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Partiti, finanza, democrazia

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«Pensare che dopo 20 anni di guerra civile in Italia, nasca un governo Bersani-Berlusconi non ha senso. Il governissimo come è stato fatto in Germania qui non è attuabile» (Enrico Letta, 8 aprile 2013)
«Non sono praticabili né credibili in nessuna forma accordi di governo fra noi e la destra berlusconiana» (Pier Luigi Bersani, 6 marzo 2013)
«Il governissimo non è la risposta ai problemi» (Pier Luigi Bersani, 13 aprile 2013)
«Il governissimo predisporrebbe il calendario di giorni peggiori» (Pierluigi Bersani, 8 aprile 2013)
«Se si pensa di ovviare con maggioranze dove io dovrei stare con Berlusconi, si sbagliano. Nel caso io, e penso anche il Pd, ci riposiamo» (Pierluigi Bersani, 2 ottobre 2012)
«In Italia non è possibile che, neppure in una situazione d’emergenza, le maggiori forze politiche del centrosinistra e del centrodestra formino un governo insieme» (Massimo D’Alema, 8 marzo 2013)
«Il Pd è unito su una proposta chiara. Noi diciamo no a ipotesi di governissimi con la destra» (Anna Finocchiaro, 5 marzo 2013)
«Fare cose non comprensibili dagli elettori non sono utili né per l’Italia né per gli italiani. Non mi pare questa la strada». (Beppe Fioroni, 25 marzo 2013)
«Non si può riproporre qui una grande coalizione come in Germania. Non ci sono le condizioni per avere in uno stesso governo Bersani, Letta, Berlusconi e Alfano» (Dario Franceschini, 23 aprile 2013)
«Abbiamo sempre escluso le larghe intese e le ipotesi di governissimo» (Rosy Bindi, 21 aprile 2013)
«Serve un governo del cambiamento che possa dare risposta ai grandi problemi dell’Italia. Nessun governissimo Pd-Pdl» (Roberto Speranza, 8 aprile 2013)
«Non dobbiamo avere paura di confrontarci con gli altri, ma non significa fare un governo con ministri del Pd e del Pdl. La prospettiva non è una formula politicista come il governissimo, è quel governo di cambiamento di cui l’Italia ha bisogno» (Roberto Speranza, 7 aprile 2013)
«I nostri elettori non capirebbero un accordo con Berlusconi» (Ivan Scalfarotto, 28 febbraio 2013)
«Non c’è nessun inciucio: se questa elezione fosse il preludio per un governissimo io non ci sto e non ci starebbe neanche il Pd» (Cesare Damiano, 18 aprile 2013)
«I contrasti aspri tra le forze politiche rendono non idoneo un governissimo con forze politiche tradizionali» (Enrico Letta, 29 marzo 2013)
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Immaginiamo dunque che il Partito Democratico sia composto e diretto da persone integerrime, onestissime, competenti; che il verminaio emerso in questi mesi non esista. Sarebbe in ogni caso un Partito allo sbando, incapace di mantenere la parola data ai suoi elettori di non allearsi con una formazione politica del tutto screditata, impresentabile e legata alle mafie. Dunque un partito ingannatore e inaffidabile.
Ma immaginiamo persino che a tutto questo il Partito Democratico sia stato indotto dalle circostanze storiche -e non, poniamo, dalle volontà imperscrutabili dello stalin quirinalizio. Sarebbe in ogni caso un Partito storicamente e ideologicamente allo sbando poiché del tutto subordinato, ormai, agli interessi oligarchici, alle volontà della finanza, alla potenza delle banche, ai teorici dell’ultraliberismo, a quell’insieme di posizioni economico-politiche che emerge da questi brani della tesi -della quale sono relatore- che Oriana Sipala sta dedicando al rapporto tra intellettuali e potere:

