Corporeità, sicurezza e potere in Internet
in Lessico di etica pubblica
Anno IX, numero 1/2018, a cura di Davide Sisto
Luglio 2018
Pagine 11-20
Indice
1. Intelligenza e computazione
2. Sicurezza
3. Rivoluzione e colonizzazione
4. Memorie permanenti e controllo digitale
5. Trasparenza
6. Algocrazia
7. Tecnocrazia e fede
Abstract
L’intelligenza è sempre del corpo. Uno dei limiti fondamentali di Internet è dunque la pura virtualità, il potere degli algoritmi, la sostituzione dello spessore complesso e carnale delle relazioni con il dato numerico e quantitativo. È dall’illusione che il mondo possa diventare digitale che nascono anche i gravi problemi di sicurezza dei quali il corpo sociale non sembra ancora essere consapevole, sia nei comuni utilizzatori sia nelle aziende. Si tratta di una trasformazione funzionale a una vera e propria metamorfosi del corpomente, una colonizzazione dell’immaginario che nasconde le relazioni di potere e le differenze sociali nell’uguaglianza dei soggetti virtuali. Memorie permanenti, controllo digitale, trasparenza e algocrazia delineano una costellazione di potere tra le più pervasive che le tecnologie abbiano generato.
Intelligence always belongs to the body. So, one of the fundamental limits of Internet is pure virtuality, algorithms’ power, the replacement of the complicated and carnal thickness of relationships with numerical and quantitative data. From the illusion the world can become digital, serious security problems of which the social body isn’t beware yet arise both in common users and in companies. It’a a transformation aiming at a real metamorphosis of bodymind, a colonisation of the Imaginary hiding power relationships and social differences in equality of virtual subjects. Permanent memories, digital control, transparency and algocracy outline one of the most pervasive power constellations technologies have ever created.
9 commenti
agbiuso
In questo saggio ho utilizzato anche alcune analisi del collettivo Ippolita. Un articolo a firma del collettivo sul numero 427 di A Rivista anarchica si conclude con queste affermazioni:
«Economia del dono è stata una locuzione di passaggio per sostenere con un linguaggio semplice e mistificatorio che fosse possibile superare il capitalismo a sinistra, nella voga del capitalismo senza proprietà proposta dai guru della sharing economy.
Nessuno ha più bisogno delle nostre competenze, ciò che conta è mettere in produzione l’interezza del nostro vivere. Nella piramide degli informatici il tentativo è stato quello di farli lavorare gratuitamente, tentativo per altro fallito; ma con gli utenti della rete non possiamo nemmeno più parlare di “lavoratori” o di “lavoro”, quantomeno non in senso classico. Come abbiamo approfondito nei nostri libri, si tratta piuttosto di aver scoperto come mettere a profitto una nuova materia prima: il piacere di esprimersi e il desiderio di comunicare degli umani».
Come sempre consiglio la lettura integrale dell’articolo, che si trova qui:
Dietro la parola condivisione
agbiuso
Segnalo un articolo di Giulietto Chiesa a proposito di Chamath Palihapitiya, ex vice-presidente di Facebook. Il testo è in linea con quanto da me sostenuto in Corporeità, sicurezza e potere in Internet.
Facebook, la televisione e la bomba atomica. Chi ha creato i mostri
diego
Ho letto solo una volta, per ora (e io leggo tre volte per capire); ma già adesso il saggio mi è piaciuto moltissimo; certo il corpo, il processo biologico e assai complesso da cui deriva (una storia cominciata almeno 4 miliardi di anni fa), è molto ma molto più vero di qualunque algoritmo; il corpo dà fastidio perchè reclama la sua biologica esigenza di respirare, amare, pensare, rinnobarsi e, con dignità, morire per continuare in altre forme della materia; un filosofo autentico, un greco autentico, uno come te, Alberto carissimo, sa spazzar via con sicurezza quel mucchio di sciocchezze dei belanti adulatori del potere che sono certi intellettuali tanto inutili quanto ben pasciuti; il tema è quello, la mente esiste solo con il corpomente; grazie Alberto, tu regali saggezza, te ne saremo sempre grati.
agbiuso
“Respirare, amare, pensare, rinnovarsi e, con dignità, morire per continuare in altre forme della materia”.
Ancora una volta, caro Diego, hai riassunto con grande efficacia e chiarezza i processi reali che cerco di descrivere nei miei testi. Sono io a essere sempre grato a lettori come te.
