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Mente & Cervello 50 – Febbraio 2009

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Che fatica per la “civiltà cristiana” accettare le persone e le loro differenze, tutta presa com’è a salvare l’intera umanità. E dunque si può solo sperare che quanto ad alcuni di noi appare evidente lo diventi col tempo anche per papisti, protestanti e simili gruppi…Ad esempio, L.Torno ricorda che la questione odierna dell’omosessualità è analoga a quella «del mancinismo (anche in questo caso, a volte completo e altre solo per alcune attività) per secoli condannato come possessione diabolica» (p. 7). C’è da sorridere (amaramente) quando Sommi Pontefici e teologi parlano di “morale naturale”, come qualcosa di tetragono, unico e assoluto. La Natura, quella reale e non quella antropomorfica sulla quale già Senofane scagliava la sua ironia, è infatti e per fortuna un mondo di differenze, di molteplicità, di straordinarie bizzarrie, come documentano testi e immagini dedicati ai «segnali dell’amore» (pp. 42 e sgg): pavoni, pesci, cimici, fringuelli, lucciole, acari, vespe, fregate (un uccello marino), istrici, ragni, scimpanzé bonobo, mettono in atto strategie di conquista diversissime e ingegnose. Questi ultimi, poi, -i bonobo– utilizzano anche l’omosessualità per rafforzare i legami dentro il gruppo. E quindi non è vero che in natura il piacere sessuale sia sempre accompagnato e finalizzato alla riproduzione. Anche le femmine umane cercano di far perdere la testa ai maschi, ad esempio attraverso il trucco più o meno forte, il quale ha «la capacità di indebolire le facoltà cognitive di un uomo, rendendolo più generoso e più sensibile al fascino della seduzione» (N. Gueguen, 41).

Nello scorso numero di M&C  Michael Shermer criticava la fiducia eccessiva riposta nel Brain imaging. E infatti si cade spesso in una sorta di equivoco linguistico che inverte i termini, come quando -in una delle tante notizie redazionali- il titolo afferma che «la sensazione di annoiarsi è causata dall’interruzione della comunicazione tra alcune aree cerebrali», mentre dal resto dell’articolo risulta chiaro che “la sensazione di annoiarsi è espressa dall’interruzione della comunicazione tra alcune aree cerebrali” (F.Sgorbissa, 21). Per fortuna, testi un po’ più articolati illustrano bene la complessità della coscienza umana. Michele Di Francesco sembra riprendere lo scetticismo di Colin McGinn quando afferma che «nulla ci autorizza anche solo a pensare di essere vicini alla spiegazione del come un insieme di processi elettrochimici e/o computazionali a livello del tessuto cerebrale sia in grado di produrre la meravigliosa varietà della nostra vita interiore» (cit. da A.Lavazza, 75). L’articolo nel quale si trova la citazione si intitola Quanti di coscienza ed è il più interessante di questo numero. Vi si discute, ovviamente, del libro di Roger Penrose (La mente nuova dell’imperatore, Rizzoli, ed. originale 1989), che fu tra i primi a proporre una spiegazione quantistica della coscienza; ma si accenna anche, pur senza fare il nome, all’ipotesi di William Hasker, il quale ritiene che quando la struttura della materia raggiunge una sufficiente soglia di complessità la mente emerga da essa come i campi magnetici emergono dal metallo senza che possano con esso venir confusi: «as a magnet generates its magnetic field so the brain generates its field of consciousness» (in Philosophy of Mind, Routledge 2003, p. 535). Hasker conia l’efficace espressione «soul-field» per descrivere la mente così intesa e tale ipotesi è stata ripresa dai giapponesi Jibu e Yasue, i quali ritengono che «la coscienza emergerebbe dall’interazione tra i campi elettromagnetici e i campi molecolari dell’acqua nelle proteine» (Lavazza, 77).

Un’altra importante concezione della quale l’articolo discute è quella di Manzotti e Tagliasco (la TMA, Teoria della Mente Allargata). A Riccardo Manzotti viene data direttamente la parola alle pp. 78-79: «Il limite fisico del soggetto non è quello del corpo. I confini sono più ampi, comprendono fisicamente ciò di cui facciamo esperienza: oggetti, radiazioni luminose, molecole, configurazioni spaziali. Inoltre, questa “espansione” non si limita allo spazio, ma comprende anche la dimensione temporale». E Giuseppe Vitiello, fisico dell’Università di Salerno, conferma che «Non siamo di fronte a una coscienza di tipo cartesiano con una separazione mente-mondo (…) la descrizione matematica considera cervello e ambiente un sistema chiuso; l’ambiente è l’immagine speculare del cervello nel tempo. La coscienza non è un oggetto, ma un evento, il risultato e la manifestazione di una dinamica frutto del fatto che il cervello è immerso nel mondo. La coscienza potrebbe essere una fase particolare della materia vivente per come è organizzata quantisticamente. E ciò porta a non escludere che una forma di coscienza sia diffusa in tutto il regno animale» (81).

La grande arte conferma la capacità costruzionista e niente affatto passiva della mente umana. In un bell’inserto dedicato a Paul Cézanne D.Ovadia fa riferimento agli studi di Jonah Lehrer che dimostrano come il nucleo da cui si gerano le opere di questo artista sia «la sua intuizione che non esiste una visione oggettiva, ma che guardare significa creare ciò che vediamo» (59). Anche per questo -e contrariamente alle ipotesi in gran parte speculative di riduzionisti ed eliminativisti- la mente e la coscienza hanno un potere causale sulla materia: «alcuni fisici -Eugene Wigner è il più autorevole- hanno sostenuto quindi che sia la coscienza umana a causare il collasso della funzione d’onda», tanto che «la “mente” è implicitamente considerata un primum ontologico capace di azione, in coerenza con la fisica quantistica ma al di fuori di essa» (Lavazza, pp. 77 e 79). Si potrebbe concludere parafrasando un celebre aforisma di Blaise Pascal: «poca scienza allontana dalla mente, molta scienza avvicina ad essa».

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