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Tucidide

[Data l’ampiezza un poco inusuale del testo, e per una lettura più comoda, ne ho preparato anche una versione in pdf]

Le ragioni per le quali l’opera di Tucidide ateniese «è un possesso che vale per l’eternità»1 sono numerose e assai chiare allo stesso Tucidide. Motivi che si riassumono nella conoscenza dell’umanità, in una antropologia lucida, disincantata, amara. Lo scrittore sa che gli eventi futuri somiglieranno a quelli passati, saranno simili agli eventi che lui stesso ha visto e che appunto intende narrare. E lo saranno perché tutti gli umani, sia nella vita pubblica sia nelle esistenze private, «son portati a far male» (III, 45; p. 1112); perché «in genere l’uomo è portato dalla sua natura a disprezzare chi lo rispetta e ad aver timore di chi non cede» (III, 39; p. 1108); perché le sciagure avvengono «e sempre avverranno finché la natura umana sarà sempre la stessa, ma più gravi o più miti e differenti nell’aspetto a seconda del mutare delle circostanze» (III, 82; p. 1137). Sciagure che si moltiplicano in qualità e quantità poiché «giudicando più secondo i loro incerti desideri che secondo una sicura preveggenza […] gli uomini sono soliti affidare a una speranza sconsiderata ciò che desiderano e a respingere con incontrastabili ragioni ciò che aborrono» (IV, 108; p. 1238).

Fu anche questo diffuso wishful thinking a far transitare i Greci dal comune trionfo ‘contro il Medo’, contro i Persiani invasori, all’autodistruzione in una guerra interna, una guerra civile di Greci contro altri Greci le cui ragioni erano già implicite nella vittoria sui Persiani e che crebbero a poco a poco quando la potenza di Atene non seppe più frenare e fermare le sue sempre più evidenti tendenze imperiali. Iniziò allora un conflitto esteso di isola in isola, di terra in terra, di città in città. Conflitto nel quale le ragioni  di dissidio interne a ogni πόλις si univano al timore di essere resi schiavi da altre città o alla speranza di rendere altre città sottomesse. Uno stato di guerra feroce come sono tutte le guerre civili; scontri che «devastarono la terra» (III, 79; p. 1135) e che condussero a «ogni forma di strage; piombati su una scuola di fanciulli, la più grande del luogo, in cui i fanciulli erano entrati da poco, li fecero a pezzi tutti quanti» (VII, 29; p. 1427). Chi siano gli autori di questa specifica strage, in questo caso i Traci alleati degli Ateniesi, e chi siano le vittime, in questo caso gli abitanti di Micaleso in Beozia, ora – nel XXI secolo – non ha molta importanza. Ma cambiando i nomi e i luoghi dei massacratori e dei massacrati emerge con evidenza la costanza nel tempo del male umano.

La guerra infatti, ogni guerra, «non procede affatto secondo norme stabilite, ma da sé escogita per lo più i mezzi adatti all’occasione» (I, 122; p. 978). Guerre scatenate per conquistare città e denaro e dunque non adducendo giusti motivi dei quali non c’è bisogno ma prevedendo sicure utilità; guerre dichiarate per antichi torti subiti e vendette da ottenere; guerre spesso iniziate per impedire attacchi ritenuti sicuri, guerre dunque ‘preventive’, e guerre decise perché semplicemente ed esplicitamente si sa di essere più forti degli avversari.
Questo è il significato del celebre colloquio intercorso tra gli Ateniesi e i Meli, durante il quale i primi dichiarano con una sincerità che le potenze contemporanee non hanno (e anche questo le rende peggiori), «chi è più forte fa quello che può e chi è più debole cede» (V, 89; p. 1321). «Noi crediamo infatti che per legge di natura chi è più forte comandi: che questo lo faccia la divinità lo crediamo per convinzione, che lo facciano gli uomini, lo crediamo perché è evidente. E ci serviamo di questa legge senza averla istituita noi per primi, ma perché l’abbiamo ricevuta già esistente e la lasceremo valida per tutta l’eternità, certi che voi e altri vi sareste comportati nello stesso modo se vi foste trovati padroni della nostra stessa potenza» (V, 105; p. 1325).

