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Una teoria del capitale

Per una Teoria minimale del capitale
in Il Covile
anno XVII, numero 725
10 maggio 2025
Pagine 1-4

Indice
-Oltre il silenzio
-Logiche del capitale
-Logiche tumorali
-Elementi sovrastrutturali

Il Gruppo Gemeinwesen ha pubblicato una antologia di testi anche assai diversi nel tempo e nello spazio che però contribuiscono tutti a delineare una fenomenologia del capitalismo.
In questo articolo ho cercato di presentare tale impresa, di delinearne la fecondità nel comprendere il presentea partire dalle sue radici nella struttura che dalcuni secoli fa da dottrina e prassi allespansione coloniale della civiltà anglosassone, dellsua capacità distruttiva di culture altre, di idee ricchezze diverse dallOccidente, vale a dirallespansione del capitalismo.
U
na teoria del capitale coerente e per questo «minimale» ma non riduttiva né parzialeUna teoria tratta dagli scritti di Marx e di sociologi e politici, marxisti e non, che l’hanno analizzata, elaborata, differenziata. Tra questi soprattutto Jacques Camatte, Amedeo BordigaGuy Debord. Vi appaiono inoltre autori che hanno cercato di pensare leconomia e la società anche prima di Marx o autonomamente da lui, soprattutto Aristotele e Alexis de Tocqueville.
L’essenza del capitalcoincide con la sua dismisura. La crematisticè l’economia ridotta e ricondotta al puro profitto e alla sua moltiplicazione; se Aristotele afferma a ragione che «quella che deriva dallcrematistica è una ricchezza che non ha alculimite» si può dunque dire che il sistema capitalistico non è una struttura economicma è appunto una dinamica soltanto crematistica, vale a dire finanziaria. Ecco perché nel XXI secolo, nellepoca in cui non domina lproduzione ma la speculazione, «il movimentdel capitale è senza misura» (Marx).

Ezra Pound

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Ezra in gabbia o il caso Ezra Pound
Scritto e diretto da Leonardo Petrillo
Liberamente tratto dagli scritti e dalle dichiarazioni di Ezra Pound
Con Mariano Rigillo e Silvia Siravo
Produzione TSV – Teatro Nazionale, OTI – Officine del Teatro Italiano

«L’usura…l’usura è il male. Creare il denaro dal nulla e su quello indebitare gli stati e i popoli. Questa è la piaga che affligge il mondo da alcuni secoli, ed è stata la vera causa della Seconda guerra mondiale: i politici al servizio delle banche». È quanto pensa e scrive Ezra Pound. Per tali idee venne giudicato folle e traditore da un tribunale statunitense. Tredici anni di manicomio criminale, dopo mesi trascorsi in un lager italiano nel 1945. Così l’occidente ha trattato uno dei poeti più grandi del Novecento. Allo stesso modo, se non peggio, di come l’Unione Sovietica trattava i suoi dissidenti, mettendoli appunto in manicomio.
Questa fu la sorte di un poeta visionario, colto, raffinato, un poeta dantesco. Che nei suoi Cantos ha cercato di comprendere tutto e tutto cantare, come appunto il Dante da lui molto amato. Come ha amato l’Italia, la sua bellezza, la sua natura, la sua arte.
Un ottantacinquenne Mariano Rigillo dà figura e voce a Pound in modo quasi impressionante, dà voce – come lui stesso afferma – «alla scrittura del poeta e alla sua indipendenza di pensiero» (Programma di sala, p. 7). Uno spettacolo che restituisce onore a una delle vittime del bigottismo politico e del dogmatismo culturale.
Silvia Siravo legge alcuni dei Canti ed è come se Omero, la storia, la musica, il sacro invadessero lo spazio del teatro. L’analisi della finanza come nemica dell’economia è di assoluta attualità in un momento della storia nel quale i politici non sono più al servizio dei banchieri perché i banchieri assumono direttamente il potere politico. Uno dei casi più chiari si è verificato ancora una volta nella sciagurata Italia, con il governo di Mario Draghi, uno dei più sopravvalutati e incapaci presidenti del consiglio che la nazione abbia dovuto subire (e sì che ce ne sono stati molti).
Ma anche il piccolo caso italiano si inserisce nella vicenda di un occidente dominato dalla finanza e dall’usura, dalle forze della dissoluzione che la capacità profetica di Pound aveva ben descritto e delineato.
Che cosa sia stato Ezra Pound lo racconta bene un episodio ricordato da Rigillo:
«In una intervista di Pier Paolo Pasolini a Ezra Pound si comprende la deferenza che aveva Pasolini nei suoi confronti, pur con la consapevolezza di trovarsi di fronte a un personaggio a lui avverso politicamente. Lentamente questo personaggio che sembrava un asceta, andando avanti nell’intervista, conquistò Pasolini. A un tratto Pasolini, preso dal fascino del personaggio Ezra Pound, cominciò a leggere un suo Canto, dalla scrittura meravigliosa, e gli vennero le lacrime agli occhi. Questo poeta lo aveva commosso» (Programma di sala, p. 9).

