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Il corpo, la guerra

Mito e guerra in James Hillman
in Dialoghi Mediterranei
n. 59, gennaio-febbraio 2023
pagine 46-52

Indice
-Il mito
-La salute
-L’angoscia
-La guerra
-Pan

Il significato, la funzione, le strutture del mito affondano nella vita quotidiana degli umani, nelle loro speranze più intime, nelle angosce più fonde, nei pensieri del corpo. E dato che il corpo esiste sino a che siamo vivi, il mito è consustanziale all’esserci, diventa un archetipo la cui fecondità è perenne. Il mito greco è il luogo in cui l’immaginale costruisce la propria tela di significati, dove la caverna è sempre aperta, dove dell’orrore si dà conto.
Opposta alla salute ma sua costante compagna è l’angoscia, la quale non costituisce una semplice tonalità emotiva o uno stato temporaneo di alterazione. L’angoscia è ciò che intesse la vita degli umani poiché essa è l’espressione psicologica della Necessità e del Tempo. Mito, angoscia, salute si coniugano in due figure ambivalenti e ambigue, opposte ma penetranti l’una nell’altra: il Senex e il Puer.
Queste dinamiche contribuiscono a meglio comprendere e a spiegare un fatto, una catastrofe, una potenza antica dentro la quale l’umano abita e si perde: la guerra. Il tentativo di Hillman è consistito anche nel coniugare guerra, mito e psiche; di penetrare dentro la guerra, la sua disumanità così umana, il suo fascino costante e sinistro, il suo dominio nella storia. Pensare la guerra per capirla e quindi in qualche modo fronteggiarla. Una vera scienza della guerra non può limitarsi alla storia, alla sociologia, alla psicologia, alla tattica e alla strategia, non può limitarsi all’apparente razionalità delle sue cause, delle forme e degli scopi ma deve cogliere la natura inumana del massacro, le forze profonde che spingono l’essere vivente e razionale a intraprendere la distruzione di ogni cosa e di se stesso.
Una via d’uscita dalla catastrofe è per Hillman il mito politeistico, con le sue figure. In particolare Pan, il quale tiene ancora unita l’identità molteplice del politeismo mentre l’imporsi dei tre grandi monoteismi ha impoverito il mondo della sua strepitosa e costitutiva varietà, ha fatto vincere la coscienza egoica di un soggetto monocorde e senza (apparenti) contraddizioni. Ma il riemergere inevitabile della differenza produce schizofrenie, isterismi, paranoie ben più gravi di quelle che pure il corpo panico di per sé possiede, delle quali è fatto.
La natura più fonda di Pan è costituita dall’al di là dell’Eros, poiché il panico – il terrore della fuga e del polemos – precede l’Eros in ogni sua forma: greca, cristiana, romantica. Con estrema chiarezza, Hillman mormora che «la lotta tra Eros e Pan, e la vittoria di Eros, continuano ad umiliare Pan ogni volta che diciamo che lo stupro è inferiore al rapporto, la masturbazione inferiore alla copula, l’amore migliore della paura, il capro più brutto della lepre» (Saggio su Pan).
E poiché il corpo è l’intrascendibile – nonostante ogni sforzo di negazione attuato dalle religioni ascetiche e dai progetti di un’Intelligenza Artificiale disincarnata –, alla fine esso vince. Sempre.

Marcosebastiano Patanè su Disvelamento

Marcosebastiano Patanè

Dissipatio e resistenza. Nella luce di un virus
L’articolo presenta e analizza Disvelamento. Nella luce di un virus
in il Pequod, anno 3, numero 6, dicembre 2022
pagine 12-21

«Disvelamento. Nella luce di un virus è un esempio di teoresi filosofica orientata alla resistenza, resistenza al terrore/potere che ormai governa solo in virtù di un’emergenza dalle mille forme, economica, sanitaria, umanitaria, politica, climatica, e che così facendo non manca di ricordare ogni giorno attraverso i suoi organi di comunicazione, il più potente dei quali rimane la televisione, chi è il vero padrone, a chi è necessario che si sacrifichi ogni cosa.
[…]
La filosofia conosce benissimo la continuità tra la Vita e la Morte e sa altrettanto bene che la volontà di cancellare la Morte dal continuum diveniente dell’Intero materico costituisce un atto di ϋβρις imperdonabile, il desiderio degli umani di annullare la differenza e installarsi nell’eternità dell’identico».