I frutti di questa convinzione imperialista non tarderanno ad arrivare e saranno la rovina di Atene. I pericoli di ogni atteggiamento e pratica imperialisti sono infatti piuttosto evidenti. Atene si rese sempre più nemica dei Lacedemoni/Spartani, e di altri meno attrezzati avversari, già con il suo stesso diventare una potenza politica, strategica, militare, economica. Tale crescita mise infatti sull’avviso tutti coloro che non intendevano sottomettersi senza resistere a una potenza egemone. Si aggiungeva un disprezzo verso i non ateniesi che diventava sempre più palese e soprattutto di una ὕβρις, una tracotanza per la quale «gli Ateniesi pensavano che niente avrebbe dovuto opporsi ai loro piani, ma che avrebbero dovuto compiere le imprese possibili come quelle difficili, con preparativi sia grandi che insufficienti» (IV, 65; p. 1207). Neppure la peste ferma Atene. Una peste terribile, descritta da Tucidide con un’efficacia che fa da modello alle pagine di Lucrezio, di Boccaccio, di Manzoni: «L’aspetto della pestilenza era al di là di ogni descrizione: in tutti i casi il morbo colpiva con una violenza maggiore di quanto potesse sopportare la natura umana» (II, 50; p. 1038), tanto che «piombati in una tale sciagura, gli Ateniesi ne erano schiacciati, mentre gli uomini morivano dentro la città e fuori di essa la terra veniva devastata» (II, 54; p. 1041).

Ma neppure da tale sciagura gli Ateniesi vennero dissuasi ad aprire un nuovo fronte, che risulterà per loro fatale. Al conflitto continentale contro Sparta aggiunsero infatti una spedizione contro Siracusa e contro la Sicilia , impresa che sarà rovinosa. Nel racconto della guerra nell’Isola credo che Tucidide abbia toccato il culmine della propria sapienza antropologico-politica e dell’arte di scrittore.
«Questo esercito fu celebre non meno per lo stupore che suscitava la sua audacia e per lo splendore che suscitava alla vista, che per la superiorità delle sue forze rispetto a quelle del nemico che andava ad attaccare, e per il fatto che intraprendeva una traversata a grandissima distanza dalla patria, con la speranza di un potentissimo futuro rispetto alla condizione presente» (VI, 31; p. 1355). E però il risultato di tanta potenza, di un simile splendore politico e militare fu una serie di disastrose sconfitte, di «gemiti e grida»  mentre i soldati «ormai badavano a se stessi e a come salvarsi» (VII, 371; p. 1459), ben lontani dagli auguri e dai peana con i quali erano partiti e invece «vinti completamente in tutto, senza subire nessuna sventura di scarso rilievo in nessun campo, in una distruzione completa» (VII, 87; p. 1472).

A spingere i cittadini di Atene a tale catastrofe fu anche e specialmente il giovane Alcibiade, assai ricco e ambizioso. Venne sconfitta la saggia prudenza di Nicia che si era invece pronunciato contro l’estensione della guerra in Sicilia. Essendo stratego, Nicia partì comunque per la Sicilia, dove trovò la morte, mentre Alcibiade, partito anche lui, venne richiamato in patria con gravi accuse che non avevano a che fare con la guerra. Alcibiade passò dalla parte degli Spartani per poi tentare di rientrare incolume ad Atene. Invece di riconoscere che erano stati loro a prestar fede a un ricco e nobile avventuriero, i cittadini di Atene «si adirarono con quegli oratori che avevano consigliato di fare la spedizione, come se non l’avessero decisa loro stessi» (VIII, 1; p. 1473).

Alcibiade aveva di fatto sostituito Pericle, morto durante la peste e la cui assenza fu tra le cause del tramonto politico della città. Pericle del quale Tucidide riporta il discorso che di Atene è la descrizione più luminosa (libro II, §§ 35-46). Nel commemorare i soldati morti per la città, Pericle afferma che Atene è il luogo nel quale ciascuno emerge «non per la provenienza da una classe sociale ma più per quello che vale» (II, 37; p. 1029), un luogo nel quale la bellezza è un’esperienza quotidiana e diffusa, dove la parola e la discussione sono sempre benvenute «senza pensare che il discutere sia un danno per l’agire» (II, 40; p. 1031), dove felicità, libertà e coraggio sono i punti di riferimento dell’esistenza, suscitando anche per questo l’ammirazione degli «uomini di ora e dei posteri» (II, 41; p. 1032). Per queste e per altre ragioni «tutta la città è la scuola della Grecia» (ibidem).

