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Rosso

Rosso

Irréversible
di Gaspar Noé
Francia 2002
Con: Vincent Cassel (Marcus), Monica Bellucci (Alex), Albert Dupontel (Pierre), Philippe Nahon (Philippe)
Trailer del film

Un solo colore, il rosso. Lo percorre tutto fino agli ultimi secondi che si aprono sul verde dei prati e sull’azzurro del cielo. Un sogno di riscatto dall’incubo che questa creatura è. Questa, l’umano. Immerso qui, in questo film, in una chiara rappresentazione dell’Inferno. Sono gli stessi colori di Mark Rothko e di Hieronymus Bosch, lo stesso incomprensibile e inesorabile disordine di quest’ultimo, gli oggetti che si fondono tra loro, i viventi che si ibridano con gli oggetti, i luoghi che si sciolgono, le prospettive che crollano, il vortice, il vortice dovunque, come un immenso fluire delle cose verso un’irredimibile sporcizia.
E poi la furia che cancella ogni linguaggio. Anche l’unico personaggio consapevole, Pierre, quando dialoga in metropolitana con la sua ex compagna Alex e il nuovo uomo di lei, Marcus, si esprime seguendo il singulto di banalità, desideri e frammenti degli altri due. Ma sarà lui, Pierre, nella scena conclusiva posta all’inizio del film a compiere il gesto supremo del dare la morte per vendetta, moltiplicando così la furia dentro la propria calma.
«Il tempo distrugge tutto» si dice nel primo dialogo e si ripete nella formula che chiude il film. Il tempo irreversibile, per fortuna. Il tempo grande liberatore, oltre che scultore. Poiché se l’umano distrugge ogni cosa, anche ciò che ama, nella pulsione profonda che lo guida verso il male e la morte, il tempo distrugge il male, dal quale il film è pervaso in un modo che definire fastidioso è eufemistico. 12 minuti di efferato stupro fanno precipitare il film nella mediocrità e le ambizioni nel compiacimento.
Tutte le sue scene si muovono, nella prima parte addirittura fremono, al confine della perversione. Che la vicenda venga montata e raccontata partendo dalla fine tenebrosa per tornare al suo inizio dentro un prato, dove delle signore leggono al sole e dei bambini giocano nella luce, è la conferma che la Caduta è irreversibile. E le storie umane abitano in questa Geworfenheit, nell’autenticità della loro miseria.

2 commenti

  • MARIO GAZZOLA

    Maggio 20, 2020

    Secondo me non è tanto mediocre quel film lì, a me è piaciuto (ammetto che sono un fan dell’enfant terrible Noé, le cui cinemarachelle infastidiscono molti). E se uno stupro è cosa drammatica, lo è più vederne le sequenze rilevanti (magari educatamente ombreggiate) o intero come se lo deve sorbir la vittima?

    • agbiuso

      Maggio 20, 2020

      Come sai, Mario, gli altri due film che ho visto di Noé molto mi son piaciuti – Climax e Love. Questo mi è sembrato partire da ottime idee ma via via perdersi nel disordine e nel compiacimento, oltre che in una recitazione macchinina, davvero troppo monotona.
      Per quanto riguarda lo stupro, la questione è semplice: il cinema, la letteratura, l’arte figurativa non sono la realtà, sono altro e per questo hanno senso, in caso contrario sarebbero inutili e persino insopportabili.
      Il realismo nell’arte non esiste (nella metafisica sì) e cercarlo o praticarlo fa subito cadere l’opera nella pura cronaca. Cosa che all’insieme di Irréversible non accade. Tutt’altro. Il film è infatti secondo me un semplice incubo, come forse viene suggerito alla fine.

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