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Lampadine fulminate

«Le lampadine dell’Illuminismo si sono fulminate». Così inizia una riflessione di Eugenio Mazzarella sui patetici avvenimenti parigini di questi giorni (Il Fatto Quotidiano, 30.7.2024; cliccare sull’immagine dell’articolo per leggerlo più comodamente). L’intero articolo è segno dell’intelligenza, della παρρησία, dell’ironia di un Maestro del quale sono orgoglioso di essere stato ed essere allievo.
Condivido certamente il richiamo alla libertà rivendicato da Thomas Jolly, la cui «fantasia kitsch» ha ideato il LGBTQQIA+ pride parigino mascherato da Giochi Olimpici. Ho infatti sempre spinozianamente sostenuto il diritto di assoluta libertà di espressione da parte di chiunque e su qualsiasi tema.
Tale libertà deve dunque valere per tutti: per Jolly che prende in giro la fede cristiana o ellenica; per chi prende in giro i terroni (quale io sono) senza per questo essere poi accusato di antimeridionalismo; per chi prende in giro i gay e i vari LGBTQQIA+ senza essere accusato di omofobia; per chi prende in giro gli islamici senza essere accusato di islamofobia; per chi prende in giro gli ebrei senza essere accusato di antisemitismo; per chi prende in giro i negri o gli asiatici senza essere accusato di razzismo.
Siamo d’accordo?
Jolly si è poi difeso affermando che quella da lui ideata e inscenata sarebbe «…una grande festa pagana legata agli dei dell’Olimpo, e dunque all’Olimpismo». L’ignoranza mostrata da tali ‘creativi’ diventa a questo punto imbarazzante. L’olimpismo non è legato «agli dèi dell’Olimpo» ma alla città di Olimpia, sede dei giochi della Grecia antica. Dioniso è il sorriso sacro e implacabile, non è una drag queen. Auspico che questa gente decida una buona volta di ispirarsi soltanto ai divi hollywoodiani e alle mitologie statunitensi, del tutto consoni alla sua Stimmung, e lasci in pace gli dèi delle religioni mediterranee.
Sperando che né Veneri né Cupidi, né yankee né giornalisti abbiano a risentirsi, e tantomeno a piangere, cittadino Emmanuel Macron bevi un bicchiere.

De Nittis

De Nittis. Pittore della vita moderna
Palazzo Reale – Milano
A cura di Fernando Mazzocca e Paola Zatti
Sino al 30 giugno 2024

La Francia del Secondo Impero e della Terza Repubblica è stata dipinta soprattutto da due italiani: Giovanni Boldini e Giuseppe De Nittis. A essi si è aggiunto il più profondo e completo artista capace di dipingere con le parole, Marcel Proust. E in effetti i quadri che De Nittis creò vivendo a lungo a Parigi, lui mediterraneo proveniente dalla Puglia, costituiscono anche la raffigurazione per immagini dell’umanità parigina che il Narratore della Recherche descrive in ogni sinuosa sfumatura e nella limpidezza sociologica della potenza di due classi che si divisero ancora a lungo la ricchezza e il prestigio, l’alta borghesia e l’aristocrazia ben presente nonostante i giacobini, nonostante Bonaparte.
De Nittis ama ciò che dipinge come se fosse creatura sua. Non soltanto la moglie e modella Léontine Gruvelle ma anche le signore che passeggiavano nel Bois de Boulogne; che assistevano alle corse dei cavalli a Auteuil e a Longchamp; che camminavano veloci o spensierate per le strade di Parigi.

Amazzone al Bois de Boulogne, 1875

Il modo con il quale De Nittis vede i luoghi e gli umani coglie una realtà sempre in divenire e suggerita dallo scorcio nel quale ci si trova, da una prospettiva necessariamente parziale ma insieme totalizzante. Il suo è quindi un punto di vista fotografico che mediante pastelli, acquarelli e oli (eccelleva in tutte le tecniche) ferma sulla tela la mondanità, la luce, la forma, la frenesia, la meditazione.
Anche i ritratti dedicati a Londra fotografano una città al confine tra la miseria e la potenza. Le opere mediterranee, l’Ofanto, Napoli, Pompei, il Vesuvio, sono immerse in una luce antica e in un’energia sempre nuova.

