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Facci ridere

Su La Sicilia Andrea Lodato dà un’interpretazione del trionfo televisivo dei comici che mi trova del tutto concorde. Vi si contesta, tra l’altro, il fatto «che questo Paese, appena uscito dalla palude della cultura (?) berlusconista, oggi abbia tutto questo bisogno di riderci su. Non solo, per lo meno. Invece è una sganasciata generale, anche alla radio, aggiungo. Non c’è network, non c’è canale Rai (terzo escluso, ma quella è un’oasi), che non abbiano trasmissioni dove ogni trenta secondi i conduttori si scompisciano di risate, senza senso». In effetti, sembra che il pubblico televisivo e cinematografico non aspetti altro che dei barzellettieri travestivi da attori per finalmente conciliarsi con la realtà.
Leggendo l’articolo di Lodato ho pensato subito a una delle molte affermazioni demistificatrici della Scuola di Francoforte: «Non appena aggiunge una parola di spiegazione, l’ironia si distrugge. Essa presuppone quindi l’idea di ciò che è di per sé evidente e -in origine- della risonanza sociale. Solo dove si ammette un consenso stringente dei soggetti, è superflua la riflessione soggettiva, l’esecuzione dell’atto concettuale. Chi ha con sé il pubblico che ride, non ha bisogno di fornire dimostrazioni. […] L’ironia è passata, ad intervalli, dalla parte degli oppressi, specialmente quando, in realtà, essi non erano già più tali. Ma, prigioniera della propria forma, non si è mai del tutto liberata dall’eredità autoritaria, dalla malignità che non ammette obiezioni. […] Contro la sanguinosa serietà della società totale, che ha assorbito la sua controistanza -l’obiezione impotente che era, un tempo, il precipitato dell’ironia- non c’è più che la sanguinosa serietà, la verità compresa» (Theodor W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa [1951], Einaudi 1994,  § 134, pp. 253-256).
Non ridono con la levità degli uomini liberi ma con l’intimo tratto servile di chi proietta nel buffone la propria impotenza.

5 commenti

  • diegob

    Dicembre 13, 2011

    troppo gentile cara giusy

    per ora non ci diamo del tu con il mio filosofo prediletto, anche se in effetti sarebbe anche logico, solo che io all’inizio almeno avevo un’immagine molto austera del nostro professore, per la cultura immensa che ha (almeno rispetto a me) e quindi mi sono metaforicamente seduto nei banchi degli allievi, una specie di studente fuori corso

    forse c’è in me una inconfessata nostalgia di quando ero uno studente

    venendo alla questione, in effetti è chiaro che il lavoro di ricerca filosofica richiede saperi abbastanza specialistici, e non tutto quello che si produce può esser da tutti letto o compreso appieno

    io penso che il nostro amico alberto (eccomi confidenziale) sul sito scriva spesso mescolando la riflessione sui temi attuali con il riferimento a contenuti invece classici, come il mondo greco, nietzsche ed altri territori dell’antropologia

    poi so che c’è questo orizzonte della consulenza filosofica, di cui non so nulla, ma se posso dire una mia impressione, una mia sensazione, è che la filosofia è meglio della psicologia, perchè quest’ultima è figlia della sua epoca, mentre la filosofia è per sempre

    detto questo, cara giusy, peccato che l’incombente natale renda un tipografo un animale braccato da chi deve stampare auguri e calendari (e meno male, viste le prospettive economiche…), per cui non posso leggere quanto desidero

  • Giusy Randazzo

    Dicembre 13, 2011

    Caro Diego,
    leggere i tuoi commenti è sempre interessante e non soltanto perché emerge quella nota di umiltà così intonata al tuo modo autentico di essere e di leggere il mondo, ma anche perché quasi sempre alla fine della lettura sorgono in me nuove domande che avviano nuove ricerche. Non so per quale motivo una buona parte del popolo si sia convinto che la filosofia sia altra cosa rispetto alla specializzazione dei singoli saperi o per quale ragione si creda che il filosofo giri intorno a fatti che altri hanno il “diritto” di interpretare. Non risponderei con la solita nenia: la filosofia è la madre di tutti i saperi. No, perché -pur se vero- sarebbe troppo riduttivo. Suppongo invece che i filosofi abbiano perso terreno, si siano arenati in questa antica genitorialità e abbiano lasciato che figli sprovveduti -i singoli saperi ridotti a puro tecnicismo- distruggessero il patrimonio consegnato nelle loro mani. Su questa “consegna” dovremmo ridiscutere, abbandonando un ruolo vecchio e stantio, per riscoprirci figli del nostro tempo. Figli che devono ricostruire una nuova eredità per lasciarla a posteri più avveduti. Persone come te non sono soltanto “cerniere” ma “ponti”, tra questo -il tempo attuale- e quello -il tempo della ricchezza-, per consentire a quest’amore infinito che è la filosofia di percorrere il suo nuovo cammino.
    Non credo che qualcuno possa pensare che tu sia sussiegoso nei confronti di Alberto. Tu, Diego, l’hai riconosciuto, come ho fatto io. Lui è “figlio del suo tempo”.
    Un caro saluto,
    Giusy
    PS
    Ma non vi davate del tu con Alberto? 🙂

