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Contro il Sessantotto. Saggio di antropologia

Contro il Sessantotto. Saggio di antropologia

Nuova edizione
Villaggio Maori Edizioni
Catania, 2012
Collana I Saggi del Villaggio

ISBN 978-88-906119-3-3
Pagine 176
€ 14,00

La prima edizione di Contro il Sessantotto (1998) è andata esaurita presso l’editore Guida. Questa seconda edizione presenta una Prefazione di Eugenio Mazzarella, alcune modifiche al testo e un nuovo capitolo dal titolo «Desiderio del Sessantotto. Un’ambigua autocritica».

Questo è l’indice completo:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

28 commenti

  • agbiuso

    Novembre 20, 2017

    Quanto sta accadendo al Liceo Virgilio di Roma costituisce l’ennesima conferma delle analisi sviluppate in questo libro sul fondamento classista della cosiddetta “rivolta giovanile”, sulla sua piena identità con la Società dello Spettacolo e con l’American way of life.

    ==========
    La preside abbandona invece ogni forma di cautela e dice chiaro e tondo che nel liceo esiste un «clima mafioso e intimidatorio all’interno della scuola da parte di un gruppetto di studenti. Con i genitori che li spalleggiano». L’occupazione, afferma ancora, è stata “una gazzarra: sesso, droga e alcol, altro che impegno politico. Questi qui non sanno nemmeno cosa sia. Sono una minoranza di soggetti che comanda su una maggioranza silenziosa, fin troppo silenziosa”. Questa minoranza come si comporta? “Hanno un atteggiamento di sfida, intimidiscono compagni e adulti. Senza parolacce, perché comunque vengono da famiglie della Roma bene. Sono subdoli e hanno trasformato questa scuola in un porto franco. Ma questa è una scuola pubblica, mica una lobby di studenti e genitori!”. I genitori sono l’altra nota dolente: spalleggiano i figli e non sono preoccupati se si fanno gli spinelli. “Quando convochiamo padri e madri – dice la preside – ci rispondono che gli spinelli servono per calmare i figli, che se consumano stupefacenti a scuola, in fondo non sono preoccupati, perché meglio in classe che per strada. Qualcuno è anche arrivato a rispondermi: “Vuol dire che qui c’è roba buona”».
    ==========

    Fonte: il Fatto Quotidiano, 20.11.2017

  • agbiuso

    Ottobre 25, 2017

    Ringrazio Pasquale D’Ascola per avermi segnalato un video con la testimonianza lucida e disincantata di Massimo Fini sul Sessantotto e dintorni: Biografia di un giornalista ribelle.
    Sarebbe facile e legittimo da parte mia dire che avevo compreso e scritto tutto questo [e spero molto altro 🙂 ] venti anni fa in Contro il Sessantotto.
    E lo dico infatti, nella consapevolezza che chi studia ha il dovere di cercare di capire il mondo al di là delle banalità e dei conformismi. In questo libro scrissi che «il Sessantotto ha vinto». Il mio impegno di educatore e di libertario è anche una continua resistenza a questa vittoria.

  • agbiuso

    Settembre 16, 2013

    A proposito della incapacità, malafede e scorrettezza dei tecnici del Ministero dell’Università e della Ricerca -e quindi anche dei ministri che ne sono responsabili- segnalo una breve analisi che riguarda l’ASN, l’Abilitazione Scientifica Nazionale, vicenda che mi riguarda anche personalmente:
    L’8 settembre dell’Abilitazione Scientifica Nazionale.
    L’attuale governo non riesce proprio a risolverne una. Soltanto chiacchiere. O meglio, come diceva il personaggio di un film di De Palma, “tutto chiacchiere e distintivo”.

