Skip to content


«que plus rien existe…»

«que plus rien existe…»

Rigodon
di Louis-Ferdinand Céline
(1961)
Traduzione di Giuseppe Guglielmi
Introduzione di Massimo Raffaeli
Terzo volume della Trilogia del Nord
Einaudi, Torino 2007
Pagine XIV-271

rigodonCéline, la moglie Lili, il gatto Bébert attraversano nella primavera del 1945 l’Europa in guerra, sondano le rovine, si immergono nella «Germania in furia nichilista» (pag. 61), con le sue città in fiamme, colpite dalle bombe al fosforo lanciate sempre dalle stesse potenze, ad Amburgo allora come nel Vicino Oriente oggi, scagliate da «gente ricca…ricca senza fondo…uuuh! …che questo li diverte…e che illuminazione!» (142), come a «Hannover…dei fuochi di resti di case…bisogna avere visto…ogni casa giusto nel mezzo…tra ciò che erano i suoi quattro muri, una fiamma che ruota, gialla…viola…turbina…fugge!…alle nuvole!… danza … scompare… riprende… l’anima di ogni casa…una farandola di colori, dalla prime macerie a tutto là in fondo…» (136). Un mondo finito, dove «c’è mica speranza, disgraziati!» (6) ma la speranza è la scrittura, è saper guardare e dire senza esitazioni e consolazioni tutto l’orrore delle cose. L’orrore dell’uomo che è «un degenerato un mostro tra gli altri, che per fortuna si riproduce sempre più di rado» (186), l’orrore del Cosmo, che è anch’esso menzogna, è la bugia delle «stelle che brillano, miliardi pieno il firmamento, falsarie…che sono morte da miliardi di anni! …evaporate!» (96).
E in questa menzogna universale che è l’esserci, rimangono soltanto due elementi nella loro potenza primigenia e costante: «Solo la biologia esiste, il resto è blablà…» (109), solo la forza della vita che vuole vivere ancora, cieca e insensata, l’energia dei corpi che pur affamati malati stanchi storpiati feriti si trascinano per regioni e città, alla ricerca di una salvezza purchessia; l’altro elemento è la scrittura, è la petite musique, è lo stile sincopato, estremo, vivo, jazzistico, con i suoi «tre puntini…da farmi perdonare» (171), con il rifiuto del «“solido buon senso”» anche nella scrittura, poiché esso è «la morte del ritmo!» (269), con la certezza visionaria e insieme lucida di essere «pieno di stile […] che li renderò tutti illeggibili! …tutti gli altri! […] l’epoca è mia! io sono il benedetto delle Lettere!» (181). Uno stile che somiglia, appunto, al rigodon, la danza arcaica, immobile e tuttavia frenetica nel suo «delirio di immobilità» (M. Raffaeli, pag. VIII), «…il ballo al bersaglio, il rigodon che è tutto! per la madonna che si salta!» (268).
Questo stile si scaglia contro coloro che andranno a occupare le terre di Palestina, «tutti così perseguitati, ansanti, eroi del lavoro e del dissodamento, della falce, della banca e del martello…» (255); contro le masse e i politicanti sempre pronti a correre in soccorso del vincitore, come disse una volta Flaiano: «Ci fosse stato qui per esempio l’Hitler a vincere, c’è mancato un pelo, vedreste ve lo dico io l’ora attuale, che sarebbero tutti per lui…a chi che avrebbe impiccato il più di ebrei, chi che sarebbe stato il più nazi…tirato fuori l’entragna a Churchill, portato in giro il cuore strappato a Roosevelt, fatto il più di tutti l’amore con Goering…» (268); contro una delle più radicali espressioni della spietatezza e dell’intolleranza: «Bibbia il libro più letto del mondo…più porco, più razzista, più sadico che venti secoli di arene, Bisanzio e Petiot mescolati! …di quei razzismi, fricassee, genocidi, macellerie dei vinti che le nostre più peggio granguignolate vengono pallide e rosa sporco in confronto» (14). Tutto questo è frutto dell’umano. E perciò il libro ha una splendida dedica «Agli animali».
Ancora una volta -e sino all’ultima parola che chiude il romanzo e la vita di Céline- questa lingua feroce e dolente è una «luce così cruda così violenta quasi da straziare le facce…» (183), una luce assoluta, «di quelle profondità spumose che più niente esiste…» (271).

