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Il nome

Il nome

Cena tra amici
(Le prénom)
di Alexandre de La PatellièreMathieu Delaporte
Con: Patrick Bruel (Vincent), Charles Berling (Pierre), Judith El Zein (Anna), Valérie Benguigui (Élisabeth), Guillauma De Tonquedec (Claude), Françoise Fabian (Françoise)
Belgio-Francia, 2012
Trailer del film

Parigi. È Vincent che racconta. Sta per recarsi a cena dalla sorella Élisabeth e dal cognato Pierre, due intellettuali di sinistra molto attenti alla correttezza politica. Ci sarà anche Claude, musicista e amico d’infanzia della famiglia. Arriverà poi Anna, moglie di Vincent, il quale è un affermato e ricco agente immobiliare. Anna è incinta. Tra uno spuntino e una battuta, qualcuno chiede che nome daranno al bambino. La risposta scatena una vera e propria guerra che scontro dopo scontro, ricordo dopo ricordo, accusa dopo accusa, farà emergere piccoli e grandi segreti di tutti.

Il titolo originale è Il nome, l’unico titolo possibile per un film di grande intelligenza, benissimo recitato, nel quale si ride molto andando in profondità nell’analisi della natura umana e dei pregiudizi contemporanei. Viene giustamente preso in giro il politicamente corretto, che negli Stati Uniti è una vera e propria religione e che rischia di estendersi anche all’Europa. Il nome scelto da Vincent e da Anna per il loro bambino è infatti insostenibile agli occhi di chi ritiene che le parole non debbano mai alludere a qualcosa che potrebbe suscitare il risentimento di qualcuno. Il risultato di una simile sciocchezza sarebbe naturalmente il silenzio, come Vincent ha buon gioco a mostrare elencando tutta una serie di altri possibili nomi.
Il politicamente corretto è quella forma di bigottismo che induce a condannare quasi tutte le fiabe -ad esempio, Cappuccetto rosso sarebbe offensivo verso i lupi e quindi verso gli animalisti (ricordo che sono vegetariano e animalista convinto)-, a censurare moltissimi capolavori letterari -l’organizzazione “Gherush92” ha chiesto seriamente l’eliminazione della Divina Commedia dai programmi scolastici poiché l’opera è piena di «contenuti antisemiti, islamofobici, razzisti ed omofobici»-, a rivolgersi ai propri interlocutori collettivi nelle mail con espressioni quali “Care/i” oppure “Car*” per evitare di apparire maschilisti. E così via, in un progressivo trionfo della censura che non a caso nasce in una cultura intimamente conformista come quella degli Stati Uniti d’America (consiglio, a questo proposito, la lettura di Robert Hughes, La cultura del piagnisteo, Adelphi 2003).
Nelle sue scene più drammatiche questo film mostra come i più accaniti difensori del pudore semantico siano poi pervasi da sostanziali pregiudizi. Il tono tuttavia rimane sempre quello di una commedia assai divertente nella quale le parole si incrociano con geometrico sorriso e con ironica libertà.

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