Un elegante morire

Living
di Oliver Hermanus
Gran Bretagna, 2022
Con: Bill Nighy (Williams), Aimee Lou Wood (Margaret Harrisen), Tom Burke (Sutherland)
Trailer del film

Tratto dall’omonimo film di Akira Kurosawa (1952), scritto da Kazuo Ishiguro, interpretato da attori veramente british, primo dei quali il protagonista Bill Nighy, Living riesce a trasmettere il pulsare della vita in due strutture che sembrano negarla.
La prima è una burocrazia che gira a vuoto negli uffici del Comune di Londra formalmente inappuntabili ma di fatto pigri, incapaci, incompetenti, i quali respingerebbero all’infinito la semplice richiesta di alcune madri di trasformare un fatiscente cortile in un piccolo parco giochi per bambini. Parco che viene realizzato solo quando il responsabile dell’ufficio dei lavori pubblici, Mr. Williams, prende nelle mani e nel cuore la pratica e testardamente agisce, implora, ordina che il parco venga realizzato. La cosa appare ancor più stravagante in quanto Mr. Williams è una persona gelida, solitaria, riservata e priva di emozioni. Tanto che una giovane impiegata lo ha definito Mr. Zombi.
Il carattere di questo signore è il secondo elemento che sembra appunto negare ogni vita. Ma tutto muta quando Mr. Williams riceve una diagnosi infausta. È a quel punto, un punto temporale, che il bisogno animale di vita riemerge ed esplode – per quanto possa farlo nella Londra perbenista degli anni Cinquanta – attraverso decisioni, pratiche, relazioni, sorrisi, lacrime. La giovane collega precaria che lo ha definito zombi diventa la sua amica, confidente, complice.
Chi sta intorno a Mr. Williams, che a nessun altro confida il proprio male, non capisce che cosa stia accadendo. Ma è bastata la tenacia che conduce alla realizzazione del parco giochi per fare di quest’uomo e della sua memoria un movimento ancora vivo nell’altalena che oscilla sotto la neve e sulla quale il film si chiude.
Un racconto esistenziale narrato al modo dei vecchi film: raffinato, cromaticamente irrealistico, capace di andare senza pregiudizi e senza mode (uno dei rari film contemporanei in cui non appaiono neri, militanti gender e omosessuali) al cuore della vita, della sua precarietà assoluta, del suo esserci come attesa e come memoria, come futuro che nel presente si fa passato.

Dentro l’acqua

Piccolo Teatro Grassi – Milano
Overload
di Daniele Villa
in scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri, Lorenza Guerrini, Daniele Pennati, Giulio Santolini
produzione e regia Sotterraneo

È difficile rinnovare il teatro ed è anche facile. Il teatro è infatti cosa viva, è una sonda sensibilissima del tempo in cui accade, è molteplicità di umani che recitano, di testi già scritti, di tecnologie sempre nuove, di cangianti modalità di fruizione. Ed è difficile perché si tratta sempre della messa in scena del mondo, di un esplicito artificio che pretende però di essere verosimile, di essere creduto.
Sotterraneo riesce nell’impresa mettendo in scena l’acqua. Sì, l’acqua della quale parla una celebre storiella di David Foster Wallace (1962-2008) su un pesce anziano che incontra due pesci giovani e li saluta chiedendo loro: «Ciao ragazzi, com’è oggi l’acqua?». I due pesci proseguono il loro cammino e dopo un po’ uno dei due chiede all’altro «Ma che diavolo è l’acqua?». Parabola dal chiaro significato ontologico, che aiuta a comprendere la difficoltà che in filosofia sempre si incontra nel parlare e nel capire l’essere, che è appunto come l’acqua per i pesci. Ci stiamo dentro senza sapere che è l’essere.
La mente di Wallace, esperto di matematica, filosofia e droghe, dovette essere un caleidoscopio di concetti, storie, ipotesi, angosce, slanci, timori, ironia, fobie, un overload, un sovraccarico che lo spettacolo riesce a comunicare attraverso un insieme di trovate con le quali sembra che il pubblico stesso stabilisca che direzione dare alle scene, quando ascoltare e quando silenziare Wallace, il cui discorso si dipana nel racconto di una giornata di settembre, la giornata che lo porterà al suicidio.
Mentre lo scrittore racconta si aprono squarci nei quali appaiono tennisti, antichi guerrieri, persone che lanciano molotov e Banksy che getta mazzi di fiori, attori che nuotano in mezzo al pubblico, giocatori di football americano, ibridi uomo-pesce e altro ancora.
Un’operazione che funziona perché gli attori sono molto bravi a sincronizzare al secondo i loro movimenti, i silenzi, l’apparire, l’urlare. L’ultima scena racconta il viaggio notturno in automobile dei cinque interpreti alla fine dello spettacolo, i loro pensieri non detti, i pensieri invece espressi, i gesti, gli insulti, l’affetto, i corpi nell’abitacolo. Sino all’incidente finale che li fa precipitare dentro l’acqua, dove muoiono.