Questo di Pericle è il più famoso dei discorsi che intramano l’opera di Tucidide, scandita appunto in discorsi riportati tra virgolette – degli strateghi, dei capi politici, degli ambasciatori delle diverse città in lotta tra loro – e scandita da descrizioni estremamente particolareggiate degli eventi bellici, degli scontri navali, delle battaglie, delle sconfitte e vittorie, delle fughe e trionfi. Descrizioni che lo storico ateniese fonda sui racconti di tanti e sulle proprie personali esperienze. Discorsi che sono costruiti in base alla verosimiglianza, vale a dire in base a ciò che si presume quel certo oratore abbia dovuto e potuto dire in quella determinata circostanza. Tucidide lo ammette con onestà e con chiarezza: «mi terrò il più possibile vicino al pensiero generale dei discorsi effettivamente pronunciati» (I, 22; p. 910).

Tutto questo, lo splendore e la sventura, venne vissuto da umani davvero simili a ciò che gli esemplari della nostra specie sono da sempre. Una specie aggressiva, astuta, capace di riflessione e tuttavia spesso vittima di passioni che distruggono gli altri e se stessi. Una natura che i luoghi, i popoli, le credenze, le civiltà cercano di educare nei modi più vari. I Greci vennero in generale educati così: «Non bisogna credere che un uomo sia molto diverso dagli altri, ma che è più forte chi è stato educato nelle più dure difficoltà» (I, 84; p. 951). Molti popoli e culture condividono nel nostro tempo tale criterio e pratica pedagogica. Più non lo fa l’Occidente dominato dal modo di vivere anglosassone, in mano a pedagogisti e a psicologi che impongono nelle scuole e nelle università i criteri compassionevoli, ‘inclusivi’ e irrealistici che plasmano giovani e adulti irresponsabili, incapaci, distrutti da ogni piccola e grande difficoltà che la vita inevitabilmente presenta. Scuole e università per handicappati.
Saremo spazzati via da civiltà e popoli ancora adulti. Meriteremo questa fine e allora forse la parola di Tucidide e degli altri Greci risuonerà come un avvertimento che non abbiamo ascoltato.

Nota
Tucidide, La guerra del Peloponneso, traduzione di Claudio Moreschini, revisione di Franco Ferrari, note di Giovanna Daverio Rocchi, saggio introduttivo di Domenico Musti. In: Erodoto, Storie – Tucidide, La guerra del Peloponneso, Rizzoli, Milano 2021, I, 22; p. 910.

Sul terrorismo sionista

Sul numero dello scorso luglio del bimestrale Dialoghi Mediterranei era uscito un mio tentativo di analisi del genocidio subito dai palestinesi.
Qualche giorno fa la rivista La Città futura ha pubblicato un editoriale di Leila Cienfuegos che conferma – a partire dagli eventi più recenti – la natura del tutto ingannevole della ‘democrazia israeliana’ e la struttura invece criminale dello Stato e del governo di Israele, i quali – sostenuti in modo incondizionato dagli Stati Uniti d’America e dalla loro industria bellica – costituiscono ormai un grave pericolo per i popoli del Vicino Oriente e non soltanto per loro.

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L’eloquenza del terrorismo sionista
A Gaza, in Libano, in Siria, ovunque Israele mostra la sua volontà di colpire in particolar modo i civili, stretti tra assedi medievali e attacchi hacker. Quando non esiste un limite allo schifo
Leila Cienfuegos, La Città Futura, 20.9.2024
Fonte: https://www.lacittafutura.it/editoriali/l’eloquenza-del-terrorismo-sionista

