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Professori / Bottegai

Qualche giorno fa ho ricevuto da Unict, io come altri docenti, una comunicazione nella quale si legge che «bisogna procedere alla compilazione dell’applicativo per la RICOGNIZIONE DEI FABBISOGNI – PROGRAMMA TRIENNALE 2025/27» e che dunque chiede ai «docenti responsabili di progetti di ricerca» di compilare entro la data del 13 settembre 2024 il modulo che si vede qui sotto:

Ha senso tutto questo? Ha senso dover prevedere nel dettaglio l’acquisto di materiale elettrico ed elettronico, toner, video proiettori, computer, traduzioni con fattura, creazione pagine web e molto molto altro, con tre anni di anticipo? Ha senso con lo stesso anticipo dover indicare la partecipazione a convegni, seminari o altro? Ha senso anche dover prevedere che cosa si scriverà nei prossimi tre anni e quindi le spese per i servizi editoriali? Ha senso dover essere così pedanti e analitici di fronte a un futuro che è sempre aperto? Ma che cosa siamo diventati (con la nostra complicità) da professori quali dovremmo essere? Dei bottegai? Dei piccoli banchieri alla Monopoli? Degli imprenditori di penne e matite?
La mia impressione e sospetto è che così si voglia semplicemente scoraggiare l’utilizzo delle risorse pubbliche per la cultura, la scienza, l’apprendimento. Si tratta di un’ulteriore testimonianza e prova di come il mondo universitario sia caduto (da tempo) nel delirio, anche a causa dello strapotere dei burocrati, la cui unica ragione di esistenza è la compilazione di fogli siffatti. Ma la responsabilità più grande è dei docenti che da almeno una decina d’anni hanno accettato tutto questo (e altro) come se avesse un senso.

Più bravi

Tra i numerosi saggi che i miei allievi hanno pubblicato di recente, ne segnalo alcuni che mi sembrano particolarmente significativi.

-Daria Baglieri, Una memoria pre-biografica? Ricordo e oblio come esperienze somatiche «Filosofia Morale/Moral Philosophy», n.5, 2024/1, pp. 103-113. Baglieri articola e approfondisce con particolare chiarezza il plesso essenziale e teoretico così intricato sul quale sta lavorando da anni, quello che rende inseparabili nell’animale umano la memoria e l’oblio, elementi entrambi indispensabili alla vita del corpomente.

-Sarah Dierna, Peter Wessel Zapffe. Il profeta dell’“Ultimo Messia”, «Dialoghi Mediterranei» n.68, luglio-agosto 2024, pp. 538-550. Si tratta di uno dei pochissimi contributi in lingua italiana dedicati a Zapffe, scrittore e filosofo norvegese vissuto tra il 1899 e il 1990, tra i più originali sostenitori dell’antinatalismo. Un pensatore rigoroso e insieme visionario, del quale Dierna delinea la figura e le tesi in maniera assai limpida, mettendo al centro un racconto del 1933 ma andando anche al di là di questo specifico testo.

-Lucrezia Fava, Sull’Apocrifo di Giovanni, in «Letteratura e Bibbia. Atti delle Rencontres de l’Archet Morgex, 14-19 settembre 2020», Centro di Studi storico-letterari Natalino Sapegno 2022, pp. 113-121. Studiosa delle relazioni tra filosofia contemporanea e gnosticismo antico, Fava presenta, analizza e interpreta qui uno dei testi gnostici più chiari ed emblematici, in un saggio che si pone all’incrocio tra storia delle religioni ed ermeneutica filosofica.

-Enrico Moncado, Note sulla «Einleitung in die Phänomenologie der Religion» di Martin Heidegger, in «Mondi. Movimenti sociali e simbolici dell’uomo», vol. 5/2022, pp. 45-58. Moncado ha dedicato il suo dottorato all’analisi dell’escatologia nel pensare heideggeriano. Questo saggio sul legame e sulle differenze che intercorrono tra l’escatologia paolina e quella di Heidegger conferma per intero come dalla più potente esperienza teoretica del Novecento scaturiscono di continuo elementi di grande fecondità anche nell’ambito della fenomenologia della religione. 