«L’evidenza del suo nulla»

Recensione a:
Emil M. Cioran
Finestra sul nulla
(Fereastrā spre nimic, Gallimard 2019)
A cura di Nicolas Cavaillès
Trad. di Cristina Fantechi
Adelphi, 2022
Pagine 227
in Discipline Filosofiche, 7 novembre 2022

Frammenti sparsi vergati tra il 1943 e il 1945 e poi giustamente abbandonati da Cioran. Il quale però essendo diventato un classico ha il consueto destino di vedere pubblicato tutto ciò che ha scritto. Insieme a delle pagine spesso piangenti, superficiali, teatrali, inevitabilmente moderne, si trovano anche qui delle riflessioni che intrameranno poi le opere maggiori di Cioran.
Una sensata dimensione cosmologica gli fa ad esempio dire che il patetico orgoglio umano si fonda sull’ignorare la misura dello spazio, sul disprezzare gli astri. Ma lo spazio e gli astri hanno il proprio fondamento nell’infinità del tempo, il quale si fa visibile in quella dimensione immensa di fronte alla quale «né la Terra né l’essere umano possono aspirare alla realtà. […] Ma quand’è che la boria della creatura ha raggiunto queste gigantesche proporzioni? L’orgoglio è la risposta dell’uomo alla propria irrealtà, e i suoi atti sono la lotta contro l’evidenza del suo nulla».
Se «la vita è il concetto meno filosofico che vi sia; è tutto ciò che possiamo immaginare di più anti-filosofico», è proprio perché la filosofia è anche vedere il mondo come si presenterebbe a uno sguardo antropodecentrico, nella prospettiva dell’intero, della quale la ζωή è invece parte insignificante.

Poker

Poker Face
di Russell Crowe
USA, 2022
Con: Russell Crowe (Jake), Steve Bastoni (Paul), Liam Hemsworth (Michael), Aden Young (Alex), Rza (Drew), Paul Tassone (Victor)
Trailer del film

Il poker è da sempre anche una metafora, come gli scacchi. Metafora delle relazioni, delle passioni, della freddezza, della finzione, dell’autocontrollo, del fatto che Πόλεμος rende alcuni servi e altri liberi, alcuni vincitori, altri vinti: «πόλεμος πάντων μὲν πατήρ ἐστι, πάντων δὲ βασιλεύς, καὶ τοὺς μὲν θεοὺς ἔδειξε τοὺς δὲ ἀνθρώπους, τοὺς μὲν δούλους ἐποίησε τοὺς δὲ ἐλευθέρους» (Eraclito, DK, 53). Ma c’è qualcosa che domina e vince su ogni altro elemento, momento, esperienza, ambizione, potenza, struttura: la morte, espressione di Ἀνάγκη. Uno sciamano al quale il ricchissimo Jake si rivolge in un momento assai delicato della sua esistenza gli conferma che «la morte è inevitabile, tutto ciò che vive muore». Una banalità, un truismo, un’evidenza che tuttavia i viventi consapevoli, e tra questi soprattutto gli umani, non sembrano accogliere serenamente e che dunque rovina loro l’esistere.
Ἀνάγκη colpisce anche Jake, regalandogli la perenne maschera di malinconia e saggezza che Russell Crowe sa incarnare lungo tutto il film. Volto che è il vero elemento unitario che attraversa Poker Face, opera che pur nel breve tempo del suo svolgersi sembra moltiplicarsi in tante direzioni: film d’architettura e paesaggistico (magnifiche le coste e i boschi australiani), meditazione filosofica, thriller nel quale si susseguono i colpi di scena, rivisitazione della memoria e dei rapporti tra cinque ragazzini diventati adulti e rimasti sempre uguali.
Un disordine narrativo che sposta di continuo l’orizzonte e l’attenzione ma che ha un altro centro ancora, oltre il volto di Jake: l’arte, i dipinti che quest’uomo colleziona, alcuni dei quali valgono cifre astronomiche; il Cézanne dei Joueurs de cartes ad esempio (acquistato di recente dalla famiglia reale del Qatar per 250 milioni di dollari). Alla fine (una fine che non è il superfluo e moralistico bilancio conclusivo, vero elemento di debolezza del film) saranno i quadri, e non le carte da gioco, al centro di una vicenda che coniuga φιλία/amicizia e μῆνις/rancore; saggezze ancestrali e avveniristiche tecnologie informatiche; veleni e antidoti. E, soprattutto come sempre, βίος e θάνατος.