Dal Canto XVII

The light now, not of the sun.
Chrysophrase,
And the water green clear, and blue clear;
On, to the great cliffs of amber.
Between them,
Cave of Nerea,
she like a great shell curved,
And the boat drawn without sound,
Without odour of ship-work,
Nor bird-cry, nor any noise of wave moving,
Nor splash of porpoise, nor any noise of wave moving,
Within her cave, Nerea,
she like a great shell curved
In the suavity of the rock,
cliff green-gray in the far,
In the near, the gate-cliffs of amber,
And the wave
green clear, and blue clear,
And the cave salt-white, and glare-purple,
cool, porphyry smooth,
the rock sea-worn,
No gull-cry, no sound of porpoise,
Sand as of malachite, and no cold there,
the light not of the sun.

La luce non più quella del sole.
Crisoprazio,
E l’acqua verde chiara, blu chiara;
Più avanti, verso le grandi scogliere d’ambra.
Fra queste,
La grotta di Nerea,
lei una grande conchiglia ricurva,
E la barca sospinta senza suono,
Senza odore di cantiere,
Né grido d’uccello, né suono d’onda che va,
Né tuffo di delfino, né suono d’onda che va,
Dentro la sua grotta, Nerea,
lei una grande conchiglia ricurva,
Nella soavità della roccia,
scogliera grigio-verde lontano,
Vicino, le scogliere portali d’ambra,
E l’onda
verde chiara, e blu chiara,
E la grotta bianca di sale e luccicante di porpora,
fresca, liscia come porfido
la roccia levigata dal mare.
Nessun grido di gabbiano, nessun rumore di delfino,
Sabbia come malachite, nessun freddo qui,
la luce non più quella del sole.

(Traduzione di Massimo Bacigalupo)

Professori / Bottegai

Qualche giorno fa ho ricevuto da Unict, io come altri docenti, una comunicazione nella quale si legge che «bisogna procedere alla compilazione dell’applicativo per la RICOGNIZIONE DEI FABBISOGNI – PROGRAMMA TRIENNALE 2025/27» e che dunque chiede ai «docenti responsabili di progetti di ricerca» di compilare entro la data del 13 settembre 2024 il modulo che si vede qui sotto:

Ha senso tutto questo? Ha senso dover prevedere nel dettaglio l’acquisto di materiale elettrico ed elettronico, toner, video proiettori, computer, traduzioni con fattura, creazione pagine web e molto molto altro, con tre anni di anticipo? Ha senso con lo stesso anticipo dover indicare la partecipazione a convegni, seminari o altro? Ha senso anche dover prevedere che cosa si scriverà nei prossimi tre anni e quindi le spese per i servizi editoriali? Ha senso dover essere così pedanti e analitici di fronte a un futuro che è sempre aperto? Ma che cosa siamo diventati (con la nostra complicità) da professori quali dovremmo essere? Dei bottegai? Dei piccoli banchieri alla Monopoli? Degli imprenditori di penne e matite?
La mia impressione e sospetto è che così si voglia semplicemente scoraggiare l’utilizzo delle risorse pubbliche per la cultura, la scienza, l’apprendimento. Si tratta di un’ulteriore testimonianza e prova di come il mondo universitario sia caduto (da tempo) nel delirio, anche a causa dello strapotere dei burocrati, la cui unica ragione di esistenza è la compilazione di fogli siffatti. Ma la responsabilità più grande è dei docenti che da almeno una decina d’anni hanno accettato tutto questo (e altro) come se avesse un senso.

