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Tempo e candore

Stanlio e Ollio
(Stan & Ollie)
di Jon S. Baird
USA – Gran Bretagna, 2018
Con: Steve Coogan (Stan Laurel), John C. Reilly (Oliver Hardy), Nina Arianda (Ida Kitaeva Laurel), Shirley Henderson (Lucille Hardy) Danny Huston (Hal Roach)
Trailer del film

Scorrono le immagini dei film e delle scene interpretate da Stan Laurel e Oliver Hardy. Scorrono ancora una volta. Da quando un sorriso senza incertezze si disegnava sul mio volto bambino nel vederli. Sorriso che poi diventava riso puro, profondo, pieno. Perché? Quale la formula, le ragioni, l’enigma che rende la comicità di Laurel & Hardy così irresistibile, perenne, universale? Il tempo e il candore.
Il tempo dei movimenti perfettamente sincronizzati, delle entrate e uscite al momento opportuno, né prima né dopo, del flusso di avvenimenti apparentemente casuali ma inevitabili che rendono quell’istante il momento giusto nel quale accadono il gesto, la battuta, l’equivoco, lo sguardo in macchina di Ollio, il vago spaesamento di Stanlio. In Laurel e Hardy la necessità si fa allegria. Pura, innocente, totale allegria.
Il candore è infatti il secondo segreto di questa coppia. È come se le loro azioni e reazioni riuscissero a rendere accettabile l’inganno, a giustificare il male, a scioglierlo nella sua leggerezza. È una comicità che concilia con l’ingiustizia che subiscono e con l’ingiustizia che operano, una comicità che  dunque redime.
Stan & Ollie è un film riuscito e importante perché spiega quanto e come il tempo e la purezza abbiano sostanziato il lavoro di questi due artisti e le loro vite. Determinato e perfezionista Stan Laurel; più conciliante e lieve Oliver Hardy, le loro esistenze furono attraversate da vizi, rotture e delusioni. Rotture anche tra di loro ma quando Hardy morì, nel 1957, Laurel si ritirò dalle scene pur continuando a scrivere testi per Stanlio e Ollio, testi che nessuno avrebbe più potuto interpretare.
Il film segue questi due perfetti nel tempo inopportuno – quando cioè non compresero che forse la loro parabola andava chiusa, che ogni cosa ha il suo tempo – e li disegna nel tempo universale, quello che li ha resi immortali.

Automi

Parigi a piedi nudi
(Paris pieds nus)
di Dominique Abel e Fiona Gordon
Francia – Belgio, 2016
Con: Fiona Gordon (Fiona), Dominique Abel (Dom), Emmanuelle Riva (Martha), Pierre Richard (Duncan)
Trailer del film

L’apparenza non deve ingannare. Non si tratta di una divertente favoletta che narra l’incontro per le strade e i Lungosenna di Parigi tra due improbabili personaggi: una allampanata ragazza proveniente dal Canada e in cerca di una zia, un clochard abile e a suo modo aristocratico. Il senso del film sta nel corpo, nei suoi movimenti comico/meccanici, che -come notato da vari commentatori- devono molto a Chaplin e a Tati ma possiedono una grazia e un’ironia tutte loro. Centrale è la singolare ‘orazione funebre’ tenuta da Dom, il barbone, che da un incipit convenzionale va trasformandosi in aperta denigrazione della defunta. Una scena che mette sull’avviso rispetto a eventuali sentimentalismi.
È probabile che gli dèi vedano la nostra specie come noi osserviamo i personaggi di questo film: entità bizzarre, avvolte nei propri sogni, circondati dal limite, capaci di altruismo e di inganno, pervasi di desiderio, che si muovono come viventi automi nello spaziotempo. 

Sorriso / Malinconia

Teatro Franco Parenti – Milano
La dodicesima notte
(Twelfth Night, or What You Will)
di William Shakespeare
Con: Carlo Cecchi, Daniela Piperno, Vincenzo Ferrera, Eugenia Costantini, Dario Iubatti, Barbara Ronchi, Remo Stella, Loris Fabiani, Federico Brugnone, Davide Giordano, Rino Marino, Giuliano Scarpinato
Traduzione di Patrizia Cavalli
Musiche di scena Nicola Piovani; musicisti Luigi Lombardi D’Aquino, Alessandro Pirchio, Federico Occhiodoro
Costumi Nanà Cecchi
Regia di Carlo Cecchi
Sino al 6 marzo 2016