Disvelamento

Disvelamento
Nella luce di un virus
Algra Editore, 2022
«Contemporanea, 6»
Pagine 148
€ 12,00

«La verità non si rivela che con le catastrofi»
Ingmar Bergman, Come in uno specchio (1961)

Alcuni mesi fa il Prof. Davide Miccione, Direttore della collana «Contemporanea» dell’Editore Algra (Viagrande-Catania), mi chiese di preparare un libro dedicato all’epidemia, alle sue radici, ai suoi effetti. Accolsi la proposta con slancio, per molte ragioni. Tra le quali il fatto che la filosofia sia, com’è noto, anche «ihre Zeit in Gedanken erfaßt, il proprio tempo appreso e colto nel pensiero» (Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, Vorrede, p. 25). Questi mesi di riflessione, di lavoro, di scrittura mi hanno aiutato a comprendere il significato della frase di Bergman in epigrafe. Il risultato è un libro che tra quelli sinora da me pubblicati è ai miei occhi il più urgente. Un libro nel quale e con il quale ho cercato di difendere le libertà, la razionalità e la scienza. E di mostrare che cosa può accadere quando libertà, scienza e razionalità vengono calpestate dal potere politico-mediatico.

Il testo si compone di 18 capitoli, così intitolati:
1 Don Abbondio
2 Un virus politico-visionario
3 La vita
4 Infodemia
5 Il piano inclinato
6 Numeri
7 Superstizione
8 Poteri
9 Cancellare le scuole, cancellare i luoghi, cancellare i corpi
10 Medicina e politica
11 Comunicazione e silenzio
12 La festa paternalistica
13 La solitudine del morente
14 Violenza e morale
15 Nietzsche
16 Una ferita
17 Gnosi
18 L’Intero, la Φύσις
Indice dei nomi

Questa la quarta di copertina, firmata dal Direttore della collana:
«La débâcle di questi due anni riguarda tutti: i media, la politica, il corpo sociale nel suo complesso. L’epidemia e il suo uso politico hanno messo in luce le viltà e le debolezze di interi settori, le fragilità di quella democrazia che diamo per acquisita e soprattutto la miseria teoretica e morale di coloro che dovrebbero analizzare e spiegare il mondo. Gli intellettuali, stricto o lato che sia il senso che diamo a questa parola, hanno mostrato con la loro ignavia le crepe che si sono aperte nel nostro stare consapevolmente al mondo. Biuso ci mostra come si possa leggere con parresia e compassione, con sapienza filosofica, letteraria e antropologica, questo nostro difficile passaggio storico e che cosa tutti potremmo imparare da esso».

Il volume è disponibile in varie librerie, su tutte le piattaforme e sul sito dell’editore, che ringrazio per il coraggio che ha mostrato nel pubblicare un libro lontano dalle opinioni dominanti.



 

Recensioni e articoli

-Marcosebastiano Patanè, il Pequod, anno 3, numero 6, dicembre 2022, pagine 12-21
-Sarah Dierna, Dialoghi Mediterranei, n. 57, settembre -ottobre 2022, pagine 205-209
-Lucrezia Fava, Vita pensata, numero 27, settembre 2022, pagine 76-80
-Stefano Piazzese, Discipline Filosofiche, 4 luglio 2022
-Enrico Palma, il Pequod, anno 3, numero 5, giugno 2022, pagine 157-162
-Chiara Zanella, Di cosa parliamo quando parliamo di virus, Aldous, 7 maggio 2022
-Intervista rilasciata a RevolutionChannel, 14 giugno 2022

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