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Un racconto

Un racconto

Di stelle e di buio
in Il valzer di un giorno
di Franco Carlisi
Seconda edizione rinnovata nei testi e nelle fotografie
Gente di Fotografia Edizioni, 2018
Pagine 191-195

Vivere significa anche essere aperti al nuovo. Ho voluto quindi provare una per me inedita modalità di scrittura: il racconto. Un testo di completa fantasia, dove non ci fosse nulla di saggistico e nulla di personale.
L’occasione è stata uno splendido libro di Franco Carlisi, al quale il fotografo mi ha chiesto di collaborare. Un fotografo tra i più importanti del presente, che raffigura i corpi, la festa, la tensione, il sorriso, la carne, le luci, le chiese e le strade, i curiosi e le madri, i suoni e i silenzi, il battito pronto a dire di sì, il distacco da ciò che fu, l’attesa dell’avvenire, gli abbracci per sempre e la potenza dell’adesso, il καιρός. E tutto questo nell’istante di uno scatto, in una foto. 

 

 

4 commenti

  • diego

    Giugno 1, 2018

    «E alla fine è questo che bisogna imparare, la morte.»
    la tua disperata serenità intride ogni tuo rigo; io credo che il dilemma fondamentale sia sempre quello: il rapporto fra il corpo e la mente, una coessenza terribile e meravigliosa da cui scaturisce poesia, filosofia, silenzioso pulsare d’una musica/enigma

    sei molto molto bravo a scrivere, sempre sporto sull’abisso

    • agbiuso

      Giugno 1, 2018

      Grazie, Diego. Ancora una volta e più di altre volte.
      «Disperata serenità» è una formula esatta. Dietro e dentro la quale c’è molto, c’è quasi tutto.

  • Mario

    Giugno 1, 2018

    A-haa, il filosofo entra nell’arena del narratore… Benvenuto!
    Però “meschinetto” lo lasciamo a Collodi, neh. E, se posso dire, i vernacolismi siculi a Camilleri: il tuo fraseggiar poetico punta altrove, lì il dialetto non ha contesto.
    Sul “nulla di personale” in un racconto non ti faccio neanche l’onta di contraddire, ma… “nulla di saggistico”? Ma se filosofeggi (e citi) ad ogni riga o “mio buon duca”? ;-)))
    La scrittura è preziosa, ça va sans dire, ma – se proseguirai nell’aspra selva – il mio umile parere è che i tuoi racconti guadagneranno dal tuo sforzo d’abbassare la tua propensione a filosofare sul senso della vita, della donna, del piacere e del tutto, per narrare anche qualcosa all’interno della narrazione, oltre che cesellare affascinanti immagini liriche.
    Ad esempio, prima di tutto… com’è che lì non muore nessuno?! ;-))))))))))))))))

    • agbiuso

      Giugno 1, 2018

      Grazie del benvenuto, Mario!
      Ti rispondo partendo dal fatto che ho cercato di scrivere un racconto che mi piacerebbe leggere. E mi piacciono i testi che siano plurali, stratificati, molteplici.
      Cerco quindi di mescolare vari registri: lirismo, turpiloquio, plurilinguismo -i cosiddetti ‘dialetti’ sono delle lingue-, ironia, tragedia, violenza, dolcezza, dialogo, epistole. E così via.
      Quanto al meschinetto, Collodi non c’entra. Forse è questo l’epiteto più feroce del racconto. Utilizzandolo ho inteso far trapelare il mio disprezzo verso il personaggio del quale parlo.
      Sulla presenza della filosofia, ti rispondo come Jessica Rabbit: “Non lo faccio apposta, è la natura che mi ha disegnato così” e quindi non ci posso far nulla 🙂
      In ogni caso, scrivere il racconto è stato prima di tutto un gesto di grande divertimento. Questo è forse l’unico tratto che mi accomuna al personaggio -la voglia di divertirsi sempre-, che per il resto è molto lontano da me.
      Infine, nei miei racconti non morirà mai nessuno per una semplice ragione: sono tutti morti.

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