-Enrico Palma, «La clôture de la joue». Un’indagine metafisica sul limite tra dolore, finitudine e temporalità. «Aretè. International Journal of Philosophy, Human & Social Sciences», vol. 8/2023 [ma uscito nel 2024], pp. 223-247. Un saggio nel quale l’intersezione tra parola teoretica e parola letteraria, che segna la monografia da Palma dedicata a Proust, contribuisce a comprendere meglio alcuni degli enigmi di fondo della vita umana.

Invito a leggere, senza fretta, questi testi e a verificare di persona la loro qualità scientifica. I loro autori stanno tutti lavorando a progetti di ricerca di grande rilievo, dei quali i saggi qui segnalati sono tappe e insieme sintesi. I miei allievi stanno diventando più bravi di me. Uno degli obiettivi del mio insegnamento comincia a essere conseguito.

Università per censo

Il sintetico documento che segnalo, autorizzato dall’autrice, spiega più di molte e lunghe analisi che cosa sia diventata l’Università italiana. Si tratta di una lettera dolorosa, intrisa di lucida dignità, di capacità di pensare e di capire. Capire che cosa? Alcune caratteristiche di fondo della società italiana contemporanea, così riassumibili.

-Il tramonto dell’Università come ascensore sociale. Il ‘110 e lode’ regalato anche ai tanti che non lo meritano e, in generale, i certificati di laurea diventati la conseguenza del semplice iscriversi a un corso universitario hanno, come è ovvio, tolto valore sostanziale al titolo di studio.
-La tagliola  che immediatamente dopo il regalo avvelenato della laurea scatta e impedisce alla più parte dei laureati di proseguire il loro percorso formativo e/o professionale. Per chi è interessato all’insegnamento, il labirinto normativo ostacola in modo spesso insormontabile la realizzazione delle proprie aspirazioni.
-La tipologia di bando della quale parla questa lettera mostra con evidenza che in Italia è stato reintrodotto il criterio del censo, l’ottocentesco criterio censitario, per il quale soltanto i rampolli delle famiglie agiate possono aspirare a realizzare le proprie passioni e talenti, gli altri devono accontentarsi. La reintroduzione del criterio censitario è voluta e favorita dal decisore politico (di ogni area partitica e ideologica), dai pedagogisti e didatticisti, dalla onnipotente burocrazia ministeriale. Rettori e direttori generali applicano tali norme con più o meno zelo ai loro Atenei; in ogni caso la cifra minima da richiedere è per legge di 1500 € e il numero dei posti messi a bando da ogni Università è irrisorio rispetto a quello dei laureati.
-Il cospicuo denaro che viene chiesto ai giovani cittadini italiani e alle loro famiglie non dà alcuna garanzia sul loro futuro ma serve semplicemente ad accedere ai concorsi per l’insegnamento. Che per accedere a tali concorsi si debbano aggiungere alle competenze acquisite durante gli anni universitari sui contenuti delle proprie discipline ore e ore di indottrinamento sulle tecnologie didattiche – presentate immancabilmente come ‘nuove’ ma in realtà assai vecchie, obsolete e definite con l’asettica formula «60 CFU, Crediti Formativi Universitari» (si noti il linguaggio bancario) – è il risultato più catastrofico dell’occupazione dei ministeri della scuola e dell’università da parte della corporazione dei didatticisti, vale a dire di coloro che per lo più non sanno insegnare ma pretendono di dire agli altri come si fa (ne conosco personalmente numerosi).
-La necessità di aggiungere alle spese per l’abilitazione quelle per l’ottenimento di certificazioni linguistiche di fatto ormai obbligatorie se si vuole racimolare qualche punto in più nelle graduatorie. Il costo medio di tali certificazioni è 500 €, che possono diventare 800/1000 se si accoglie la proposta di alcuni enti certificatori di ‘certificare’ anche senza svolgere le prove previste (pratica ovviamente illegale ma diffusa).
-Il patetico nascondimento di questa sostanziale discriminazione socio-economica mediante una ultrasensibilità linguistica, che nella premessa fa dire: «Laddove in questo documento, unicamente a scopo di semplificazione, è utilizzato il genere grammaticale maschile, la forma è da intendersi riferita in maniera inclusiva a tutte le persone interessate dalla procedura di ammissione». Tipico caso, normale caso, nel quale il politicamente corretto contribuisce a giustificare l’iniquità, ne è complice attivo.

