai tanti morti, alle persone che stanno ancora combattendo la malattia, alle vittime di ogni specie causate da un sistema che, o cambierà da ora, o morirà con noi. Non torniamo come prima.

  • Pasquale

    Maggio 9, 2020

    Se intelligenza è capire dove si vive e come viverci, qualcuno direbbe che non brilliamo. Solo un deficiente avrebbe potuto trasformare il bell’estuario dell’Hudson in un deserto di palafitte al contrario ed elevate al cielo ineguali e ferree, che chiamano nuyok. Amenità e apiuità a parte ti segnalo questo articolo catturato stamane mattina sul Manifesto:
    In gioco il destino di umani e non umani, di Annamaria Rivera

    • agbiuso

      Maggio 9, 2020

      Ti ringrazio, Pasquale, per aver segnalato questo articolo: breve, documentato, assai chiaro.
      Qualche esempio:
      «In un volume di ventanni fa, tragicamente attuale, Homo sapiens e mucca pazza, scrivevo che chi acquista, per esempio, “carne di vitello ignora o vuole ignorare che la chiarezza di quella chair (carne umana) divenuta viande è ottenuta costringendo il cucciolo di bovino a vivere la sua breve vita nell’immobilità assoluta, imbottito di ogni genere di farmaci che ne invecchiano rapidamente gli organi, imprigionato in uno spazio angusto e buio”
      […]
      E tuttavia, in piena crisi pandemica, allorché la consapevolezza della centralità del tema del nostro rapporto perverso con gli ecosistemi e con i non-umani avrebbe dovuto essere largamente condivisa, tanto più da dotti, qualcuno si lasciava andare ad affermazioni sconcertanti. Alludo al virologo Roberto Burioni, il quale, in tv si augurava che anche “i nostri amici a quattro zampe” possano contrarre il Covid-19 perché questo “ci permetterà di avere un notevole vantaggio nella
      sperimentazione dei vaccini”
      Eppure è ben noto che il modello degli esperimenti su non-umani, oltre che eticamente inaccettabile, è ormai così costoso e sorpassato da rendere assai improbabile la realizzazione di farmaci e vaccini efficaci. Tutto ciò non riguarda solo il destino dei non-umani. Un’ideologia e pratiche analoghe guidano la sacrificabilità selettiva degli umani, i più vulnerabili, esposti, precari e/o alterizzati, come abbiamo constatato anche nel corso dell’attuale pandemia».

  • cristina

    Maggio 8, 2020

    Sdrammatizzando (forse) : ” te l’avevo detto…” suona antipatico e quasi sempre è vero perchè tale è la verità: antipatica. Puntaggiatura antipatica.
    Grazie Alberto.

  • Pasquale

    Maggio 8, 2020

    Che dire, che il bipede è suicida/omicida, pulsione che il gatto non ha, salvo situazioni speciali. Se è così per natura e che si è costruito una cultura in merito, non sono io quello che lo sa dire. È una domanda antica mi pare. Il pezzo è bellissimo.
    Grazie Alberto.
    Psq.

    • agbiuso

      Maggio 8, 2020

      Grazie a te, Pasquale.
      Sì, l’umano è un’entità inquieta e inquietante -lo sapeva già il coro dell’Antigone: δεινότερον- ma sul proprio destino è spesso anche cieco, semplicemente, vale a dire scarso di intelligenza.

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