Matematica

Il teorema del delirio
di Darren Aronofsky
USA, 1997
Con: Sean Gullette (Maximilian Cohen), Mark Margolis (Sol Robeson), Ben Shenkman (Lenny Meyer), Samia Shoaib (Devi)
Trailer del film

Duecentosedici, 216. Questo il numero che a poco a poco emerge dalle nebbie dentro le quali è immerso Max Cohen, un giovane matematico geniale e affetto sin dall’infanzia – quando a 6 anni guardò direttamente il Sole –  da una serie di disturbi che gli procurano allucinazioni e angosce, per sedare le quali deve assumere farmaci in quantità. Va periodicamente a trovare il suo Maestro, che ha rinunciato (o almeno così sembra) alla matematica. Riceve periodicamente le insistite telefonate di una agente di Borsa, che intende utilizzarlo per trovare un modo di predire l’andamento dei titoli, e dunque moltiplicare a dismisura i profitti. In un bar incontra un altro ebreo ma ortodosso e praticante, che lo invita in sinagoga, per discutere della struttura interamente matematica della Tōrāh, nella quale ogni lettera corrisponde a un numero.
Max vaga tra una città che gli vibra intorno senza posa, i miserabili corridoi della metropolitana di New York, il proprio appartamento occupato da un enorme computer che lui chiama Euclide. Euclide a un certo punto sembra fondersi e mentre lo fa sputa dai propri circuiti un numero composto da 216 cifre. Il suo Maestro gli confessa che è accaduto anche a lui ma di non dare peso alla cosa poiché si tratta soltanto di un baco informatico. Gli emissari della Borsa lo rapiscono per estorcergli il numero. I rabbini della sinagoga gli spiegano che quelle 216 cifre nell’ordine da lui scoperto sono «il vero nome di Dio». Un numero e un nome che Max non ha registrato su nessun supporto ma soltanto nella propria memoria, nella propria delirante testa, alla quale sembra voler rinunciare…

Un film ibrido, che mescola precisione assoluta e follia scatenata; l’ordine supremo delle matematiche e la lurida sporcizia dei luoghi; i soldi e il santo. Film che comincia con un racconto sul Sole che periodicamente si ripete lungo tutta la vicenda; un’opera che condivide per intero l’ipotesi platonica e galileiana che la natura sia fatta di numeri; una trama che aspira al potere dell’eterno nell’esatto significato del Timeo: « ἀλλὰ χρόνου ταῦτα αἰῶν αμιμου μένου καὶ κατ᾽ἀριθμὸν κυκλουμένου γέγονεν εἴδη. Perché queste sono forme del tempo che imita l’eternità e che procede circolarmente secondo il numero» (38a, 213).
La formula cercata da Max Cohen gli sta continuamente davanti nella ripetizione di enti ed eventi, nella spirale delle conchiglie, delle galassie, delle ruote, della sezione aurea che struttura il Partenone e  molti altri monumenti antichi, nella serie di Fibonacci, per la quale il numero successivo è la somma dei due precedenti. 1+1=2, 1+2=3, 2+3=5, 3+5=8, 5+8=13, 8+13=21, 13+21=34, 21+34=55 e così via .
In ogni tentativo di comprendere con oggettività il mondo che non sia sobrio, rigoroso e razionale – freddezza quale soltanto la filosofia può dare – la ricerca della «formula che mondi possa aprirti» (Montale) non può che confluire nel delirio del cercante. La metafisica è invece, dentro le matematiche e oltre le matematiche, la più lucida delle scienze. La metafisica è l’unica, vera,  appassionata freddezza.

Il sacrificio della Grecia

Grecia / Europa
Aldous, 10 febbraio 2024
Pagine 1-2

L’articolo analizza le dinamiche di dissoluzione della cultura e della politica europee come emergono dall’Unione Europea, dall’Euro e dalla Nato. L’esempio più chiaro e drammatico delle conseguenze delle decisioni prese nell’ambito di tali strutture politiche, economiche e militari è il sacrificio della nazione e del popolo greco. Un sacrificio sull’altare dei mercati e della finanza che è la più emblematica e tragica conferma della rinuncia dell’Europa alla propria identità e alle libertà dalle quali è nata.