La lettera è stata spedita il 27 maggio 2024 al rettore e al Direttore generale pro tempore dell’Università di Catania. Il suo oggetto ha come titolo Percorso abilitante su posto comune, tra amarezza e rabbia.
Allego il pdf del bando oggetto della lettera.

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Gentile Professore Priolo,
sono una studentessa dell’Università di Catania che ha conseguito la laurea magistrale. Sono stata una studentessa, dovrei più correttamente dire. Le scrivo però da studente per esprimerle la mia amarezza e, se mi consente un sentimento un poco troppo umano, la mia rabbia. Stamattina ho letto il bando relativo ai Percorsi di formazione e abilitazione docenti su posto comune a.a. 2023/2024 (D.R. 2179 24/05/2024). Provo amarezza e rabbia nel leggere procedure che anziché aiutare e sostenere la formazione dei vostri studenti non fanno altro che ostacolarli, affossarli, scoraggiarli.
Vede Professore, a me che il personale di Unict ponga come premessa che il maschile utilizzato nel bando sia neutro ma che la forma è inclusiva non desta alcun sentimento di rammarico, ma che l’università di Catania – la mia casa – chieda a degli studenti il pagamento di costi così esosi a fronte di un numero di posti praticamente simbolico, ridicolo mi lasci dire, questo sì che mi suscita rammarico.
Procedure e requisiti di ammissione sono in contraddizione con il fine per cui il percorso nasce. Se lo scopo è abilitare dei giovani studenti e/o neo-laureati alla attività didattica, vale a dire a un inserimento rigoroso, serio e maturo nel mondo della scuola e dunque del lavoro, non crede che sia un ossimoro chiedere loro una somma così onerosa in partenza? Non crede che uno studente debba essere messo nelle condizioni di diventare un bravo docente e non debba invece essergli chiesto ciò che, si spera, avrà modo di guadagnare con il frutto del suo lavoro? Le graduatorie non saranno stilate sul punteggio – torno dopo sulla questione – raggiunto, mi lasci dire che la lista avverrà sulla base dei conti correnti disponibili a sostenere simili cifre, e quelli che invece dovranno rinunciarvi. E così l’università, che un tempo poteva essere per molti uno strumento di crescita sociale, diventa un luogo adatto, disponibile e ospitale solo per chi ai piani alti già ci abita.
Tralasciando la tassazione prevista e volendo sottopormi all’ennesima lista di raccolta punti da supermercato, si presenta davanti a me una situazione altrettanto sconfortante. E non soltanto per il numero di posti ma perché il punteggio viene calcolato su una conta numerica che praticamente esclude me e molti dei miei colleghi in partenza. Se, poi, posso contare sulle competenze linguistiche, anche quelle partono da un livello elevato ed escludono quindi le certificazioni ‘inferiori’. E così mi ritroverò forse, e quasi certamente, scavalcata da studenti alcuni dei quali avranno acquistato il loro C1 di inglese, e invece l’impegno e lo studio serio, nient’affatto facile, ma sempre svolto con rigore e passione rimarrà segregato nel mio cassetto o tra i miei libri. Potrebbe a questo punto venirmi in aiuto il voto di laurea ma il 110 e lode è diventato un premio donato in beneficio per il solo fatto di essersi iscritti all’università, ciò significa che avere tutti 110 e lode equivale a non possederlo, nessuno.
Questo è il modo in cui l’Università di Catania sta trattando i suoi studenti. Questa è la voce amareggiata e arrabbiata di una studentessa che si trova a non potere nemmeno pensare di presentare domanda per un percorso che dovrebbe aprire le porte del mio futuro e invece me le sbarra in partenza. Non spero di cambiare le cose, non credo che la mia voce sia sufficiente a cambiare le cose. Ma almeno saprò di non essere rimasta in silenzio e a guardare.

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Questo articolo è stato pubblicato anche su girodivite.it il 3 giugno 2024.

Sergej su Ždanov

Benvenuti nel lato oscuro dell’Impero
Recensione di Sergej a:
Ždanov. Sul politicamente corretto
in Girodivite.it
23 maggio 2024

«L’agile libro di Alberto G. Biuso affronta in alcuni densi brevi capitoli alcune delle caratteristiche più inquietanti di questo nostro tempo. Già il titolo è una sfida al conformismo: “Zdanov”, richiamo al funzionario sovietico del XX secolo. Ma, dice l’autore nella nota di premessa: “Naturalmente, il libro avrebbe potuto intitolarsi anche Goebbels. Sul politicamente corretto“. Il saggio parla delle culture devastanti di questi anni: il “politicamente corretto”, appunto; il “woke”, il “gender”. Si parla della scuola e del degrado dell’Università. Biuso interviene nella carne viva di questo nostro tempo distopico – usa un linguaggio forte, sferzante».