dodicesima_notteL’amore come equivoco, la vita come desiderio, le relazioni come lotta. E su tutto il sorriso di chi ha compreso quanto di umano, troppo umano ci sia nella pretesa di fare delle nostre passioni il criterio del mondo. Così le identità diventano dinamiche, i nomi vengono scambiati, la volontà di piacere all’altro appare o arrogante o ridicola. La ricomposizione finale -nel suo veloce e innaturale acquietarsi- rende ancora più stridente l’accaduto. Nelle commedie di Shakespeare, per quanto divertenti -e questa lo è molto- c’è sempre un fondo di malinconia che contribuisce all’immortalità dell’opera.
Un allestimento della Dodicesima notte che tralascia gli orpelli e punta all’essenziale, che in uno spazio quasi vuoto fa dei costumi la vera scenografia e perviene al cuore della malinconia attraverso un franco sorriso. Carlo Cecchi gigioneggia come sempre e come sempre regala ai suoi personaggi un tratto inconsueto di verità. La compagnia lo segue nella leggerezza e nella meditazione sulle cose del mondo.

Potere / Idiozia

Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve
(The 100-Year-Old Man Who Climbed Out the Window and Disappeared )
di Felix Herngren
Svezia, 2013
Con Robert Gustafsson (Allan Karlsson), Iwar Wiklander (Julius Jonsson), David Wiberg (Benny), Mia Skäringer (Gunilla), Ralph Carlsson (il detective Aronsson)
Trailer del film

Il centenario che saltò dalla finestraDurante la guerra di Spagna combatte dalla parte dei repubblicani ma diventa amico di Franco; dà un contributo fondamentale alla costruzione della bomba atomica; viene rapito dai sovietici e finisce in Siberia ma poi diventa una loro spia; è però anche al servizio della CIA; contribuisce alla decisione di smantellare il muro di Berlino. Adesso sta per compiere cento anni di vita e fugge dalla casa di riposo in cui si trova; ruba casualmente un’enorme somma di danaro a una banda di criminali; viene aiutato da un ferroviere quasi in pensione, da uno studente universitario che ha dato decine di esami senza però ancora laurearsi, da una ragazza che vive in compagnia di un’elefantessa.
Allan Karlsson attraversa tutto questo con la calma imperturbabile di Chance the Gardener, difeso dal potente scudo che sempre la stupidità rappresenta di fronte alle insidie della vita umana. Un film divertente e assolutamente lieve -in pratica una serie di scene comiche una dopo l’altra- ma che ha la capacità di fare del suo inossidabile protagonista un disvelatore dell’idiozia dei potenti: dal detective ispettore capo Aronsson -un autentico cretino- ai dittatori e ai criminali che incontra lungo il suo cammino secolare. I criminali fuorilegge li fa fuori uno dopo l’altro, i criminali che sono la legge li vede transitare e tramontare mentre lui sta lì a godersi infine il mare di Bali.

Il sorriso e la morte

Teatro Franco Parenti – Milano
Sogno di una notte di mezza sbornia
di Eduardo De Filippo
liberamente tratto da  La fortuna si diverte di Athos Setti
Con: Luca De Filippo (Pasquale Grifone), Carolina Rosi (Filomena), Nicola Di Pinto, Massimo De Matteo, Giovanni Allocca, Carmen Annibale, Gianni Cannavacciuolo, Paola Fulciniti, Viola Forestiero
Regia di Armando Pugliese
Compagnia di Teatro di Luca De Filippo
Sino al 6 gennaio 2015

Luca-De-Filippo-e-Carolina-Rosi-foto-Federico-RivaPasquale Grifone vive modestamente ma vive. In una delle tante notti che lo vedono ubriaco, Dante Alighieri gli regala quattro numeri che lo renderanno ricco. Sono numeri, però, che indicano anche la data della sua morte, che avverrà tra pochi mesi. I numeri escono e la famiglia di Pasquale diventa milionaria. La felicità degli altri non compensa l’angoscia del protagonista, che vive come fosse un condannato a morte. Moglie e figli cercano di tranquillizzarlo ma sono anche ben pronti alla dipartita e non propriamente dispiaciuti. Il giorno stabilito si vestono a lutto e cominciano il loro pianto. Alle 13 in punto Pasquale si sente morire ma non muore. Un medico certifica la sua piena salute. Forse però non sono ancora le 13…
Una farsa, chiaramente, con tutti i colori, le esagerazioni, i movimenti, le battute intessute di grottesco. Ma una farsa che contiene i grandi temi del teatro di Eduardo, vale a dire la solitudine, il sogno, il morire. Il contratto, La grande magia, Questi fantasmi, Le voci di dentro affrontano la morte, la volontà di vivere, la vita onirica e l’esser soli con tutta la radicalità di un umorismo insieme teoretico e plebeo. Qui il tono è lievissimo, i tempi comici sono scanditi e il risultato è di grande divertimento. Ma anche da questa commedia traspare la tragicità della condizione umana. Soltanto un grande drammaturgo può coniugare così bene il sorriso e la morte.

