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Beethoven / Goethe

Ludwig van Beethoven
Sinfonia n. 7
II movimento – Allegretto
Berliner Philharmoniker – Direttore: Herbert von Karajan

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Ho già proposto l’ascolto di parte di questo movimento della Settima Sinfonia di Beethoven nella peculiare interpretazione del jazzista David Helbock. Invito adesso ad ascoltare l’intero movimento (durata 7.45) in una delle sue letture più famose e più potenti, quella dei Berliner Philarmoniker diretti da Herbert von Karajan.
È come se il dolore e la tenacia dell’esistere gorgogliassero da queste note, investendo la nostra anima e dicendoci che il grumo di materia e di tempo che siamo può tuttavia attingere un istante come quello che Faust voleva fermare.

La vicenda del Faust di Goethe comincia con un desiderio di suicidio che nasce dal sentimento tutto moderno dell’angoscia; si sviluppa in una serie tragica e grottesca di viaggi, voli, seduzioni, guerre, fantasie; si conclude con una splendida morte e si prolunga in un Paradiso romantico dove al centro sta «das Ewigweibliche; l’eterno Elemento Femminile» (verso 12110) (Goethe, Faust, introduzione, traduzione con testo a fronte e note a cura di Franco Fortini, Meridiani Mondadori, 1990). Nel poema domina una dismisura tutta moderna, assai lontana dai Greci, tranne – non a caso – nell’atto terzo della seconda parte, negli episodi ambientati a Sparta, davanti alla bellezza indicibile di Elena.
Tutto in Goethe vorrebbe essere greco e l’intelletto del poeta certamente lo è. Egli, infatti, ripete con Sileno che «drum besser wärs, daβ nichts entstünde; meglio sarebbe che nulla nascesse» (Mefistofele v. 1341) e «O wär ich nie geboren!; Non fossi mai nato» (Faust al v. 4596). Alla percezione del male che è l’esistere anche Goethe pone come controcanto la bellezza della luce, il culto del Sole, un’ontologia panteistica che fa di ogni ente la parte provvisoria e finita del Tutto. Non solo: uno degli strumenti con i quali Mefistofele cerca di ingannare Faust consiste nell’indurlo a disprezzare «Vernunft und Wissenschaft / Des Menschen allerhöchste Kraft; ragione e scienza, / poteri supremi dell’uomo» (1851-52) a favore di poteri demoniaci, magici, irrazionali.

Il poeta è pienamente consapevole dei limiti che il tempo e la materia pongono a ciò che vive e quindi anche all’umano; egli conosce la finitudine che intesse di sé ogni desiderio, pensiero, gioia, attimo. Nereo può, infatti, dire degli umani che essi sono «Gebilde, strebsam, Götter zu erreichen, / Und doch verdammt, sich immer selbst zu gleichen!; creature tese a eguagliarsi agli dèi, ma / sempre dannate a essere se stesse» (8096-97) e Faust è costretto a un certo punto ad esclamare che «O daβ dem Menschen nichts Vollkommnes wird, / Empfind ich nun!; Ah che nulla di perfetto ha l’uomo in sorte, / ora lo sento» (3240-41).
Dove Aristotele privilegia, a partire dallo stupore, la teoria, la contemplazione saggia del mondo, Faust condivide il principio mefistofelico secondo il quale «grau, teurer Freund, ist alle Theorie, / Und grün des Lebens goldner Baum;  è grigia, caro amico, qualunque teoria. / Verde è l’albero d’oro della vita» (2038-39). La tensione faustiana «zum höchsten Dasein», a una «più alta esistenza» (4686) trova in tal modo il suo significato nel culto tutto moderno per «die Tat», per l’azione.
Alla fine Faust sarà visitato, vinto, accompagnato verso la morte dalla forza che costringe gli umani lungo tutta la loro esistenza: die Sorge, la Cura, «ewig ängstlicher Geselle; eterna compagna angosciosa». La sua «grimmige Gewalt; parvenza mutevole» (11427-11429) produce nella mente un’insoddisfazione perenne, un inquieto abitare le tenebre dell’indecisione, della preoccupazione, del futuro sempre desiderato e – quando arriva – sempre rimosso. L’irrefrenabile agitazione che die Sorge produce è il vero ma inevitabile inferno degli esseri umani, è ciò che li fa oscillare tra la noia e il dolore, è l’inquietudine senza riposo del vivere. Ecco perché Faust muore e non può che morire nel momento in cui la Cura sembra cessare e pare invece compiersi ciò che lo stesso Faust aveva ritenuto impossibile: il dire all’attimo «Verweile doch! du bist so schön!; Fermati dunque, sei così bello!» (la previsione al verso 1700; il compimento al verso 11582). Nell’attimo di gioia in cui Faust morendo appaga la propria ansia infinita, Mefistofele mormora che «In jeder Art seid ihr verloren; Comunque vada, siete perduti…» (11548).
In ogni caso si è perduti poiché fin dall’inizio si è geworfen, gettati nel mare dell’essere da un dio che «in einem ewgen Glanze; se ne sta nell’eterno splendore» mentre «uns hat er in die Finsternis gebracht; noi, ci ha messi nelle tenebre» (1782-1783). Questo accento gnostico è forse ciò che concilia il poeta moderno con la filosofia antica.
Il secondo movimento della Settima Sinfonia credo che parli  anche di tutto questo.