  • agbiuso

    Settembre 14, 2013

    Certamente, caro Diego.
    Ma qui il discorso non è generico e si riferisce, invece, a una ben precisa questione: i test dell’INVALSI che sono mal concepiti e peggio applicati.
    Da questi test di chiarissima impronta aziendale deriva l’idea -veramente staliniana e polpottiana- di “rieducare” gli insegnanti imponendo loro corsi obbligatori -e quindi tempo/lavoro- al di fuori di qualunque contrattazione nazionale. E indovina chi terrebbe tali corsi? I pedagogisti, tecnici e consulenti del Ministero, i quali verrebbero pagati profumatamente mentre gli insegnanti dovrebbero sottostare in modo del tutto gratuito.
    Non è un caso che le associazioni di categoria dei presidi (che hanno ottenuto il titolo aziendale di “Dirigenti Scolastici” ma io sempre presidi li chiamo), esse sì corporative e sempre filogovernative, siano d’accordo.
    Si tratta di uno dei tanti obbrobri giuridici e pedagogici di uno dei ministeri più clientelari e ideologici che ci siano in Italia.
    Le questioni, importanti e delicate, dell’apprendimento qui c’entrano poco e molto invece l’autoreferenzialità della burocrazia del MIUR.

  • diegob

    Settembre 14, 2013

    sarò sincero, non sono d’accordo in toto, lo sono nel principio ma non per il campo d’applicazione

    considerare anche «lo studente che ha fallito», come scrivi tu, caro Alberto, è giusto, perchè chi studia deve anche esser responsabile; però è giusto se parliamo di liceo classico o scientifico, scuole che dovrebbero essere impegnative, ma non è un ragionamento possibile se ci riferiamo alla scuola dell’obbligo; se un bambino di dieci anni non ha imparato a leggere e a scrivere (e non è dislessico), una qualche responsabilità, dopo quattro anni, qualcuno la deve pur avere; ci sono insegnanti bravissimi ma anche delle persone di poco valore, nella scuola, e i sindacati di categoria, per mestiere, difendono tutti; il corporativismo è un altro dei frutti avvelenati del ’68, a mio avviso;

  • agbiuso

    Settembre 14, 2013

    Il mostruoso congiungimento tra l’aziendalismo anglosassone e i cascami di stalinismo italiano produce imposizioni come quelle di cui qui si dà notizia: Alunni somari? L’insegnante torna tra i banchi

    È l’ennesima conferma di quanto scrivevo nel 1998: «La responsabilità di un fallimento scolastico è addossata a tutti: istituzione, insegnanti, ambiente sociale, intera comunità. A tutti, tranne che allo studente che ha fallito» (Contro il Sessantotto. Saggio di antropologia, pp. 88-89 della nuova edizione 2012).
    Gli insegnanti hanno le loro responsabilità, certo, ma non sono quelle individuate dai tecnici del MIUR. Contro uno Stato che tratta i docenti come reprobi da rieducare, gli insegnanti potrebbero reagire barando, vale a dire aiutando i loro alunni a rispondere ai quesiti di quell’ammasso di ideologia autoritaria e tecnocratica che è l’INVALSI con i suoi test aziendalistici.
    Così tutti saranno contenti: ministero e famiglie. In Italia non si vuole in realtà mai riconoscere il merito ma far finta di riconoscerlo, questo sì.

  • agbiuso

    Settembre 13, 2013

    Caro Penna, la ringrazio molto per questa vera e propria recensione, così analitica, partecipe, comprendente. L’affermazione secondo la quale il Sessantotto è stato anche “una rivoluzione del Potere per il Potere, una rivoluzione che decise in apparenza di contrastare quest’ultimo al solo fine di meglio servirlo” credo che sintetizzi con chiarezza la componente storico-politica di un libro che vorrebbe soprattutto porsi su un altro terreno, quello appunto di un’antropologia politica, che è altra cosa rispetto alla storiografia.
    Se il mio libro le ha permesso di cogliere una prospettiva che prima non aveva scorto, vuol dire che esso ha ottenuto il suo scopo.
    Grazie ancora per una lettura così attenta e radicale “contro gli avatar” di allora e di adesso.