Foreign Affairs, rivista di politica internazionale, ha criticato duramente l’Unione europea, «chiamandola reazionaria per aver dato un potere inaudito a una banca centrale che non risponde a nessuno» (Noam Chomsky, Due ore di lucidità. Conversazioni con Denis Robert e Weronika Zarachowicz, Baldini Castoldi Dalai editore, p. 107). Eppure in Europa non c’è una consapevolezza diffusa di tale centralizzazione antidemocratica. […]
Oggi i capitali, che sono estremamente mobili, possono infatti condizionare le decisioni politiche di uno stato, minacciarlo, far crollare i suoi titoli. È esattamente quello che stiamo vivendo in questo lungo periodo di crisi economica. Mario Monti prima e adesso anche Enrico Letta, nello specifico caso italiano, stanno solo obbedendo a dettami della finanza internazionale per impedire la fuga dei capitali. Su questo aspetto Elio Lannutti, presidente di Adusbef, ha di recente scritto un libro, Cleptocrazia, dove parla del sistema bancario come di “una cupola para-mafiosa alla quale sono stati conferiti poteri enormi”, un centro di potere illimitato a cui la politica dei singoli stati, soprattutto di quelli economicamente più deboli, non riesce a sottrarsi. È come vivere una sorta di minaccia, mossa da usurai legalizzati che ci stanno col fiato sul collo, ci rubano il futuro e distruggono il sistema del welfare. […]
La fortuna delle élites straricche conta più di ogni altra cosa e finisce per imprimere una direzione al mondo. Esse detengono il potere e svuotano i luoghi della democrazia, rendendoli insignificanti.

 

16 commenti

  • Filippo Scuderi

    Dicembre 9, 2013

    Gent.mi, penso a voce alta; se una persona vuole fare il medico, studia medicina, se una persona vuole fare il magistrato, studierà legge, e con questi paragoni posso andare avanti all’infinito, ma perché chi vuole fare politica, visto che deve curare il nostro stato, e di conseguenza curare il nostro benessere, perché lo stato siamo noi, e se io ho mal di denti non vado mica dal meccanico, allora perché chi vuole entrare in politica , non presenti un’abilitazione , dopo tanti anni che i condomini sono andati allo sfracello, si sono decisi che gli amministratori di condomini, dovevano avere un titolo di studio che rassicuri i condomini sul l’andamento delle finanze, mettiamo il caso che il nostro paese corrispondesse ad un grande condominio, con tutte le esigenze del caso, non è meglio che i partititi prima di schedare un aspirante politico non gli chiedono un titolo, un attestato, magari in politica troveremmo i nuovi economisti , i nuovi FLORA, SCUDERI,CUSIMANO, facciamo governare l’Italia a chi merita di rappresentarci, e non facciamo che un meccanico faccia il dentista!
    ps
    Anche se alla fine li votiamo noi, ma cosa troviamo nelle liste!!! di tutto e di più.
    Grazie
    Filippo scuderi

  • agbiuso

    Novembre 27, 2013

    Grazie a te, caro Diego, e agli altri amici che arricchiscono questo spazio.
    Sul momento nel quale è iniziata la fine, hai perfettamente ragione.

  • diego

    Novembre 27, 2013

    L’evento cui fa riferimento il Prof. Ricupero è centrale nella storia dell’economia contemporanea. Aver abolito a suo tempo la distinzione, fino ad allora assai rigida, fra banche commerciali e banche d’affari, è la causa fondamentale dell’enorme bolla speculativa esplosa nel 2007. La banca «classica» agiva ancorata al territorio, era sicuramente un centro di potere, ma il suo agire era incentrato sul sostegno delle attività economiche «vere», incentrate sul lavoro. Quando le banche hanno cominciato a giocare sul piano della facile speculazione sui capitali, è stato l’inizio della fine. Difatti nel mondo bancario i tecnici più avveduti da anni ripetono che le banche devono tornare a fare le banche e che conta più il piccolo prestito al bottegaio, all’artigiano, che l’avventura finanziaria. Guarda che casino è successo al MPS, una banca millenaria!
    Grazie Alberto, un grande thread di discussione appassionante e qualificata.

  • agbiuso

    Novembre 26, 2013

    Caro Diego, mi sembra che le posizioni di Giacché e Fusaro (ho visto il filmato) siano ampiamente condivisibili, così come quelle del Prof. Ricupero, che ringrazio per il suo concreto, informato e appassionato intervento.
    Infatti:
    “Nazionalizzare le grandi banche” vuol dire “confiscare -sì, proprio confiscare- le ricchezze sottratte al corpo sociale -all’economia- dalla speculazione interna e internazionale.”
    “Riacquisire la sovranità monetaria” vuol dire uscire dalla “droga dell’euro” (Fusaro)
    “Usare la leva keynesiana per evitare le drammatiche crisi occupazionali” vuol dire ridurre al minimo la proprietà privata dei mezzi di produzione e attaccare la rendita parassitaria.
    Quali forze politiche presenti in parlamento condividono un simile programma? Soltanto quelle che sono convinte “che il debito pubblico sia un pretesto per svuotare i forzieri delle democrazie occidentali”.