5 commenti

  • Filippo

    Giugno 3, 2021

    Carissimo Professore Biuso, ho finito di leggere “Trilogia del Nord” un libro che prima di essere letto, si deve essere preparati alla lettura dell’autore, per fortuna grazie al suo consiglio ho letto “Viaggio al termine della notte” e “Morte a credito” altrimenti sarebbe stato duro leggere  questo volume, mi sono innamorato di Celine e questo mi ha permesso di leggere “Da un castello all’altro” , “Nord” e “Rigodon”  Perché Le dico questo, per il semplice fatto che rispetto a quello che avevo letto precedentemente di Celine, questi tre libri, che per fortuna li ho avuti in un unico volume, non ho idea se preso uno singolarmente avrei poi continuato con la lettura degli altri, cosa che invece sotto un unico volume diventa necessariamente e naturalmente da fare. Questa lettura mi ha impegnato, ho dovuto rileggere qualche pagina, certe volte non mi raccapezzavo se mi trovavo su “ Da un castello all’altro” o su “Nord” o viceversa arrivato su “Rigodon” questa danza era meno accentuata, durante la lettura ho perso dei personaggi, che l’autore si prometteva di riprenderli in seguito, ma però ( ecco su “ma però” apro una parentesi, per anni mi è stato inculcato; o ma o però , qui invece il “ma però” l’ho trovato naturale e scorrevole. Ho immaginato la lettura come se viaggiassi su un treno, quei tre puntini… come se il trevo andasse avanti e indietro, ecco mi viene in mente la tela di penelope, prima a nord poi a sud poi nuovamente a nord, insomma un viaggio che non finiva mai, incontrando lungo questo cammino personaggi e bombe e mattoni in testa. Non leggo di deportazione di Ebrei nel lungo percosso di questo libro, sicuramente dato dal fatto che effettivamente nel 1944-45 ancora l’opinione pubblica non era al corrente di ciò che succedeva nei campi di sterminio. (Mio nonno che mi raccontava tanti aneddoti sulla Seconda guerra mondiale, stentava a credere i massacri in Polonia da parte dei Tedeschi sugli Ebrei, non si capacitava come l’uomo oltre la bruttezza della guerra si fosse macchiato anche di questo crimine). Tutto ciò non mi allontana da amare questo scrittore, che sicuramente meritava di più, forse un giorno gli daranno il giusto riconoscimento che merita. Posso solo ringraziarla caro professore, e se sono arrivato a questo autore solo adesso, vuol dire che prima non ero pronto.

    • agbiuso

      Giugno 3, 2021

      Caro Filippo, sono molto contento che la scrittura e il pensiero di Céline l’abbiano coinvolta così tanto.
      Da quest’uomo e dai suoi libri si impara l’essenziale sulla vita.

  • Pasquale D'Ascola

    Dicembre 8, 2014

    Grazie Alberto; una lingua che pretende molto; in realtà non si può leggere. Ma tornarci, con pazienza da innamorati respinti; chissà perduti o senza speranza. Vocabolario alla mano although words do not live in dictionaries ( V.Woolf BBC 1937). GIà.
    P.

  • agbiuso

    Dicembre 6, 2014

    Folgorante, Pasquale, l’accostamento e l’intuizione: un Dante non più cristiano e quindi capace di esprimere davvero la potenza degli inferi, il labirinto di questa vita, il sarcasmo supremo della materia.
    Credo che il francese di Céline sia una lingua sacra, una traccia di ciò che rimane quando plus rien existe.

  • Pasquale D'Ascola

    Dicembre 6, 2014

    MIo caro amico, mi sono inflitto la penitenza di leggerlo in francese, con difficoltà pari a una salita che ti sfinisce eppure vai avanti, c’è la nebbia eppure vai avanti, e su e su, santo cielo quanto è bella la nebbia, nebbia, arriveremo. (Vado su per sentieri insanguinati. C’è morta una sacco di gente da queste parti.) Di questo si tratta. La guida è l’incommensurabile presenza del gatto Bebert. Lui è il protagonista. Il piccolo dio, selvaggio all’occorrenza, del tutto puro. Guarda, ed è l’unico che non passa. Rigodon ha la tempra dell’assoluto, dante si fosse liberato del suo cattolicesimo? Mmm, un abbraccio.P.

Inserisci un commento

Vai alla barra degli strumenti