  • Giulio Penna

    Settembre 12, 2013

    Contro gli avatar, per l’umano

    Sono felice di aver letto questo libro, felice di quella felicità che solo l’acquisizione di nuovi strumenti per la comprensione critica della realtà, può dare. Non mi considero un neofita riguardo agli argomenti affrontati, ma la profonda precisione con cui ogni argomento è stato trattato, la completezza con cui tutti gli aspetti di questa teoria critica di un evento così cruciale per l’umanità sono stati indagati, hanno avuto il merito di fornire alla mia comprensione un ulteriore tassello a quel mosaico che rappresenta l’immagine che ciascuno di noi ha del mondo: suppongo che semmai un libro avesse una funzione, questa sarebbe quella di fornire un paio di occhiali, mutuando da Proust, per guardare il mondo con una prospettiva nuova. Bene, questo libro adempie tale funzione.
    La struttura, che fluisce da una prima parte in cui si riportano i dati e i fatti salienti, scorrendo come in un climax attraverso una profonda e meticolosa analisi delle cause e delle conseguenze – significativa la pervicacia con cui si fa ricorrere il fantasma di Rousseau quasi come un anatema – giunge al fulcro dell’opera, a quell’antropologia disincantata e pagana, conscia dei limiti biologici (ma non solo) degli esseri umani, per porsi come soluzione “all’unicità, l’integrità, l’assoluto astorico di tutte le utopie metafisiche o politiche” coltivando “un pensiero capace di cogliere il valore del diverso, il significato positivo della differenza”(pagina 120).
    Il Sessantotto fu un fenomeno che si affermò attraverso la radicata teorizzazione di una rivoluzione anticopernicana: una terra piatta, un mondo appiattito, un globo reso bidimensionale e immobile. Questo fu il risultato di un’imposizione teorica, quasi teologica che, da Rousseau a Marx passando per Hegel, ha fondato sull’illusione e sull’utopia un sistema più fascista dello stesso Fascismo, lo stesso sistema che oggi governa la nostra società catodico-borghese che, ormai paralizzata in un’afasica quanto omologata coscienza critica, altro non può che agonizzare fra le proprie macerie. D’altronde il Sessantotto, pienamente inserito nel sistema del potere poiché radicato in esso, non avrebbe mai potuto non fallire proprio perché fu ideato per fallire, anzi converrebbe dire che fu ideato per distruggere. A ragion veduta credo che riuscì pienamente nei propri intenti, cioè nell’attuare le prerogative per le quali si sviluppò: una rivoluzione di Stato per lo Stato, del Potere per il Potere, una rivoluzione che decise in apparenza di contrastare quest’ultimo al solo fine di meglio servirlo. Se volessimo invece credere in un fallimento innocente, cioè se guardassimo all’inefficacia del Sessantotto non in relazione all’ipotesi che vi fu qualcuno che ordì fin dal principio le conseguenze che tutt’oggi patiamo ma a una disfatta maturata per varie cause di natura sia ideologica che accidentale, dovremmo comunque confrontarci con la natura del Potere, che mai si pone in un’opposizione binaria contro chi il Potere è costretto a subirlo, né sussiste all’interno palazzi impenetrabili né quantomeno in conciliaboli esoterici quanto elitari, piuttosto si manifesta in tutti gli aspetti della vita e delle relazioni di tutto il tessuto sociale, negli stessi aspetti e relazioni in cui si formano le opposizioni ad esso. E quest’ordine di contrapposizione fra le molteplici espressioni del Potere e le molteplici resistenze ad esso, proprio perché espresso attraverso posizioni eterogenee fra loro, non potrà mai trovare un reale strumento di opposizione al Potere in un fenomeno sistematico e istituzionalizzato attraverso una ideologia ecumenica [“L’ideologia è esattamente la rimozione della realtà, il disprezzo dei fatti rispetto alla dottrina”(pagina 53)] quale fu quella dalla quale il Sessantotto prese l’habitus, proprio perché “non c’è dunque, rispetto al potere, un luogo del grande rifiuto – anima della rivolta, focolaio di tutte le ribellioni, legge pura del rivoluzionario; ma vi sono delle resistenze che sono esempi di specie: possibili, necessarie, improbabili, spontanee, selvagge, solitarie”(M.Foucault, La volontà di sapere, IV, 2, pagina 85). Questo resta dunque il grande limite di tutte le rivoluzioni( com’è accaduto anche in questi anni alle cosiddette rivoluzioni “colorate”, o alla “primavera araba”), un limite però più evidente e più decisivo nel caso del Sessantotto, poiché più che in altri casi l’omologazione di ogni differenza non fu solo una ragione costituente(per cui si istituì un corpus di protesta interclassista), ma la ragione d’esistenza stessa di tale movimento.
    Solto un falso progetto di democrazia e di uguaglianza, comunque inattuabile perché in contrasto con la natura umana, si istituzionalizzarono prima di ogni altra cosa il rifiuto per le responsabilità e per i limiti, in assenza dei quali trovò un terreno fertile ove svilupparsi tanto l’assenza del nomos e della misura quanto la rinuncia ad ogni legame con i valori culturali derivati dalla conservazione della memoria collettiva: da tale istituzionalizzazione nacquero i prodromi del neoprimitivismo che domina ogni espressione artistica, ogni evento di socializzazione, ma soprattutto ogni forma di linguaggio. E se proprio dal dominio del linguaggio il Potere trova il massimo vantaggio ai fini della propria autoconservazione e della propria efficacia nel controllo delle masse, saranno proprio i mezzi d’informazione a giocare un ruolo fondamentale in tale ottica; sembra allora indiscutibile considerare il mezzo televisivo lo strumento principale con cui il Potere poté (e può) controllare il linguaggio, a mio avviso non soltanto come strumento di disinformazione e di distrazione, ma come creatore di nuove divinità, atte a soddisfare l’insita necessità di ogni spettatore che aneli di essere il suddito di un’entità ad esso superiore: ecco che ogni figura che appare in onda diviene un Avatar pronto a ristabilire il Dharma, che in questo caso sarà la voce del padrone, il memorandum che con costanza impone allo spettatore, posto nella passiva impossibilità di reagire, il diktat del Potere. Per questi motivi, per evitare tali meccanismi di controllo del pensiero e dell’annullamento di ogni coscienza critica, emerge sopra ogni cosa l’importanza di un gesto: “spegnere il televisore, non riaccenderlo, disfarsene. In cambio ci verrebbe restituito il tempo, il rifiuto dell’ovvio, lo sguardo straniato e straniante rispetto al veleno che ormai non ci rendiamo più nemmeno conto di assorbire dalla scatola incantatrice e incatenatrice” (pagina 154).