Foro a Pompei, 1875

Ovunque i corpi disegnati da De Nittis non hanno pose somatiche né psichiche ma sono specialmente figure sociali, forme amate del tempo individuale e collettivo. I dipinti en plein air costituiscono delle mescolanze assai belle tra Giovanni Fattori e Claude Monet. Ma De Nittis non è un macchiaiolo né un impressionista, non è un pittore di genere né un paesaggista. De Nittis è il sogno del XIX secolo.
Ed è un uomo libero, che amava la Francia e Parigi come la sua casa ma che mantenne anche la lucidità che lo spinse a lasciare la metropoli con queste parole: «Prima di tutto ce ne andremo da Parigi, dove la vita mi soffoca: Parigi distrugge tutti. E se poi, un bel giorno, mi dovessi ritrovare simile agli altri, immeschinito dall’ambizione, dalla stanchezza, dalla collera?». Si trasferì dunque nella campagna di Saint-Germain-en-Laye, dove morì all’improvviso il 21 agosto 1884. Parigi lo accolse ancora una volta al Père Lachaise, dove la sua tomba reca un epitaffio dettato da Alexandre Dumas figlio: «Qui giace il pittore Giuseppe De Nittis morto a trentotto anni. In piena giovinezza. In pieno amore. In piena gloria. Come gli eroi e i semidei».
La mostra al Palazzo Reale di Milano permette di seguire, apprendere e gustare con empatia l’arte di questo autentico europeo. 

Giardini di Parigi con sole pallido, 1880-1882

Brassaï

Brassaï . L’occhio di Parigi
Palazzo Reale – Milano
A cura di Philippe Ribeyrolles
Sino al 2 giugno 2024

Brassaï, pseudonimo dell’ungherese Gyula Halász (1899-1984), è stato uno dei grandi fotografi che in Francia hanno documentato la pienezza della vita, dell’eros, degli spazi, di Paris città-mondo, e in tutto questo hanno percepito con lucidità, rassegnazione, forza, malinconia, che stavano fotografando e descrivendo «le ultime vestigia un mondo che stava scomparendo», come Brassaï sinceramente dirà.
Il suo metodo per scoprire, alla lettera, il reale, per dargli significato e dunque trasformarlo restandogli fedele, è ciò che definiva «ubbidire alla dittatura dell’occhio». E l’occhio di Brassaï vede tutto, di tutto è curioso, tutto documenta, tutto cerca di ricordare, a tutto vuole offrire la pienezza della forma. L’acciottolato delle strade nelle notte riverbera di luce lo spazio. Un rigagnolo lungo la strada ha la sinuosità di un grande fiume.

Brassaï. Rigagnolo, strada

Una patata e delle gocce d’acqua sulle foglie diventano sculture e volumi sferici in uno spazio astratto. Dei vetri frantumati scandiscono il ritmo musicale del pieno e del vuoto. Il banale è trasformato in paradosso.
Una lunga galleria di ritratti di pittori e scrittori del Novecento (tra i quali Picasso, Braque, Léger, Giacometti, Cocteau, Beckett, Ionesco, Nin, Dalí, Breton…) si alterna a immagini che descrivono ambienti sociali e circostanze tra loro molto diversi: proletari, bande di piccoli delinquenti, prostitute, feste e personaggi dell’alta società e del mondo della moda. Una curiosità antropologica inesauribile anima infatti questo artista.
Due sezioni sono dedicate ai graffiti di Parigi e di altri luoghi – nei quali Brassaï scorgeva forme espressive di grande significato e valore – e alle sculture e ai disegni. Soprattutto le sculture sono di grande pulizia e suggestione formale. E poi i luoghi proustiani, il Bois de Boulogne, i ponti, le chiatte, la Senna, le balere, le trattorie, i bordelli, i bistrot, le ballerine, un bacio sulla ruota vorticosa di un luna park, bacio reso immobile dalla tecnica raffinata del fotografo. Il quale nella camera oscura operava sulle lastre creando ciò che chiamava «la seconda realtà», e invocando attraverso il proprio sguardo, mediante l’occhio e la sua ‘dittatura’, con l’ausilio di ogni possibile strumento tecnico, invocando il tempo. Brassaï scrive esplicitamente che la sua opera è un tentativo di andare «alla ricerca della poesia del tempo». Per restituirne la musica, il segreto, la potenza.
L’immagine di apertura si intitola Les Escaliers à Montmartre (1932) e (durante una conferenza tenuta a Boston nel 1977) di essa Brassaï disse che «prima di essere colpito dal soggetto, l’occhio dello spettatore deve essere catturato dalla sua forma, dalla struttura dell’immagine […] Solo le immagini rigorosamente costruite possono entrare nella memoria e diventare indimenticabili. La composizione di questa fotografia deve risultare istintiva e non studiata». Parole e immagine dove c’è per intero Brassaï, dove emerge la struttura dello spaziotempo come ombra e come luce.