  • Ricupero Salvatore

    Novembre 26, 2013

    Oggi i trasporti pubblici regionali sono allo sbando, in tutta Italia, con le conseguenze che vi lascio immaginare per il diritto allo studio, al lavoro e alla salute. Qualche anno fa si preconizzava che la finanza della oligarchia mondiale avrebbe comprato gli stati, facendo scomparire di fatto servizi per i cittadini, strutture per rendere tali servizi per svuotare le democrazie del loro senso più profondo ovvero quello di assicurare una esistenza dignitosa per tutti i cittadini. La legge di stabilità del piccolo Letta è un ulteriore passo in questa direzione. Ce ne saranno ancora venti di questi passi, per venti lunghi anni. Cosa resterà alla fine? Niente e nessuno se non verranno fermati. La finanza ombra di cui sempre il piccolo Letta ne fa parte, informatevi, sta facendo migrare tutti i capitali dal mondo del lavoro, ovvero dell’economia reale, verso il mondo della finanza “casinò”. Perché? Ci sarebbe da chiedersi. Con la dinamica dei derivati (prodotti finanziari che vengono fuori da complicati algoritmi e modelli matematici) le banche finanziarie guadagnano in pochi mesi quello che le obsolete banche commerciali guadagnavano in diversi anni. Se voi foste banche cosa fareste? Chi dovrebbe fermare queste iene dell’economia mondiale? La politica? Non credo, poiché oggi, come dice il prof. Biuso, la politica è il braccio armato di questi delinquenti! Tutto iniziò in quei dannati “tea parties” di Bill Clinton che autorizzò le oligarchie finanziarie a trasformare le loro banche da istituti di credito a istituti finanziari. Sono convinto che il debito pubblico sia un pretesto per svuotare i forzieri delle democrazie occidentali. Paesi come la Gran Bretagna, il Giappone ecc. che stanno molto meglio di noi hanno un rapporto debito/PIL ben superiore al nostro. Si può congelare e ristrutturare il nostro debito? Certo, poiché gli interessi pagati sono ben superiori al capitale investito . Più del 50% del debito è in mano a capitali stranieri. Meno del 30% è detenuto da piccoli investitori e risparmiatori. Basta tener conto di come è divisa la fetta e quindi comportarsi di conseguenza.

  • diego

    Novembre 26, 2013

    Condivido il problema di metodo come lo prospetti, caro Alberto. In effetti su questi temi economico-finanziari le informazioni, data anche la complessità di alcuni meccanismi, vengono da fonti non disinteressate ma che sono «interne» al sistema stesso.

    Personalmente mi affido agli scritti di Vladimiro Giacchè, che è sicuramente di sinistra ma è anche un tecnico della finanza. In sostanza la sua proposta è quella di nazionalizzare le grandi banche e le grandi imprese strategiche, nel contempo riacquisire la sovranità monetaria e usare la leva keynesiana per evitare le drammatiche crisi occupazionali.

    Secondo me tu fai riferimento ad un problema culturale profondo, una sorta di egemonia culturale che non è più neppure quella borghese, con le sue moralità, ma quella del capitale assoluto (nel senso di sciolto da ogni vincolo).

    Io non mi sento del tutto organico a questa egemonia, anche se, potrebbe essere, magari lo sono in parte e non me ne rendo conto.

    A che serve ragionare? Proprio a questo, a mettersi in dubbio. Ma vale per tutti.

  • agbiuso

    Novembre 26, 2013

    Caro Diego, la tua risposta è quella che danno i liberisti e le banche.
    Nulla di tutto questo. Quando si parla di disconoscimento del debito ci si riferisce al debito speculativo e internazionale, a tutta la spazzatura finanziaria che crea enormi ricchezze per pochi, non certo al debito verso i vecchietti o i dipendenti pubblici come me. Si tratterebbe, anzi, di confiscare -sì, proprio confiscare- le ricchezze sottratte al corpo sociale -all’economia- dalla speculazione interna e internazionale.
    Purtroppo l’informazione terroristica finanziata dalle banche con i loro giornali distorce completamente la realtà. Rimanere dentro questi paradigmi significa non avere nessuna chance di cambiamento, neppure minimo. Tanto vale dare ragione ai conservatori.
    Senza un altro modo di pensare non si dà alcun altro modo di agire.

  • diego

    Novembre 26, 2013

    Personalmente credo che non sia facile proporre soluzioni e alternative concrete per il superamento di questo difficile momento storico, tanto più se consideriamo che lo stesso popolo italiano – non soltanto la classe dirigente – non sia per nulla pronto a concepire un modello diverso di società.