  • agbiuso

    Aprile 10, 2013

    Segnalo l’attenta e analitica recensione che Giacomo Pezzano ha dedicato al libro.
    È apparsa sul numero 2/2012 (anno III) del Lessico di Etica pubblica.
    L’autore ha colto le vere intenzioni -che sono antropologiche- del libro, in particolare l’esigenza di oltrepassare il dualismo natura/cultura.

  • Salvatore La Porta

    Dicembre 30, 2012

    Salve, Jessica: può contattarmi dopo Capodanno alla mail lazarus@villaggiomaori.com e le faremo avere i testi necessari.
    A presto.

  • agbiuso

    Dicembre 30, 2012

    Gentile Jessica, la ringrazio molto dei complimenti e dell’interesse verso il libro. La vecchia edizione è da tempo esaurita, quella nuova è senz’altro disponibile.

    Se abita nella zona di Catania, basterà recarsi in una qualunque buona libreria della città per avere il libro. Qui comunque trova l’elenco delle librerie fiduciarie:
    http://www.villaggiomaori.com/librerie-fiduciarie/

    Se invece abita fuori dalla Sicilia, si può rivolgere direttamente all’editore
    [ http://www.villaggiomaori.com/contatti/ ], che penso le risponderà in tempi brevi.
    Se dovesse incontrare delle difficoltà, mi mandi pure una mail e cercheremo di superarle.

  • Jessica

    Dicembre 30, 2012

    Buongiorno, dove posso trovare il suo libro professore? Ne sarei interessata perché a scuola abbiamo preso in considerazione di leggerlo, ma non è facile trovarlo, soprattutto la nuova edizione oltre al fatto che siamo sotto le feste, quindi le spedizioni hanno periodi molto lunghi. Gli faccio i complimenti per i suoi lavori, l’ammiro e le auguro buone feste.

  • agbiuso

    Aprile 25, 2012

    Caro Diego, di fronte a una recensione così partecipe, acuta e vivace, io posso dirti -ancora una volta- soltanto grazie. E’ davvero una grande fortuna avere amici e lettori come te.