Come tutti

Gustave Flaubert
Dizionario dei luoghi comuni – Album della marchesa – Catalogo delle idee chic
(Dictionnaire des idées reçues)
Trad. di J. Rodolfo Wilcock
Adelphi, 1988
Pagine 190

Lavorando a Bouvard et Pécuchet – romanzo, enciclopedia, immondezzaio – Flaubert raccolse una mole imponente di documenti, citazioni, appunti, note, da cui trasse il Dictionnaire des idées reçues. Al Dizionario questa traduzione Adelphi aggiunge altri due testi dello scrittore: un breve catalogo/riassunto delle idee chic e un terrificante Album che raccoglie numerose citazioni dolciastre e patetiche di alcuni anche ammirati scrittori francesi: da Michelet a George Sand, da Balzac a Sainte-Beuve, da Cousin ai fratelli Goncourt. Di Alfred Assolant è una delle citazioni più banali: «La bellezza era il minore dei suoi incanti; ella univa il canto dell’usignolo alla flessibilità del boa constrictor» (p. 124).
Il Dizionario di Flaubert aiuta a comprendere come e perché Emma Bovary  costituisca il suicidio del Romanticismo. L’eccesso del sentimento ci rende infatti sciocchi, incapaci di capire e di ragionare. Per Emma «pensare» – come recita la voce del Dizionario – è «increscioso. Le cose che ci costringono a farlo vengono di solito accantonate» (91).
Se Bouvard et Pécuchet costituisce il romanzo del sapere impossibile è anche perché i due scrivani sono vittime e insieme protagonisti attivi del più integrale conformismo, del luogo comune elevato a metodo, dell’omologazione al pensiero e all’etica dominanti, della rassicurazione che dà il parlare come parlano tutti, il condividere i valori sostenuti dalla maggioranza del corpo collettivo. Vale a dire di ciò che oggi trionfa  in televisione, sui giornali, nella quasi totalità delle pagine di Internet e nel moralismo totalitario che attraversa il corpo sociale.
Per contrasto e paradosso, la libertà che traspare dal Dizionario di Flaubert è invece persino lancinante. Negli sparsi frammenti vince la potenza dell’idiozia ma emerge anche la via d’uscita più immediata: la riflessione, la critica, la sobrietà, il silenzio, la distanza.
«Vedere la stupidità umana e non poter più tollerarla» (Bouvard e Pécuchet, Einaudi, p. 182) è l’impressione che a volte afferra osservando la vita, semplicemente la vita. Bisogna ammettere, con un uomo assai equilibrato e da Nietzsche sino all’ultimo venerato, che «sulla terra è la volgarità che è immortale» (Jacob Burckhardt, Sullo studio della storia, Boringhieri 1958, p. 214).
Una volgarità interiore che è l’altro nome, il nome gemello, il vero nome, della stupidità.

Logos

Metto qui a disposizione il file audio della relazione che ho svolto a Chieti il 12.10.2023 in occasione del III Convegno della Società Italiana di Filosofia Teoretica (l’audio dura 27 minuti).

Il titolo della relazione fa riferimento a un’esperienza teoretica e didattica vissuta in questi anni insieme all’Associazione Studenti di Filosofia Unict. Ho cercato di descrivere le motivazioni, le modalità e gli obiettivi che dal 2018 al 2023 ci hanno stimolato a leggere (e discutere) Proust, Dürrenmatt, Gadda, Céline, Manzoni, D’Arrigo.
Il titolo Logos fa riferimento in particolare a una risposta che ho dato durante la discussione seguìta alla relazione. Mi è stato chiesto infatti quale fosse l’elemento unificante di questa esperienza, che cosa gli scrittori studiati avessero in comune. Questi elementi sono naturalmente molti ma centrale è la gloria della parola, la capacità che i grandi narratori e poeti hanno di fare dell’esperienza dolorosa e tenace della vita uno strumento di comprensione e un’espressione di bellezza, il λόγος appunto.