M. R.
Egregio professore,
la ringrazio per avermi reso partecipe del suo saggio che riassume i temi trattati durante il corso di Sociologia della cultura dell’anno accademico scorso. Il tema dell’intelligenza artificiale ritengo che sia uno degli argomenti principali di cui la filosofia ha il dovere di occuparsi. In primis perché l’essere umano del ventunesimo secolo, guidato dagli sviluppi della tecnica come destino ineluttabile dell’Occidente, ha dato luogo a una creazione – la rete – che ha il potere di inghiottirlo in una dimensione che, se usata in modo imprudente, tradisce e deturpa la sua umanità. Forse il mostro del libro neotestamentario dell’Apocalisse a cui fu data potestà su “ogni popolo, tribù, lingua e nazione” è proprio Internet esperito come ai nostri giorni; progettato dagli uomini con gli stessi attributi del Dio veterotestamentario: onnisciente, onnipresente, onnipotente, che tutto vede, che tutto sa, che tutto controlla. «[…] Più in generale, la Rete cerca di appropriarsi della risorsa fondamentale delle persone, il tempo, distogliendole dall’utilizzarlo per fini di emancipazione e cercando di trasformare una struttura nata con lo scopo di condividere informazioni in un sistema soltanto affaristico.», credo che questa sia la chiave di lettura principale di quanto avviene ogni giorno nelle nostre vite virtuali. Conferendo le dimensioni del tempo e della memoria al grande dio che l’uomo ha edificato a sua immagine e somiglianza esclamando “ciò è molto buono”, il creatore – l’uomo – rischia di essere fagocitato dalla sua creatura. L’espropriazione della risorsa fondamentale, dunque autentica, della vita umana è ciò che viene messo in atto da parte delle multinazionali dei social a cui le donne e gli uomini del ventunesimo secolo hanno venduto le loro stesse vite, il loro tempo. Mi ha colpito in modo particolare il paragrafo che dice: «[…]L’obesità tecnologica sprofonda in questo modo nella hybris, nella convinzione che tutto si deve fare se si può fare, nella schiavitù trasparente generata in Italia dal cosiddetto Jobs Act che cancellando l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori ha invaso ogni attività professionale di strumenti di controllo che il lavoratore è obbligato a portare con sé e a indossare se non vuole essere licenziato. Strumenti talmente onnipresenti da imporre un dominio sulle persone che raramente è stato così completo e pervasivo.» – il controllo è il principale strumento che, annichilendo la dimensione simbolica e la distanza, rende l’essere umano e le informazioni che riguardano la sua identità e la sua vita sempre reperibili, sempre presenti, sempre disponibili. La rete è anche un impossessarsi della storia di una persona, ed è risaputo che i vincitori, i dominatori del mondo, sono coloro che scrivono la storia. Da ciò è possibile comprendere la portata del grande potere che hanno i social, i cui spazi virtuali sono abitati dall’essere umano del ventunesimo secolo; spazi virtuali che, come le sabbie mobili, fanno sprofondare sempre di più l’uomo, in balia della convinzione della libertà e flessibilità del proprio movimento, nel pantano delle proprie informazioni e dei propri dati che una volta emessi nel circolo della rete non vengono più dimenticati «dai server nei quali si deposita la scrittura e la vita degli umani in Internet.». Sì, la scrittura è la vita degli esseri umani. L’uomo abita la casa del linguaggio, e nel momento in cui scrive nella rete, deposita la testimonianza dei connotati identitari del suo esserci. E se, come sembra esser chiaro, «Il principio, la ragione, il fine della tecnocrazia digitale è il superamento della libertà come differenza, come maturare lento delle decisioni, come fatica delle scelte, come incertezza costitutiva della vita, a favore invece della libertà di essere tutti uguali nel mondo della competizione ultraliberista.», non ci rimane che riflettere sul binomio inscindibile digitale-potere, il potere di chi vuol controllare le nostre vite. Un tentativo messo in atto da sempre nell’apparire dell’uomo e della sua vicenda esistenziale, ma che mai ha assunto i connotati pervasivi e onnipotenti dei nostri giorni. Durante la lettura del saggio sorgeva spontanea una domanda: cosa può aiutare l’essere umano del ventunesimo secolo immerso nell’avventura del cyberspazio? La risposta viene ancora e sempre dalla filosofia, da quel “pensiero che salva. […] dono dei demoni che siedono potenti sul carro del saggio Zeus” – come ci ricorda l’Inno a Zeus dell’Agamennone di Eschilo. E il presente saggio – ricco di spunti, di riferimenti, ma soprattutto dello sguardo critico della filosofia capace di far tremare le fondamenta di ciò che sembra innocuo- è certamente una grande occasione per riflettere e per praticare la rivolta contro ogni tentativo di rendere l’essere umano altro da sé, di controllarlo/manipolarlo persino nei suoi pensieri; di rendere le nostre vite merce dei ‘potenti’; un pensiero che salva dallo scopo di ogni potere, ovvero quello di dominare la vita, le menti, i pensieri dell’uomo. Io ho letto personalmente le sue parole con uno spirito critico nei confronti della mia stessa vita, poiché consapevole dell’aspetto nocivo dei social, forse per vanità personale o per altro, continuo a farne uso, sebbene ponderato. Insomma, l’algocrazia porge i suoi apparenti preziosi frutti su un vassoio d’oro (visibilità, like, condivisioni ecc. – tutte attività che soddisfano la vanità umana) ai quali difficilmente oggi si può sfuggire perché diventati luoghi, sotto un certo aspetto, necessari per la vita sociale. La ringrazio per il suo saggio che certamente contribuisce ad aprire gli occhi e a praticare una critica serrata nei confronti della realtà virtuale che viviamo.
Cordiali saluti.
agbiuso
Gentile M.R.,
la ringrazio molto per aver letto con tale attenzione il mio testo e aver voluto condividere le sue riflessioni.
Le sue parole mi sembrano intessute della capacità di pensare i fenomeni contemporanei e di non rassegnarsi alle loro più dannose manifestazioni.
PASQUALE
Grazie Alberto.
Ho stampato il saggio ma fino al 15 sono fuori servizio. Non riesco a leggere niente di più di quello che devo fare per mettere a punto il mio intervento a quel convegno che sai. A presto carissimo. Psq.
PASQUALE
L’immaginario è il corto circuito tra reale e virtuale?
Psq.
agbiuso
Nella prospettiva di questo saggio l’immaginario è uno dei luoghi dove si dispiega il conflitto tra il potere che intende piegare ai propri fini le facoltà poietiche dell’umano e le intelligenze che cercano di salvaguardarne le libertà.
Reale e virtuale possono essere utilizzati entrambi sia dal potere sia dalle intelligenze che vi si oppongono. Anche per questo si tratta di un conflitto presente da sempre -nella nostra cultura dall’Iliade, dall’Odissea, dalla Teogonia– e che oggi assume le forme complesse e pervasive con le quali Internet plasma i corpimente dei singoli e il corpo sociale collettivo.