  • diego b

    Aprile 25, 2012

    ovviamente queste mie riflessioni non hanno alcun valore accademico e sono prive di un adeguato supporto di conoscenza, ma siccome ormai sono un lettore «noto» di questo libro, mi permetto di segnalare le mie irrilevanti considerazioni

    http://diegod56.wordpress.com/2012/04/25/dal-68-alla-societa-dello-spettacolo/

  • agbiuso

    Aprile 23, 2012

    Non hai scritto nessuna sciocchezza, caro Diego, e anzi complimenti per la vastità e la densità delle tue letture.
    Come avrai notato, il riferimento a Deleuze e Guattari compare soltanto nel capitolo V, che ho aggiunto in questa nuova edizione.
    L’anti-Edipo -un libro davvero importante- è infatti per me non tanto “un testo del Sessantotto o del Settantasette” ma uno dei documenti più chiari della complessità e della molteplicità delle ondate di ribellione avvenute nella seconda metà del Novecento, un emblema della potenza del desiderio e della sua ambiguità, una prova dell’utilizzo che l’autorità è capace di fare anche delle analisi e delle pratiche più sovversive.
    E’ anche per aver individuato questa caratteristica inglobante e metamorfica del potere che Debord è stato in grado di cogliere come nessun altro la struttura spettacolare sia del dominio che della rivoluzione.

  • diegob

    Aprile 23, 2012

    mi permetto, caro alberto, una considerazione su «L’anti-Edipo», libro complesso che ho nelle mani in questo momento mentre scrivo

    è l’edizione einaudi del ’75, mentre nel colophon c’è scritto d’una edizione francese del ’72

    in effetti, probabilmente è dovuto alla mia competenza traballante, ma io non avrei rubricato questo testo come un testo del ’68, perchè a me pare più uno dei testi di riferimento dell’altra grande ondata «rivoluzionaria» (lo scrivo con ironia), quella del ’77, nella quale fra l’altro avevo l’età giusta per «esserci»

    ricordo molto bene che lessi «la rivoluzione molecolare» di guattari nel 78 (è un ricordo particolare perchè avevo quel libro in mano quando «esplose» la notizia del rapimento Moro)

    quindi questi autori, mi sembrano più vicini a quell’epoca successiva anche se, probabilmente, tu hai inteso il ’77 come una propaggine del ’68, seppur oscillante fra la follia della lotta armata e il folklore degli indiani metropolitani (chi se li ricorda?)

    spero di non aver scritto una sciocchezza, ma questo punto mi è rimasto un po’ enigmatico, alla lettura

  • agbiuso

    Aprile 23, 2012

    Caro Diego, il tuo “diario di viaggio” dentro questo libro è un’esperienza per me particolare e preziosa. Mi fa capire che cosa un lettore attento si aspetta, quello che trova, ciò che costruisce dentro se stesso a partire dalle mie pagine.
    Grazie anche per questo, oltre che per l’apprezzamento così sincero, così partecipe e -naturalmente- così gratificante per me.

  • diegob

    Aprile 23, 2012

    caro alberto, è un libro così ricco di argomenti, prospettive, stimoli, che un filosofo vacuo e verboso con uno solo dei tuoi capitoli ci costruiva 300 pagine

    oltre a tutto, c’è anche una prospettiva interna, un biuso «prima» e un biuso «adesso» che gli conferisce un fascino ulteriore

    grande libro…

  • diego b

    Aprile 21, 2012

    continuo a tediare i qualificati frequentatori di questo coltissimo blog, con una sorta di diario di viaggio, intendendo per viaggio la lettura di questo importante libro

    ci tornerò in modo organico, a scriverne, ma intanto dalla lettua traggo un mio consiglio a quanti, molti spero, acquisteranno «contro il sessantotto»

    secondo me è utile leggere prima (o comunque leggere anche) «antropologia e filosofia» perchè ci permette di collocare sul giusto sfondo l’articolato e interessantissimo ragionamento del prof. biuso sul ’68

    la questione di una visione antropologicamente fondata di quella che è la vera natura umana è centrale, decisiva

    ma non vado oltre, ci torneremo su

  • diegob

    Aprile 20, 2012

    è molto interessante la lettura critica (direi quasi polemica) sulla «lettera ad una professoressa»

    in effetti leggendo mi è venuto in mente, caro alberto, uno scritto di padre ernesto balducci (autore ben noto ai cattolici di sinistra) dove in qualche modo critica don milani, o quanto meno marca la sua diversità

    balducci era un sacerdote, ma figlio dei minatori dell’amiata, e rivendica le sue radici in contrapposizione a don milani, di cui in qualche modo mette in evidenza la provenienza borghese, da cui in fondo guarda gli ultimi che vuol riscattare

    ora in effetti è scorretto ricordare senza citare ma non ho il libro sotto mano e poi qui, come blog, siamo in ambito colloquiale, quindi spero di esser perdonato

  • agbiuso

    Aprile 17, 2012

    L’analogia non è affatto ironica, caro Diego; mi sembra anzi molto efficace. Ancora una volta materia e semantica convergono.
    Ti ringrazio per l’accurata descrizione tecnico-grafica del volume.