    Esatto. Il solo ventilare l’ipotesi di non saldare il debito pubblico causerebbe l’immediato formarsi di code interminabili di pensionati davanti agli uffici postali e alle banche nel disperato tentativo di ritirare i titoli più alla svelta possibile. Nel giro di 48 ore le banche già in bilico andrebbero in crack, e, con tutta probabilità comincerebbe una corsa all’accaparramento dei generi alimentari e della benzina.

    Onestamente, caro Alberto, ritengo la questione dell’Islanda un po’ montata. Il referendum sulla salvezza della banca «Icesave» in effetti c’è stato, ed è stato accolto il verdetto popolare di lasciarla fallire, ma va detto che era una banca online che operava sui mercati finanziari inglesi, per cui giusto non salvarla, ma gli islandesi hanno votato su soldi di speculatori inglesi e non sui propri conti «domestici», tanto è vero che le altre banche nazionali sono state nazionalizzate, trasferendo quindi il peso dell’enorme indebitamento speculativo sui conti pubblici; è vero che il FMI con gli islandesi è stato meno duro nell’imporre tagli alla spesa pubblica, ma comunque è intervenuto. Inoltre una nazione di 300mila abitanti (il comune di Catania, da solo) non è troppo paragonabile all’Italia. Io approvo la dura critica alla finanza speculativa, che infatti è la causa del tracollo delle banche islandesi, ma non credo, sinceramente, alla «ribellione» di cui si riferisce. Certo, con il FMI ci vuole di mettersi almeno a discutere senza servilismi, ma da qui alle scorciatoie islandesi ce ne passa. Questo credo io, anche se ammetto la complessità del tema.

  • Oriana Sipala

    Novembre 26, 2013

    La crisi economica in cui siamo travolti ormai da diversi anni è diventata un ingorgo incomprensibile anche per i migliori studiosi. Personalmente credo che non sia facile proporre soluzioni e alternative concrete per il superamento di questo difficile momento storico, tanto più se consideriamo che lo stesso popolo italiano – non soltanto la classe dirigente – non sia per nulla pronto a concepire un modello diverso di società. Accanto alla crisi finanziaria, c’è infatti una crisi di coscienza e di pensiero: in un’azione di cambiamento davvero efficace non bastano solo le scelte politiche. È fondamentale che la gente impari di nuovo a pensare, a cogliere le storture della realtà sociale e a rifiutarle. In Islanda, per esempio, quando si è deciso di rifiutare il debito, c’è stata la ferma adesione di tutto il popolo, che consapevolmente ha attribuito la responsabilità del debito stesso ai banchieri. Per questo motivo mi sta molto a cuore il ruolo dell’intellettuale, che non rappresenta solo l’antitesi al potere, la sentinella critica che, nel mettere in discussione il sistema, non fa che confermare il potere stesso nella sua posizione. L’intellettuale deve essere la coscienza vigile della gente, l’educatore che insinua il dubbio e spinge alla riflessione, il “parresiastes” che comunica la realtà delle cose, la sola che, una volta acquisita, rende il popolo realmente autonomo, emancipandolo dall’ignoranza.
    Sono felice di vedere che queste mie riflessioni siano state apprezzate e abbiano costituito uno stimolo alla discussione. Da riflessione a riflessione: anche i vostri commenti sono stati per me una spinta al pensiero critico, oltre che al confronto.

  • agbiuso

    Novembre 25, 2013

    Anche l’Islanda non ha riconosciuto il debito e ha incriminato i banchieri.
    Ora gli islandesi stanno molto meglio.

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    L’Islanda è stato il primo Paese ad accusare la crisi economica per il problema dei mutui subprime americani, ma l’Islanda è anche stato il primo Paese a superare questa crisi, ci è riuscita. L’Islanda non ha salvato le proprie banche nel momento in cui sono entrate in crisi di liquidità. Il debito non è stato socializzato. Non è un dogma il fatto che un debito privato diventi un debito pubblico quando il privato fallisce, e questo è stato dimostrato.
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    L’analisi di Andrea Degl’Innocenti continua qui: Islanda chiama Italia