Brassaï. Strada, acciottolato, hotel

Proust, l’omerico

Proust, l’omerico
in Dialoghi Mediterranei
n. 60, marzo-aprile 2023
pagine 23-33

Indice
-Introduzione
-Proust sociologo
-Linguaggio
Du coté de chez Swann
À l’ombre des jeunes filles en fleurs
Le côté de Guermantes
-Sodome et Gomorrhe
La Prisonnière
Albertine disparue
Le Temps retrouvé
-La Recherche come filosofia

Proust è un sociologo, è un narratore, è un metafisico. Nella Recherche vivono, agiscono, amano, invecchiano, parlano, ricordano centinaia di personaggi che abitano una molteplicità di luoghi: Illiers/Combray, Parigi, Cabourg/Balbec, Amiens, Venezia. In questo saggio ho cercato di presentare alcuni di tali personaggi, luoghi, temi. La prima parte è dedicata alla spesso sottovalutata ma in realtà primaria dimensione storica e sociologica dell’opera proustiana; la seconda a un sintetico percorso dentro la Recherche; la terza a una riflessione sulla struttura metafisica dell’opera.

Tristesse

Ma nuit
di Antoinette Boulat
Francia, Belgio, 2021
Con: Lou Lampros (Marion), Tom Mercier (Alex)
Trailer del film

La notte di Marion, diciottenne che si è allontanata dalla madre dopo la morte della sorella e l’abbandono del padre. La notte. Prima trascorsa con alcune amiche che nello sballo, nell’erba e nei giochi ritrovano soltanto sonno e pianto. Poi con Alex, un solitario come lei ma di lei più saggio, che le insegna un poco di misura e di calma, che le ricorda che «la libertà è il sentimento di non aver paura». E le regala persino una traccia di sorriso quando il giorno ricompare nel suo fulgore e Marion può dire: «Ce l’ho fatta. Ho superato la notte». Camminando tra le strade nella luce del giorno, Marion indirizza lo sguardo e le braccia verso il cielo, per toccarlo.
C’è qualcosa di giusto nella tristezza che afferra e che intesse questi ragazzi al transito tra adolescenza e adultità. Il vuoto che si è merita il vuoto che si fa. Sapere (lo sanno ormai tutti sin dalle scuole medie) che alcuni comportamenti sono autodistruttivi e nonostante questo praticarli, merita la distruzione. Il mancato rispetto e persino odio nei confronti del tempo merita che il tempo punisca sbriciolando in angoscia il proprio passare e in lacrime le ore.
Marion ha il dono di uno sguardo intenso dentro un viso da capra, Alex ha l’energia e la dolcezza di un umano diventato un poco più adulto, Parigi ha il normale dolore di una città umana, la regista alterna i primissimi piani con i paesaggi urbani e antropici di una contemporaneità scandita dall’assenza.

Giovinezza e crepuscolo

Maigret
di Patrice Leconte
Francia, 2022
Con: Gérard Depardieu (Maigret), Mélanie Bernier (Jeanine Arménieu), Jade Labeste (Betty), Anne Loiret (Madame Maigret)
Trailer del film 

Crepuscolare Maigret, come se avesse compreso che un’intera vita dedicata alla ricerca della verità su omicidi, violenze, inganni, non avesse scalfito di niente l’iniquità del mondo e delle cose. L’imponenza somatica di Depardieu rende ulteriormente lenti i movimenti e i gesti del Commissario, il quale mai sorride – se non un fugace accenno – e anche quando scioglie il caso non sembra provarne soddisfazione. Il caso di una delle tante ragazze che arrivano a Paris in cerca di sogni che l’esistenza puntualmente cancella. Anche quanti sembrano avere realizzato in qualche modo le proprie aspirazioni lo fanno a costo di calpestare se stessi e gli altri, e forse anche ucciderli. Intorno al corpo di una ragazza sconosciuta e pugnalata per strada Maigret allarga a poco a poco i cerchi concentrici degli eventi e della loro comprensione, sino ad ambienti luccicanti e perversi. Lo aiuta in questo un’altra ragazza, simile alla vittima ma più di lei aggressiva e tenace.
La ricostruzione dei luoghi, degli oggetti, della tonalità collettiva di vita è splendidamente filologica e permette di immergersi nella Parigi degli anni Cinquanta del Novecento, nella sua eleganza, nella sua miseria, nella sua inconfondibile atmosfera, nella nostalgia verso un’Europa e una Francia che nonostante le distruzioni della guerra possedevano una propria identità, non ancora del tutto invasa e distrutta dalla barbarie occidentale.
Maigret et la jeune morte si intitola il romanzo dal quale Leconte ha tratto liberamente il suo film (molto liberamente, quasi solo un accenno alla trama). Forse gli europei, come i greci del Timeo platonico (22C), sono rimasti sempre giovani e anche per questo devono essere uccisi. Depardieu/Maigret lo sa e compie il suo dovere, scioglie il caso e prosegue da solo dando nell’ultima scena ancora uno sguardo alla giovinezza che il tempo dissolve.

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