Le arti

È uscito da qualche giorno il numero 29 (anno XIII, novembre 2023) della rivista di filosofia Vita pensata. Numero dedicato alle arti (al plurale) con nove testi che affrontano sia tematiche teoretiche ed estetiche generali sia specifiche opere di letteratura, pittura, teatro, architettura.
Tra i contributi di argomento diverso segnalo l’ampio saggio di David Benatar (tradotto da Sarah Dierna) dal titolo Un argomento misantropico per l’antinatalismo; un testo che sono particolarmente felice di aver pubblicato anche per le ragioni indicate nell’editoriale. Quest’ultimo è firmato da un nuovo Comitato di redazione, che ringrazio per l’attento e rigoroso lavoro che ha dedicato a questo numero della rivista, così come ringrazio tutti gli autori dei saggi che la compongono.
Inserisco qui sotto i due link dai quali è possibile leggere la rivista sul suo sito o scaricarla integralmente in un nuovo formato pdf, che confidiamo renderà più comoda e funzionale la lettura. Aggiungo il testo dell’editoriale e quello di una mia breve analisi della mostra che Milano ha dedicato quest’anno a Bill Viola, la cui opera rappresenta una sintesi tra la grande arte del Rinascimento e le tecnologie contemporanee.

Filosofia e Letteratura

Giovedì 12 ottobre 2023 terrò una relazione per il III Convegno della Società Italiana di Filosofia Teoretica che si svolgerà a Chieti e a Pescara dal 12 al 14 ottobre.

Il tema del Convegno è Pensare (con) la letteratura. Temi e modelli di ‘filosofia della letteratura’ in prospettiva teoretica. Il mio intervento sarà incentrato sull’esperienza didattica e scientifica che dal 2018 organizzo con gli studenti di Unict e in particolare con i soci dell’ASFU. Il titolo è infatti Filosofia e letteratura. Un’esperienza teoretica e didattica e questo è l’abstract:

Su proposta dell’Associazione Studenti di Filosofia di UniCt (ASFU), da alcuni anni svolgo un ciclo di lezioni intitolato Filosofia e letteratura. Dal 2018 al 2023 le lezioni sono state dedicate a Proust, Dürrenmatt, Gadda, Céline, Manzoni, D’Arrigo. Si tratta di un’esperienza didattica assai proficua, nella quale i confini disciplinari mostrano ancora una volta la loro funzione utile sì ma limitata e strumentale. Come ambiti e luoghi dell’ermeneutica esistenziale, infatti, se praticate sul corpo vivo del testo, filosofia e letteratura mostrano l’identità della parola umana nella sua potenza disvelatrice e la differenza di modi espressivi che cercano di intuire e comunicare in forme diverse la complessità delle società dalle quali le opere scaturiscono, la potenza dei mondi che incarnano e manifestano, la costanza della condizione umana e la fecondità del pensiero che la indaga.

Tra Omero e Bocca di Rosa

EtnaMusa Festival – Bronte/Difesa
Odissea un racconto mediterraneo
Il Ciclope /
Canto IX
Con Mario Incudine
Arrangiamenti, musiche e tastiere: Antonio Vasta
Progetto e regia: Sergio Maifredi
Produzione: Teatro Pubblico Ligure

Nell’ampia e panoramica sede dell’EtnaMusa Festival – da un lato il vulcano, dall’altro il tramonto sui Nebrodi – (e pur con ritardo sull’orario di inizio) sono risuonate ancora una volta le parole fondatrici dell’Europa, le parole del mito, le parole di Omero. Il canto IX dell’Odissea è stato interpretato, riscritto, reinventato dalle musiche e dalla recitazione di Mario Incudine e dalle traduzioni di Ettore Romagnoli, di Luigi Pirandello, di Camillo Sbarbaro. Traduzioni così diverse confermano l’universalità del poema, la sua natura aperta e sempre odierna, nel trascorrere dei millenni. Il limpido classicismo di Romagnoli, il turpiloquio che Pirandello mette in bocca a Polifemo, la musicalità di Sbarbaro si sono alternate alle note di Incudine e Vasta.
Conclusa la lettura del poema, il musicante Incudine e il musicista Vasta (questa la definizione che hanno dato di se stessi) sono passati a un repertorio di canzoni, tra le quali la più coinvolgente è stata la traduzione in siciliano di Bocca di Rosa diventata Vuccuzza di ciuri. 

Più sotto il testo della versione di Incudine e questi i link al brano su:

E qui la canzone di De André nell’esecuzione con la Premiata Forneria Marconi:

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Era chiamata vuccuzza di ciuri
faceva l’amuri, faceva l’amuri
e lu faceva di tutti i maneri
di ‘ncapu, di sutta, davanti e darreri.