  • diegob

    Aprile 17, 2012

    ottimo dott. la porta, il libro è impaginato bene, pur nella sua sobrietà

    un piccolo dettaglio, per esempio: l’inizio dei capitoli è sempre sulla pagina dispari, lasciando la pari a sinistra bianca, dando così al lettore un bel senso di nuovo incipit, ovviamente senza il numero di pagina in basso

    certamente si coglie lo sforzo di creare un libro di qualità pur dentro costi ridotti (posso ben immaginare che, nonostante l’importanza dell’amico alberto, non siamo a tirature altissime, che consentono economie di scala)

    al tatto, il leggero rilievo dell’inchiostro in copertina mi fa supporre una stampa digitale (non son sicuro), ma i caratteri hanno un buon nero coprente, non sono slavati come certi libretti in offset ad alta tiratura e basso costo

    chiedo scusa per l’argomentazione non troppo filosofica, ma in fondo stiamo parlando di un libro

    mi concedo, caro alberto, un ironico parallelo:

    un libro è un po’ come il corpomente del prof. biuso: non è solo fatto della carta e dell’inchiostro, dell’impaginazione e della stampa, ma senza di essi non si darebbe vita al libro come opera, come grumo di pensiero fatto carta

  • Salvatore La Porta

    Aprile 17, 2012

    Grazie dei complimenti, signor Bruschi.
    Buona lettura.

  • diegob

    Aprile 17, 2012

    sto leggendo con grande interesse

    una prima annotazione, autobiografica

    è diverso aver vissuto gli anni 70 in una sonnacchiosa città di provincia rispetto ad averli vissuti in una grande e feroce metropoli

    se hai vissuto in provincia, tutto è stato più attutito, più alla buona

    ma ci torneremo su

    il libro è bellissimo

  • agbiuso

    Aprile 16, 2012

    Caro Diego, ho informato l’editore di questo apprezzamento professionale verso la grafica del libro. Venendo da un grafico particolarmente esperto e competente, non può che farci piacere.
    Grazie anche per l’invito all’acquisto dei miei libri. Ne vorrei davvero tanti di amici/lettori come te! 🙂

  • diego b

    Aprile 16, 2012

    sobria ed elegante la copertina, con un interessante gioco di bianco/nero, che caratterizza tutta la collana «i saggi del villaggio»

    l’interno è su una buona carta avorio, l’impaginazione, pur trattandosi di un formato tascabile, non è esageratamente compressa nella pagina e rimane sufficientemente ariosa (non come accade in certi oscar mondadori dove i caratteri sono piccolissimi e si arriva a pochi mm dal bordo)

    per il prezzo contenuto, un bel volumetto, quindi, ragionando da grafico, un plauso al villaggio maori

    per commentare il contenuto, ovviamente, devo leggerlo, ma mi è arrivato giusto stamattina…

    un appello (scherzoso) ai tanti lettori a scrocco, come me, che vengono sul sito a leggere i pensieri del prof. biuso: comprate i libri! la cultura, quella vera, costa meno di una pizza, e rimane più a lungo dentro di noi

  • agbiuso

    Marzo 28, 2012

    Grazie di cuore, cara Alessandra. Spero che il libro possa essere ancora interessante e che il nuovo capitolo renda più equilibrata l’analisi che avevo tentato di un fenomeno complesso, che ha delle radici profonde e che ha trovato nella Destra televisiva uno dei suoi esiti più radicali.
    In ogni caso, la splendida prefazione che Eugenio Mazzarella ha voluto donare al testo merita da sola l’intero libro.
    Se passerai da Catania, fammelo sapere. Intanto, un abbraccio a te e a Fabrizio.

  • sandra tigano

    Marzo 27, 2012

    Alberto, per il momento e in attesa di leggerti, complimenti vivissimi!
    I miei più cari auguri per questa tua nuova fatica del pensiero, riedita e riattualizzata, come tu sai ben fare, con il tuo impegno originale e autocritico.
    Un caro abbraccio, anche da parte di Fabrizio

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