Ždanov

Ždanov
Sul politicamente corretto
Algra Editore, 2024
«Contemporanea, 9»
Pagine 160
€ 14,00

In una libera Repubblica è lecito a chiunque di pensare quello che vuole
e di dire quello che pensa.
(Spinoza, Tratctatus Theologico-Politicus, titolo del cap. XX)

 

 

Questa la quarta di copertina, firmata da Davide Miccione, Direttore della collana nella quale il libro esce:
«Il politicamente corretto, l’oblio del corpo e della biologia, il crollo di ogni tentativo di trasmettere un’attitudine alla comprensione del reale, l’odio per la propria storia culturale e le sue feconde contraddizioni, il tentativo di operare ortopedicamente sul linguaggio. Questi sono alcuni degli argomenti di Ždanov. Evocando sin nel titolo i guardiani delle più ottuse ortodossie novecentesche Biuso compie una difesa solenne e dolente e a volte dura e beffarda della necessità di serbare il pensiero, la libertà e la nostra natura cercante di fronte a chi ha deciso di maneggiare la bontà e i valori come fossero un randello o un sudario» .

E questa è la pagina introduttiva:
«Andrej Aleksandrovič Ždanov (1896-1948) fu, tra l’altro, capo del Dipartimento per l’agitazione e la propaganda dello Stato Sovietico. In questa veste elaborò una Dottrina per la quale ciò che viene chiamato scienza, cultura e conoscenza deve essere sempre subordinato agli scopi supremi della pubblica autorità, a ciò che tale autorità ritiene essere un Valore, costituire il Bene. Questo libro intende mostrare che lo spirito di Ždanov, lo ždanovismo, pervade di sé molti fenomeni collettivi e molta elaborazione culturale del XXI secolo e soprattutto intrama la tendenza omologatrice, uniformante e politicamente corretta dei media, della rete Internet, delle università e dei governi. In questo senso, Ždanov non è un testo dedicato soltanto al politicamente corretto ma costituisce un tentativo di ragionare sulla difficoltà o persino sulla impossibilità di buona parte della cultura dominante di pensare il mondo. Di questo inciampo il politicamente corretto è spesso l’aspetto più grottesco e in ogni caso emblematico e assai grave.
Naturalmente, il libro avrebbe potuto intitolarsi anche Goebbels. Sul politicamente corretto» (p. 9)

Il libro si compone di una premessa, sei capitoli e l’indice dei nomi:

Un titolo
1. Un sintomo
2. Umanitarismo
3. Contro l’etica
4. La dissoluzione della scuola e delle università
5. Femmine e maschi
6. In difesa delle libertà
Indice dei nomi

Il volume è disponibile in varie librerie e sul sito dell’editore, che ringrazio ancora una volta per l’apertura e il coraggio che mostra nel pubblicare libri così critici nei confronti delle idee dominanti.

 

Recensioni

Stefano Isola su ACrO-Pólis, 25 agosto 2024

Marta Mancini su Aldous, 3 luglio 2024

Enrico Palma su Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee, 11 giugno 2024

Sergej su girodivite.it, 23 maggio 2024

Sarah Dierna su Discipline Filosofiche, 29 aprile 2024

 

Goldbach

Le Théorème de Marguerite
di Anna Novion
Francia – Svizzera, 2023
Con: Ella Rumpf (Marguerite Hoffmann), Julien Frison (Lucas Savelli), Jean-Pierre Darroussin (Laurent Werner), Sonia Bonny Eboumbou (Noa)
Trailer del film

