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Sul suicidio (e altri saggi scelti)

Sul suicidio (e altri saggi scelti)

Sul suicidio
di David Hume
Introduzione di Gaetano Vittone
Edizione a cura di Giuseppe Torresi
Traduzione di Chiara Vitalone
Villaggio Maori Edizioni
Catania, 2008
Pagine 80

Le riflessioni di Hume sul suicidio ben si inseriscono nel quadro naturalistico che sottende tutto il suo pensiero. Se il suicidio è un “crimine” perché infrange il corso delle cose voluto dalla potenza divina, allora va giudicato altrettanto colpevole ogni e qualsiasi intervento sulla natura, le sue leggi, le sue manifestazioni:

Se disporre della vita umana fosse un diritto esclusivo dell’Onnipotente, tanto che fosse una violazione del suo ufficio per gli uomini disporre delle proprie vite, sarebbe ugualmente criminoso agire per la sua conservazione come per la sua distruzione. Se schivo una pietra che sta per cadere sulla mia testa, turbo il corso della natura e usurpo quella particolare funzione propria dell’Onnipotente, prolungando la mia vita oltre il tempo che, secondo le leggi generali della materia e del moto, Egli le aveva assegnato. (pp. 15-16)

Tra le altre argomentazioni a difesa del suicidio ve n’è una la cui verità è evidente, quella per la quale «nessun uomo abbia gettato via la vita, finché essa era degna di essere conservata» (20). È l’attenzione alla qualità dell’esistere a essere del tutto disprezzata dal fanatismo e dalla superstizione che vogliono legare gli umani alla sofferenza come se essa fosse un valore da perseguire invece che un male da, finché è possibile, evitare. A tale superstizione monoteistica Hume oppone l’etica naturalistica del mondo classico, ben riassunta nella parole di Seneca e di Plinio. Il primo ringrazia Dio «quod nemo in vita teneri potest» (Epist. 12, qui 67). Il secondo compiange gli dèi proprio perché non possono, pur volendolo, darsi la morte: «Deus non sibi potest mortem consciscere, si velit, quod homini dedit optimum in tantis vitae poenis» (Nat. Hist. II, 5, qui 69).

Nonostante la frequente ironia che esercita anche sul mondo classico, Hume è ben ancorato in esso. Lo dimostrano la difesa della serenità e della gioia contro ogni cupezza e malinconia su questa e su altre vite; il socratismo di fondo che gli fa dire come sia molto raro «che un uomo di gusto e di sapere non sia, alla fine, un uomo onesto, qualsiasi debolezza possa mostrare» (57); l’analisi di sentimenti quali l’innamoramento o il pregiudizio positivo che ogni specie e individuo nutrono nei confronti dei propri figli; la precisione con la quale riassume l’atteggiamento di fondo di una filosofia che pur detesta come la platonica.
È anche la capacità analitica che le è propria a fare della filosofia, compresa quella di Hume, un «antidoto supremo contro le superstizioni e la falsa religione», un farmaco che sa arrivare là dove gli altri falliscono. (11) Per Hume il suo limite è, semmai, di costituire un sapere e un atteggiamento troppo sofisticati per essere alla portata di tutti. La filosofia richiede, infatti, una natura a essa predisposta.

Questo importante libro rende quindi accessibili alcuni saggi di Hume non facilmente leggibili in italiano. La traduzione e la cura sono ottimi. L’introduzione di Gaetano Vittone si conclude con una citazione di Quine secondo il quale «la situazione humiana è la situazione umana» (5). Pur ritenendo tale affermazione iperbolica e parziale, riconosco che il filosofo scozzese ha colto molto della identità e della potenza umane quando ha sostenuto la centralità della mente nella costruzione del senso e del valore delle cose:

Tutte le differenze di condizione di vita dipendono dalla mente; e non esiste alcuna situazione che sia in qualche modo preferibile a un’altra. Il bene e il male, sia fisico che morale, sono del tutto relativi ai sentimenti e agli affetti umani. Nessun uomo sarebbe più infelice, se potesse mutare i suoi sentimenti. Come PROTEO, egli potrebbe sfuggire a tutti gli attacchi della fortuna, con la trasformazione continua del suo aspetto e della sua figura. (55)

La mente-proteo è dunque capace di fare del mondo il luogo del significato, uno spazio semantico e fenomenologico che è l’autentico spazio umano al di là di ogni oggettivo darsi della materia.

4 commenti

  • Mariella Catasta

    Ottobre 23, 2010

    Oggi sembra impossibile realizzare i propri sogni. Attanagliati da necessità vere e false, non riusciamo a discriminare ciò che ha valore da ciò che non lo ha . La vita stessa sembra una prerogativa di chi può permettersi un progetto.

    Chi proietta sui figli i propri sogni ha già sbagliato in partenza: non saranno nè ciò che noi speravamo nè ciò che loro vorrebbero essere.
    Nell’aria immota del non senso la nostra esistenza fluisce inesorabile verso la fine, e noi consapevoli dell’ impotenza di cambiare il mondo e di orientarne il cambiamento rischiamo il vortice del desiderio di morire.
    Possiamo uscire dall’impasse ?

  • giuseppe cerruti

    Gennaio 21, 2010

    la materia si da (anche) nelle funzioni mentali e talvolta (per buoni motivi, presumibilmente) si da (così tanto) per scontata da scegliere di non darsi più

  • Anatol

    Ottobre 9, 2009

    Un testo illuminante.
    Come tutte le opere di David Hume a mio parere.

  • Mariella Catasta

    Ottobre 4, 2009

    Il suicidio è espressione di una mancanza di creatività e di fiducia nella possibilità del cambiamento . Quando tutto appare sclerotizzato , quando la mente umana non riesce ad uscire dall’impasse vissuta nell’immanenza della sua condizione, quando sperimenta l’impossibiltà della libertà , allora la morte sembra l’unica via di uscita . Sembra , ma non lo è . Occorre ragionare sul concetto di libertà , di qualità della vita , di sofferenza fisica e psicologica per capire le “ragioni” del suicidio .
    La pedita dell’autostima presente in varie forme di depressione portano alla riduzione progressiva della forza vitale , di quel desiderio di vivere , di quella forza interiore che scema progressivamente e conduce alla fuligene , al buio all’impossibilità stessa della discriminazione delle possibilità .
    La visione naturalistica considera la morte una forma di difesa dalla sofferenza, una forma di libertà inalienabile e anche di prerogativa umana . Gli animali e gli dei , vivono una dimennsione diversa rispetto all’uomo . Nessuno può decidere e deve decidere per l’altro . La morte è l’unica esperienza umana individuale a cui nessuno si può sottrarre degando altri al suo posto, ma è proprio questa sua specificità che permette di essere scelta per affermare la proria libertà estrema . Il suicidio è sempre “anomia” ovvero rifiuto di qualsiasi norma esterna che si avverte come costrizione , come attentato alla proria costitutiva libertà.
    Sfuggire alla necessità fisica o sociale dunque è spesso la molla del suicidio .Fisica, quando il dolore è sofferenza estrema , sociale quano è minaccia alla propria dignità di essere uomo libero.
    La sofferenza fisica è anche sofferenza della mente ?
    La sofferenza della mente è sofferenza del corpo ? Se, oggi , c’è un rifiuto della visione dualistica non c’è non ha ancora una risposta .
    Ma nell’uno e nell’altro caso io credo che la forza interiore , la cui natura non è del tutto decifrabile sia l’antidoto alla parola fine . Ed è proprio questa forza che fa della vita un’opera d’arte.

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