Quannu scinniu a la stazioni
Di un paesiddu cca vicinu
Si n’addunarunu vecchi e carusi
Ca ugn’era un monicu né un parrinu

C’e cu lu fa picchì  ‘cci siddia
C’e cu ‘nveci si cci ni preja
Vuccuzza di ciuri ne l’unu ne l’autru
Ppi didda l’amuri è na puisia.

Ma la passioni unni ti fa ghiri
A fari li cosi ca fannu piaciri
Senza capiri su ‘u disgraziatu
È zitu, schettu o maritatu.

Ed accussì ca di oggi a dumani
Vuccuzza di ciuri unn’avi cchiu spassu,
mentri ca tutti ddi cani arraggiati
ci iettanu ‘u Sali a chiuirci ‘u passu.

Ma li cummari d’un paiseddu
Talianu ‘ntunnu e unn’hanu cchi fari
E mentri ca perdunu a corda e lu sceccu
Su rusicanu sulu l’ossa cc’o sali.

Si sapi ca ‘a genti duna cunsigliu
Sintennusi cumu Dominneddiu
Grapunu a’a vucca ma all ‘occurrenza,
un sanu diri mancu piu.

Accussi ‘na vecchia schittusa e acita,
senza né figli e senza cchi’u vogli,
si piglia’u culu a puzzuluna
e ghiva dittannu la so dottrina.

Si la pigghiava ccu li cornuti,
dicennuci a tutti mali paroli:
cu rubba l’amuri avrà punizioni
di carrabbunera e guardi riali.

Currerru tutti a parlari ch’à guardi
Ci dissiru senza menzi paroli
dda tappinara avi troppi clienti
Chiossà  di chidda ca vinni pani
E arrivarru quattru gendarmi
Ccu li cappedda e ccu li pennacchi
Arrivarunu ‘ncapu e cavaddi
ccu li pistoli e li scupetti

ma puru i sbirri e i carrabbunera
un fanu mai u propriu duviri,
ma quannu si misiru l’alta uniformi
l’accumpagnarunu alla stazioni.

Alla stazioni c’eranu tutti
dai guardi riali o sagristanu
Alla stazioni c’eranu tutti
Ccu l’occhi vagnati e ‘u cori in manu
A salutari cu ppi tanticchia
Senza pritenniri e senza aviri
A salutari cu ppi du jorna
Purtà l’amuri ne ddu quarteri

c’era un cartellu ranni
e l’occhi chini ‘i pena
dicivunu addiu vuccuzza di ciuri
ccu ti si ni và la primavera.

Ma na notizia di sta purtata
Un’avi bisugnu di carta stampata
Cumu lu metri e lu pisari
Fici lu giru di lu quartieri.
Alla stazioni ca veni d’appressu
C’è chiossà  genti di chidda ca lassu
C’e cu s’asciuca l’occhi di chiantu
Cu si prenota p’un momentu.

E puru u parrinu ca murmuriava
Si dici mutu ‘na santa orazioni
E sta Madonna china ‘i biddizzi
a voli accanto pp’a procissioni.
E cu la Vergini in prima fila
Vuccuzza di ciuri manu ccu manu
Si porta appressu ppi lu paisi
L’amuri sacru e chiddu buttanu!

Guerra

Céline. Sulla guerra, contro la guerra
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
9 giugno 2023
pagine 1-4

Da alcune settimane è in libreria Guerra di Céline, un libro il cui manoscritto era stato trafugato nel 1944, che è stato ritrovato ed edito da Gallimard nel 2022 e adesso in Italia da Adelphi.
La musica di questo romanzo comincia con una dichiarazione che poi tutto lo intride, lo guida, lo determina, lo spiega:  «Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa». Una guerra che il caporale Destouches (il vero nome di Céline) odia, pur essendo insignito della «Croce di Guerra», pur essendo stato eroe coraggioso ed esempio per gli altri soldati. Odio e orrore che abitano e gorgogliano in pagine nelle quali pulsa per intero la potenza di uno degli scrittori più grandi della letteratura universale.
Questo capolavoro coglie e restituisce la guerra come nessun’altra opera che io conosca; ci aiuta a capire in modo profondo e radicale anche la guerra in corso della NATO contro la Russia tramite l’Ucraina e ci fa chiedere che essa finisca. Perché la guerra è un fatto, una catastrofe, una potenza antica dentro la quale l’umano abita e si perde, diventando la sua mente nella guerra «ormai solo una corrente d’aria di uragani».

 

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