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Anni Ottanta

Anni Ottanta

Reality 80
Milano –  Galleria Credito Valtellinese
A cura di Leo Guerra e Cristina Quadrio Curzio

Un’essenziale antologia degli anni Ottanta in Italia e non solo. Colori intensi. Il pop. La vittoria del ludico che è anche la vittoria della borghesia italiana e occidentale nella lotta di classe. Il 1989 avrebbe sancito in modo evidente tale trionfo. E questo anche nelle riviste, movimenti, artisti e soggetti che si dicono “contro”. È il contro degli snob. E quindi –  un po’ alla rinfusa ma in ogni caso emblematici – appaiono documenti e testimonianze che riguardano la Basilica di Massenzio nelle Estati romane organizzate dall’assessore del PCI Renato Nicolini; le architetture di Aldo Rossi; riviste come Cuore, Tango, Vinile; immagini di vari intellettuali bauscia milanesi e persino una foto di Armando Verdiglione. Su tutto aleggiano le parole d’ordine dell’effimero e del postmoderno.
Evento fondamentale fu la nascita delle televisioni private e dunque la pubblicità, la pervasiva e onnipotente pubblicità televisiva dalla quale sono germinati fenomeni da baraccone mediatico come Berlusconi e i suoi vari figli e imitatori, sino al presente. Da incubatore politico fece il Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi, che rappresentò la vera svolta nella catastrofe della sinistra italiana.
Reality è il titolo giusto per una mostra come questa, che documenta l’avvenuta trasformazione della società in puro spettacolo. Prima ancora che tutto ciò accadesse fu Debord a disegnarne i contorni: «À l’acceptation béate de ce qui existe peut aussi se joindre comme une même chose la révolte purement spectaculaire: ceci traduit ce simple fait que l’insatisfaction elle-même est devenue une marchandise dès que l’abondance économique s’est trouvée capable d’étendre sa production jusqu’au traitement d’une telle matière première» (La Société du Spectacle [1967], Gallimard 1992, af. 59, p. 55). ‘Alla beata accettazione dell’esistente può certo aggiungersi come una sola cosa la rivolta puramente spettacolare: questo esprime il semplice fatto che la stessa insoddisfazione è diventata una merce appena l’abbondanza economica è stata capace di estendere la propria produzione sino al trattamento di tale materia prima’.

3 commenti

  • Dario Generali

    Maggio 18, 2019

    Caro Alberto,
    concordo pienamente: Craxi e il PSI di quegli anni rappresentano il punto di svolta della politica e della mentalità italiana, che ci hanno portato ai paradossi berlusconiani e al disastro attuale.
    Un caro saluto.
    Dario

  • Pasquale

    Maggio 17, 2019

    A proposito dei peggiori anni dell nostra vita, pessimi in termini assoluti ma non isolati, preceduti dagli orrendi anni settanta che, secondo me, fecero intuire ai potenti che una canzonetta, un pantalone, una giubba a lustrini poteva essere l’innesco per fare del mondo un delizioso baraccone dove tutto fosse confuso con tutto;e quindi svalutato e svalutabile a piacere; mi pare che la spettacolarizzazione del reale, acneh per merito di iniziative repressive, agli inizi sia stata la conseguenza di un progetto scaturito dalla scaltra osservazione del reale stesso da parte dai accorti pupari. Intendo dire che quando John Lennon, ma è solo un esempio, si produsse tra le lenzuola con Yoko Ono, anni e anni prima, offrì ai grandi burattinai appunto il destro per usare queste manifestazioni come arma di distrazione di massa. Peraltro Andy Warhol, e molti di questi anartisti immaginari quanto furbi e ricchi mi pare possano essere considerati gli agenti provocatori di questo, insisto col dire, progetto. Craxi fu una bomba batteriologica. I danni si diffusero in tutto l’occidente. QUalcuno dovette per forza inventarlo come lui inventò Berlsuconi. Me quegli anni me li sorbii tutti, non ero più un ragazzo e osservavo la marea montante. Non so che ne dici Alberto.
    La mostra è allestita in una banca e vabbé.

    • agbiuso

      Maggio 18, 2019

      Caro Pasquale, dico che hai perfettamente ragione. Proprio in questi giorni con gli studenti del corso di Sociologia della cultura stiamo leggendo l’illuminante libro di Giuseppe Frazzetto sull’arte contemporanea come festa e mobilitazione. Abbiamo parlato di Warhol e della ‘performance’ Bed-Ins for Peace di John Lennon e Yoko Ono.
      Tra le altre cose, Frazzetto osserva giustamente che il ‘sistema dell’arte’ -e quindi la società dello spettacolo- è necessario affinché eventi di quel genere abbiano senso, è necessario per l’esistenza stessa di molte espressioni dell’arte contemporanea: “Ma senza l’intervento dei lavoratori dell’informazione, John e Yoko sarebbero rimasti due celebrity stravaganti e pigre chiuse in albergo per un periodo più lungo del consueto” (Artista sovrano, Fausto Lupetti Editore 2017, p. 203).

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