Facci ridere

Su La Sicilia Andrea Lodato dà un’interpretazione del trionfo televisivo dei comici che mi trova del tutto concorde. Vi si contesta, tra l’altro, il fatto «che questo Paese, appena uscito dalla palude della cultura (?) berlusconista, oggi abbia tutto questo bisogno di riderci su. Non solo, per lo meno. Invece è una sganasciata generale, anche alla radio, aggiungo. Non c’è network, non c’è canale Rai (terzo escluso, ma quella è un’oasi), che non abbiano trasmissioni dove ogni trenta secondi i conduttori si scompisciano di risate, senza senso». In effetti, sembra che il pubblico televisivo e cinematografico non aspetti altro che dei barzellettieri travestivi da attori per finalmente conciliarsi con la realtà.
Leggendo l’articolo di Lodato ho pensato subito a una delle molte affermazioni demistificatrici della Scuola di Francoforte: «Non appena aggiunge una parola di spiegazione, l’ironia si distrugge. Essa presuppone quindi l’idea di ciò che è di per sé evidente e -in origine- della risonanza sociale. Solo dove si ammette un consenso stringente dei soggetti, è superflua la riflessione soggettiva, l’esecuzione dell’atto concettuale. Chi ha con sé il pubblico che ride, non ha bisogno di fornire dimostrazioni. […] L’ironia è passata, ad intervalli, dalla parte degli oppressi, specialmente quando, in realtà, essi non erano già più tali. Ma, prigioniera della propria forma, non si è mai del tutto liberata dall’eredità autoritaria, dalla malignità che non ammette obiezioni. […] Contro la sanguinosa serietà della società totale, che ha assorbito la sua controistanza -l’obiezione impotente che era, un tempo, il precipitato dell’ironia- non c’è più che la sanguinosa serietà, la verità compresa» (Theodor W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa [1951], Einaudi 1994,  § 134, pp. 253-256).
Non ridono con la levità degli uomini liberi ma con l’intimo tratto servile di chi proietta nel buffone la propria impotenza.

Horrible Bosses

di Seth Gordon
(Titolo italiano: Come ammazzare il capo e vivere felici)
Con: Jason Bateman (Nick), Charlie Day (Dale), Jason Sudeikis (Kurt), Kevin Spacey (Harken), Jennifer Aniston (Julia Harris), Colin Farrel (Pellit Jr.), Donald Sutherland (Jack), Jamie Foxx (Jones)
Usa, 2011
Trailer del film

Il primo si fa mettere i piedi in testa in modo persino rivoltante per ottenere una promozione che non arriverà mai; l’altro è alla merce della propria capa dentista che tra una bocca e l’altra non pensa ad altro che a scoparselo; il terzo lavora con grande soddisfazione in un’azienda chimica fino a che non muore il titolare e il figlio/erede si dimostra un cocainomane depravato. Non ce la fanno più, insomma. Licenziarsi li getterebbe sulla strada, senza alcun futuro. Decidono -disperati- di assoldare un killer (nero, naturalmente) per liberarsi dei loro torturatori. Ma il presunto sicario si rivela solo “un consulente in omicidi”. Devono dunque far tutto da sé. Imbranati sino al surreale, la fortuna viene in qualche modo loro incontro.

Il tema serissimo del mobbing e della psicopatologia di chi esercita un qualche potere sui sottoposti è qui declinato in una forma comica che ha la struttura di un meccanismo a orologeria. Dai grandi classici -Stan Laurel e Oliver Hardy su tutti- sappiamo che la comicità consiste nel dominio assoluto dei tempi. Gesti, battute, sguardi devono essere coordinati per ottenere l’effetto. E naturalmente anche i testi non devono risultare troppo banali e prevedibili. Rispetto a tali condizioni, Horrible Bosses si mantiene su una buona media, con delle invenzioni narrative che rendono sempre divertente la vicenda. Si ride molto e di gusto. La carrellata dei titoli di coda sui ciak scartati mostra come pure gli attori si siano divertiti davvero. E questo è un buon segno. Il film merita di essere visto anche per l’interpretazione ancora una volta magnifica di Kevin Spacey -un manager luciferino-, probabilmente il più bravo attore statunitense oggi.

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