«Nessuna empatia»

The Killer
di David Fincher
USA, 2023
Con: Michael Fassbender (killer), Charles Parnell (Hodges), Tilda Swinton (donna), Kerry O’Malley (Dolores)
Trailer del film

L’obiettivo è non esserci. Non apparire alla miriade di telecamere, microcamere, metal detector, registrazioni, controlli, che scandiscono nel XXI secolo la vita degli umani, pressoché ovunque. Lo scopo è quindi rendersi per quanto si può invisibile. Vestirsi «come un turista tedesco», che nessuno vuole avvicinare. Condurre la giornata nel modo più anonimo. Per uccidere. E poi sparire. Metodico, distante, e soprattutto interamente consapevole di che cosa sia il mondo. Tutta la prima parte del film è un’antropologia in forma di attesa. Di attesa della vittima. Che però, per un banale ostacolo di una frazione di secondo, sfugge. A quel punto le conseguenze sono fatali. E il film diventa una lunga vendetta che sembra negare uno dei presupposti fondamentali del lavoro di questo killer: «Nessuna empatia. L’empatia è debolezza. Niente di personale. I don’t give a fuck». Presupposto a sua volta fondato sull’antropologia hobbesiana enunciata all’inizio: «O uccidi o sei ucciso». Un’antropologia decisamente antirussoviana: «A chi crede nella naturale bontà degli uomini vorrei porre una sola domanda: ‘ma di preciso su che cosa ti basi nel fare questa affermazione?’».
Le città che scandiscono i cinque episodi sono alcuni dei luoghi dove agisce il killer che il capitalismo finanziario è: Parigi, Santo Domingo, New Orleans, New York, Chicago. E infatti l’ultimo incontro avviene nella dimora, studio e santuario di un maestro della finanza, per arrivare al quale il killer ha percorso un cammino lungo, metodico, distante, consapevole. Mortale.
Come in Seven (Fincher, 1995) il disincanto è completo ma rispetto al calore e alla passione che in quel film fanno da contraltare alla logica dell’assassino, The Killer conferma in un modo geometrico e algido le parole di Thomas Hobbes sulla vita umana «solitaria, misera, ostile, brutale e breve» (Leviatano [1651], Laterza 1989, cap. XIII, p. 102), anche e specialmente a causa dell’«inclinazione generale di tutta l’umanità, un desiderio perpetuo e ininterrotto di acquistare un potere dopo l’altro che cessa soltanto con la morte» (Ivi, cap. XI, p. 78), nonostante l’umano cerchi di nascondere tale condizione «attraverso la finzione, la menzogna, la simulazione e le false dottrine» (Ivi, introduzione, p. 7) come quelle che pongono questo mammifero al vertice della gerarchia dei viventi e degli enti o arrivino persino a definirlo «figlio di Dio» 😳 😆.

39,4

Il dato politico clamoroso di queste elezioni regionali del febbraio 2023 è l’infima partecipazione dei cittadini al voto. In Lombardia si è recato a votare il 41,6 degli aventi diritto. Nel Lazio il 37,2. La media tra le due regioni è il 39,4. Mai accaduto nella storia repubblicana.
Le cause sono molte ma una delle ragioni è evidente: che senso ha andare a votare se le decisioni politiche che contano, quelle che influenzano ogni altro provvedimento e la vita dei cittadini italiani, non vengono più prese a Roma o a Milano ma a Bruxelles e a Washington?
Perché è esattamente questo che accade da molti anni e in modo sempre più implacabile.
Recarsi a votare non ha più senso poiché, qualunque sia l’esito delle elezioni, le politiche dei governi – regionali o nazionale che siano -continuano a essere le stesse stabilite dai poteri sovranazionali ai quali l’Italia delega sempre più il proprio presente e il futuro. E questo su tutto: leggi e decisioni economiche; privatizzazione totale dei servizi essenziali (sanità, formazione, trasporti); questione dei migranti; guerre delle NATO e degli USA in Europa e contro l’Europa.
Chiunque vinca le elezioni la sostanza della politica italiana non muta, ed è sempre quella che si condensa e invera nell’azione e nel potere della formazione politica che meglio rappresenta e difende gli interessi del globalismo finanziario e culturale: il Partito Democratico. Una formazione politica corrotta, filoatlantica, obbediente in tutto agli Stati Uniti d’America, guerrafondaia, serva della finanza internazionale.
La destra al governo ha le stesse caratteristiche ma con molto meno influenza sul corpo collettivo, sulla stampa, sulla televisione, sulle banche. Sui veri centri del potere.

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