È probabile che il tentativo di commentare quella che tutti i media osannano come “una delle operazioni di intelligence del Mossad più riuscite della Storia” ossia l’attentato terroristico israeliano che ha ucciso e accecato un numero indecifrato di persone attraverso l’esplosione simultanea dei cercapersone e walkie talkie, sia effettivamente un tentativo vano perché l’incommentabile, per definizione, non si commenta. O meglio si potrebbe partire dal rovesciamento della narrazione: non c’è, a tutti gli effetti, nella Storia un precedente paragonabile alla tortura su ampia scala a cui la popolazione civile in Medio Oriente è sottoposta da parte dello Stato terroristico di Israele che, in attuazione di piani ampiamente dichiarati di colonialismo e di sterminio, sta attaccando la popolazione civile di quel che resta della Palestina ma anche del Libano, della Siria e di tutte le comunità non sioniste dell’area, non esclusa la popolazione israeliana contraria al massacro che si sta consumando dal 7 ottobre 2023 – rectius: da 60 anni quasi, in realtà, ma abbiamo ahimè imparato a capire sulla nostra pelle che noi sottoposti dobbiamo avere la memoria corta per campare, e così cercano di farci credere che la fase in cui viviamo non abbia nulla a che vedere con la dominazione israeliana in Palestina e la sua occupazione illegale che si consuma dalla metà del secolo scorso, allo stesso modo in cui la guerra in Ucraina l’avrebbe incominciata esclusivamente Putin nel febbraio del 2022 elidendo completamente con un colpo di spugna  le vicende occorse nel decennio antecedente, e via dicendo.

Il connubio tra, da una parte, uso criminale di intelligence e tecnologia sofisticata e, dall’altra, antichi metodi di assedio medievale e accanimento sulle persone (la privazione del cibo, dell’acqua, del sonno, della vita e della quotidianità, della terra e al momento non saprei arricchire ulteriormente un elenco tanto sadico), crea in effetti un terrificante unicum nella Storia le cui possibili sfumature e applicazioni ci vengono offerte zelantemente e giorno dopo giorno dall’“unica democrazia del medioriente”. L’unica e vera democrazia del medioriente – che sta combattendo una guerra col proprio esercito contro il perfetto nulla, dal momento in cui non si capisce quale altro esercito debba o possa efficacemente fronteggiarlo – assedia tutto il giorno e tutta la notta la popolazione civile palestinese puntandole contro le navi da guerra dal mare e, dal cielo, enormi e rumorissimi droni sospesi a mezz’aria pronti a schiantarsi al suolo contro “obiettivi sensibili”, e poi bombe, bombe, bombe; crolli, niente luce, acqua potabile né da bere né per lavarsi, come bestie costretti ad usare l’acqua di mare filtrata, niente medicine, niente riposo a causa del rumore assordante e della paura, niente lavoro, niente giochi e niente scuola, niente cibo e la morte, forse, se sopraggiunge un camion con gli aiuti umanitari, niente dignità. L’unica e vera democrazia del medioriente deporta la popolazione da un lotto all’altro in continuazione per bombardare intere aree e se qualcuno è rimasto indietro finisce comunque sotto le bombe, costringe la popolazione ad abbandonare ogni cosa e non solo la propria casa. L’unica e vera democrazia del medioriente controlla capillarmente le persone anche attraverso il telefono essendo l’IDF in grado di agganciarsi ai device presenti in una determinata cella per chiamare e minacciare i malcapitati di venire uccisi in caso si dovessero rifiutare di fare da spia per le loro, controllando la presenza di eventuali individui nascosti nelle case e nei palazzi e riferendola ai militari israeliani. L’unica e vera democrazia del medioriente è in grado di sabotare qualsiasi catena di approvvigionamento di persone o organizzazioni non gradite, e poco importa se, facendo simultaneamente brillare a sorpresa migliaia di apparecchi, ci rimette la pelle una bambina di dieci anni o altri perfetti innocenti. Ma d’altra parte, non sarebbe l’unica e vera democrazia del medioriente se non facesse saltare in aria scuole come se fossero pop corn e se non avesse ucciso, in un solo anno, oltre 16.756 bambini e feriti almeno 6.168 (L’UNICEF la definisce “una guerra contro i bambini“). 