  • Dario Generali

    Novembre 23, 2013

    Caro Alberto,

    anche questa volta la tua analisi lucida e implacabile mette in chiara evidenza l’estrema cialtroneria della nostra classe politica, capace di contraddirsi platealmente da un giorno con l’altro senza il più piccolo segno di vergogna. Il vero successo di Berlusconi è che nell’ultimo ventennio è riuscito a realizzare un’egemonia culturale che ha sdoganato i comportamenti più irresponsabili e cialtroneschi, che in passato, pur in presenza di una corruzione morale non tanto differente, si cercava almeno di dissimulare. La conseguenza è che ora tutto sembra legittimo e accettabile e manca qualsiasi forma di reale resistenza a una corruzione endemica e profonda, da paese dell’America latina di cinquant’anni fa.
    Condivisibile e lucido anche il passo della tesi di laurea della tua laureanda. Il potere dei banchieri e delle “élite straricche” non ha certo più i freni che gli anni Settanta erano stati in grado di imporre ed esercita una tirannia disumana, che tutto sacrifica ai loro profitti e alla loro egemonia sociale. Senza reazione dei popoli non si può certo sperare che qualcosa cambi e le reazioni sono purtroppo spesso disordinate, irrazionali e inconcludenti, mancando la direzione che, nel bene e nel male, il movimento operaio negli anni Sessanta e Settanta era riuscito a imporre.
    Un caro saluto.
    Dario

  • diego

    Novembre 23, 2013

    fra filosofi siete un po’ sospettosi l’uno con l’altro, ma questo giovane filosofo, mi sembra molto combattivo e allora te lo mostro lo stesso

    http://youtu.be/eZcCR5s7EOs

    sto leggendo il suo «minima mercatalia» e non è male

  • agbiuso

    Novembre 23, 2013

    I tuoi riferimenti alla Grecia antica, oltre che all’Argentina, sono molto pertinenti. Sono contento che su questo concordiamo. La rivista Alfabeta2 si occupa spesso della questione del debito. Tra gli articoli leggibili on line c’è un’intervista a Luca Fantacci, che propone soluzioni più moderate ma anch’esse molto difficili nello scenario di incompetenza e di corruzione nel quale siamo immersi: Insostenibilità del debito.
    Oriana Sipala sarà molto contenta del tuo apprezzamento verso la sua ricerca. Grazie quindi anche da parte sua.

  • diegod56

    Novembre 23, 2013

    Si, caro Alberto, sono convinto anch’io che tutta la partita si giochi intorno al problema del debito. In fondo gli Stati Uniti hanno risolto la questione con un innalzamento della cifra, e così il Giappone. È vero anche che aver adottato l’Euro ci porta ad una situazione non dissimile a quella dell’Argentina pre-default. In fondo anche ad Atene, Solone nominato arconte agì cancellando i debiti «smisurati» per ristabilire un «métron» compatibile con la pòlis. In qualche modo la soluzione non è poi così lontana, è sotto gli occhi di tutti, ma fa paura, molta paura. Un argomento di estremo interesse, spero che quella tesi divenga un libro «per tutti».

  • agbiuso

    Novembre 23, 2013

    Caro Diego, la risposta o è netta o non è.
    Disconoscere il debito. Fare come l’Argentina, che era strangolata dalle politiche economiche del Fondo Monetario Internazionale. Si rifiutò di pagare il debito e, dopo un periodo certamente difficile, è rinata.
    Ma il ceto politico italiano è assolutamente inadeguato a una cosa simile. Non ci vogliono soltanto coraggio e un minimo di onestà. Ci vuole soprattutto un’altra idea di società e di economia. E costoro non hanno nessuna idea.
    E poi rinunciare all’Euro, come molti analisti economici indipendenti continuano a proporre. Prendere atto che l’Euro è fallito, che l’Europa politica non è mai nata, soffocata nella culla da quella finanziaria. L’Euro sparirà in ogni caso. Se si esce per tempo forse qualcosa si recupera. Non lo dico io, che non mi intendo di economia, ma esperti non del tutto schierati con l’ultraliberismo fintamente europeista.

  • diego

    Novembre 23, 2013

    «Oggi i capitali, che sono estremamente mobili, possono infatti condizionare le decisioni politiche di uno stato, minacciarlo, far crollare i suoi titoli. È esattamente quello che stiamo vivendo in questo lungo periodo di crisi economica. Mario Monti prima e adesso anche Enrico Letta, nello specifico caso italiano, stanno solo obbedendo a dettami della finanza internazionale per impedire la fuga dei capitali.»

    Un lettore, caro Alberto, di fronte a questa affermazione però ha l’impressione di una certa incolpevolezza di chi governa, trovandosi in una tenaglia dalla quale non puo’ sottrarsi. Se hai il problema che il non rinnovo dei titoli pubblici comporta, a fine mese, di non peter pagare gli stipendi e le pensioni, a quel punto cosa puoi fare di realmente diverso? Se devi governare «oggi» e non nel futuro, che puoi fare? Personalmente penso che sei costretto da una gradualità difficile da gestire. Cosa puo’ fare, subito, chi governa?

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