Nel 1742 il matematico Christian Goldbach formulò una congettura riguardante i numeri primi,  ipotizzando che «ogni numero intero maggiore di 5 può essere scritto come somma di tre numeri primi». Discutendo con Eulero, i due arrivarono alla formulazione per la quale «ogni numero pari maggiore di 2 può essere scritto come somma di due numeri primi». Questa versione è chiamata ‘congettura forte di Goldbach’.
Si tratta di uno dei problemi della teoria dei numeri che resiste a una dimostrazione completa. Quelle sinora presentate riguardano infatti numeri molto grandi. Di questo e di altri problemi analoghi si parla anche in un libro di Ian Stewart – Domare l’infinito. Storia della matematica dagli inizi alla teoria del caos (Bollati Boringhieri, 2011) – che ho recensito alcuni anni fa sulla RIFP: Matematiche.
Il film narra di Marguerite Hoffman, una dottoranda della École normale supérieure di Parigi che da anni si dedica alla ricerca di una soluzione/dimostrazione della congettura di Goldbach. Sembra essere arrivata alla meta quando un nuovo dottorando le mostra, pubblicamente, che nella dimostrazione c’è un vuoto che invalida l’intero impianto. Per Marguerite è una catastrofe. Il relatore della sua tesi, il Prof. Werner, le propone di occuparsi di un altro tema con un diverso relatore. La ragazza si sente abbandonata e decide di dimettersi dall’ENS, lasciare la residenza, cominciare un’altra vita, del tutto ignota nei suoi sviluppi. Trova lavoro come commessa e va a vivere con una ballerina assai vivace, che le mostra altri aspetti della vita umana, diversi e lontani rispetto alle matematiche. Il talento di Marguerite è però talmente grande che impara a giocare a Mahjong e a sbancare i tavoli dei giochi clandestini assai diffusi nel quartiere cinese di Parigi. Il gioco è infatti letto da Marguerite in termini (giustamente) matematici, di ricorrenze e probabilità, e in esso la ragazza non ha rivali. Ma è proprio da questo gioco che torna a Goldbach – la sua ossessione – sino a proporre al collega che aveva colto l’errore della precedente dimostrazione di lavorare con lei. Le pareti della sua casa si trasformano in una enorme lavagna nella quale Marguerite e Lucas vergano giorno e notte i simboli che conducono alla dimostrazione. Ma qualcosa ancora non funziona. La dimostrazione sembra davvero impossibile se deve valere per tutti i numeri. La ragazza sembra rinunciare, tanto da tornare alla sua casa in provincia, dove trova su una parete un vecchio disegno della piramide di Goldbach. Osservandolo ne trae delle conclusioni nuove, dalle quali scaturiscono nuovi eventi.
È un film coraggioso e coinvolgente. Coraggioso nel porre al centro della vicenda una questione matematica astratta e complessa, anche se poi naturalmente tutto si incentra sul carattere introverso, ingenuo, suscettibile, difficile e un poco autistico della protagonista. Coinvolgente nel descrivere con plausibilità ogni passaggio sia numerico sia esistenziale e nel narrare con misura i sentimenti che si intrecciano, profondamente si intrecciano, alla teoresi matematica.
Che cosa sono i numeri? Questa è una domanda molto più complessa di quanto appaia e non è casuale che una definizione sia mancata per secoli, preferendo la scoperta e l’utilizzo delle proprietà dei numeri. I numeri servono a contare degli oggetti ma essi non sono oggetti. I numeri sono entità astratte ma le loro applicazioni intessono la nostra vita quotidiana e la determinano. I numeri sono costruzioni mentali che hanno però tutta l’aria di poter continuare ad aver senso anche se non ci fossero più da nessuna parte delle menti in grado di pensarli. I numeri non sono empirici, non hanno volume, spessore, percepibilità. Eppure ci sono. I numeri sono l’esempio forse più chiaro di enti che consistono (bestehen) senza esistere (existieren), per dirla con Alexius Meinong. L’elemento forse più inquietante e insieme più potente delle matematiche è che in esse non esistono verità che si riferiscano al mondo reale ma dimostrazioni che si riferiscono al mondo logico.
Il film cerca di mostrare (ogni dimostrazione in questo ambito è impossibile) che l’esistenza umana è fatta di precisione tanto quanto di incertezza, di nettezze intrecciate alle sfumature, di rigore razionale e insieme di radicale follia. Nel film gli ultimi due elementi, rigore e follia, risultano in modo del tutto naturale inseparabili. E anche questo rende Le Théorème de Marguerite uno dei film migliori che abbia visto di recente, un’opera davvero assai bella e che fa pensare. 

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