  • diegob

    Dicembre 12, 2011

    sono un lettore non propriamente accademico ma sicuramente attento ai suoi scritti, caro prof. b., per cui colgo molto bene questo senso di autentico piacere del vivere che deriva dalla ricerca intellettuale

    e sono convinto che il nucleo del fascino dei suoi scritti, caro b., derivi proprio dall’essere frutto di un modo di sapere che è anche un modo di essere

    però c’è un aspetto del problema che mi preme sottolineare: il filosofo in sostanza non si cura certamente del giudizio sciocco e greve, ma il bersaglio che i detrattori vogliono colpire è il suo messaggio, la sua critica radicale all’esistente, il suo disvelare le false coscienze

    per esser più chiari: mi è capitato di discutere (animatamente no, perchè io son sempre calmo) con un conoscente sui disvalori del dio/finanza oggi venerato, e siccome ho citato marx e adorno, mi è stato risposto: «ma quelli son filosofi, cosa vuoi che c’entrino con la realtà?»

    il problema di come comunicare un pò esiste, secondo me

    ovviamente spero di non tediare con le mie elucubrazioni, la mia stessa natura di uomo cerniera fra filosofi e non filosofi mi porta spesso su queste problematiche

    sono onoratissimo della sua attenzione, caro biuso, e non mi sento per nulla sussiegoso a scriverlo, perchè è il mio esatto sentimento

  • agbiuso

    Dicembre 11, 2011

    Caro Diego, lei descrive con efficacia alcuni dei più tristi e triti luoghi comuni rivolti contro la filosofia e contro il lavoro intellettuale. Sinceramente e serenamente, non do alcuna importanza a tutto questo. A simile povertà di pensiero spero di aver risposto in una pagina (la 131) di Antropologia e filosofia, che qui dunque riporto:

    «La vita riacquista, certo soltanto nella misura possibile all’uomo, un senso che non può essere definitivo. È il senso prospettico di un esperimento costante: il provare e saggiare, l’edificare e demolire proprio di ogni gioco. Il gioco più alto e coinvolgente, l’unico che possa appagare una natura razionale, è la conoscenza. Essa libera, in un infinito intrattenimento, da tutto ciò che appesantisce e rende meschino il tessuto dei giorni umani: le umilianti e vendicative ambizioni professionali, la fuga dalla noia che incombe sul quotidiano, la fatalità degli errori e della morte, la devastante potenza delle altre passioni. La lotta più propria dell’essere umano è quella incessante da sostenere contro il poco delle nostre nature, è l’eroismo fecondo della ricerca intellettuale, dell’arte, della scienza. Queste non possono essere ridotte a mero strumento di potere e di ricchezza all’interno delle molteplici istituzioni delegate a produrle, poiché costituiscono il mezzo più adeguato per quella incessante lotta contro l’assurdo della vita che è la più propria guerra dell’uomo. La cosiddetta “vita concreta”, quella vita così spesso polemicamente e da tante parti contrapposta al sapere, si rivela di fatto incapace di affrontare questa lotta. La vita intruppata, superficiale e vuota, annoiata e volgare non può che soccombere al dominio della morte, data la totale assenza di una domanda consapevole sul significato dell’esserci».

  • diego b

    Dicembre 10, 2011

    è vero, dietro l’apparente bonomia della battuta comica, si celano spesso potenti e inattaccabili pregiudizi

    faccia caso, caro amico prof. b., a quando un’analisi seria e molto argomentata viene combattuta con la greve ironia verso le fumisterie intellettuali

    accade che un uomo serio, che fonda il suo pensiero su un grande lavoro culturale, quando esprime argomenti invisi al potere, ecco che lo si dipinge come un intellettuale pensoso, usando la parola intellettuale intingendola di ironico disprezzo

    e poi hanno anche l’abitudine di scambiare la serietà, la profondità, per tristezza e, per converso, di considerare il cinismo e la superficialità un saper vivere

    bisogna stare attenti, in effetti, i toni scherzosi sono intrisi di una violenza inaudita, è giusta la citazione riportata

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