Ebbene grazie, unica vera democrazia del medio oriente & partners occidentali conniventi e complici, per mostrarci così plasticamente cosa possa essere l’inferno e lo schifo autentico, per aiutare noi ultime ruote del carro a toccare con mano la più cieca rabbia e renderci più semplice il compito di dirigerla prima o poi contro voi responsabili del nostro massacro. In particolare in questa fase un sentito grazie a mr.Netanyahu e al suo governo di criminali per facilitarci di molto il gravoso compito di tornare ad indignarci e disgustarci, motore fondamentale di una qualsiasi rivoluzione.

[Foto di Dyaa Saleh su Unsplash]

Venuto da altri pianeti

Starman
di John Carpenter
USA, 1984
Con: Jeff Bridges (Starman), Karen Allen (Jenny Hayden), Charles Martin Smith (Mark Shermin)
Trailer del film

Ho rivisto dopo molti anni questo film che all’epoca ebbe un grande successo (tanto da generare una serie televisiva). Racconta di un alieno la cui astronave viene distrutta e che però ha la capacità di prendere la fattezze di un umano a partire da poche tracce di DNA. Assume quindi l’aspetto e il corpo di Scott, morto qualche tempo prima, e induce la sua giovane vedova ad aiutarlo a tornare dai suoi simili, che lo riporteranno sul pianeta dal quale proviene. Pianeta lasciato proprio per accogliere l’invito a visitare la Terra lanciato nel 1977 dalla sonda interstellare Voyager 2 (che viaggia ancora negli spazi immensi e vuoti del cosmo). Solo che, una volta atterrata, questa entità diventa la preda inseguita dall’esercito statunitense, allo scopo di catturarlo, ucciderlo e vedere come è fatto. La bella vedova però, dopo un iniziale momento di stupore e paura, lo aiuterà a conseguire il suo scopo.
La trama è analoga a quella di King Kong (nelle sue tante versioni) e di altri film e romanzi dai quali emerge, al di là di ogni esplicita intenzione, la cattiva coscienza degli Stati Uniti d’America, il cui mito dell’accoglienza e delle infinite possibilità è appunto una leggenda.
Gli USA sono una potenza imperiale nata dal fanatismo calvinista, dal genocidio dei Pellerossa, dal calpestare ogni principio e ogni diritto, nel passato come nel presente. Una potenza che ha nel proprio cuore nero la distruzione, come dimostra una semplice cronologia delle guerre da essa iniziate o alle quali ha partecipato, anche limitandosi al periodo 1945-2024. Le più recenti di queste guerre sono state perdute, a partire dalla clamorosa sconfitta in Vietnam (1961-1973), ma l’imperialismo acceca i suoi portatori.
Anche un film ‘fantascientifico’ come Starman esprime dunque e documenta la difficoltà e, alla fine, l’impossibilità di accogliere il diverso – o almeno di avere con lui un rapporto di curiosità e di decenza – da parte di una potenza politica e militare cresciuta a dismisura. La storia (pochi però ormai studiano e conoscono la storia) insegna che queste strutture sono destinate naturalmente a crollare (dall’Atene di Tucidide all’Unione Sovietica del XX secolo). Accadrà anche agli USA. L’auspicio è che avvenga prima che il pianeta ne sia irreparabilmente devastato. Gli umani non hanno un altro luogo dove andare, come invece accade al protagonista di Starman, venuto da altri pianeti.

[Nell’immagine Orione e la sua Nebulosa, una delle più belle costellazioni visibili dalla Terra]

Sul genocidio dei Palestinesi

Sul genocidio dei Palestinesi
in Dialoghi Mediterranei
n. 68, luglio-agosto 2024
pagine 176-186

Indice
-Premessa. Un evento coloniale
-«It is not a war, it is murder»
-Schizofrenie imperialiste 
-Alcuni appelli
-«Né Dio né l’Idf hanno pietà dei bambini»
-Anatomia di un genocidio
-Conclusione

In questo saggio ho cercato di sintetizzare nel modo più chiaro possibile quanto so e quanto ho compreso del genocidio palestinese in atto dal 1948 al presente.
Mi sono particolarmente soffermato su quattro fonti relative a ciò che sta accadendo dal 7 ottobre 2023 a oggi:
-un documento del Ministero dell’Intelligence dello Stato di Israele – Dipartimento tematico, Documento politico: opzioni per una politica riguardante la popolazione civile di Gaza;
-il rapporto ufficiale diffuso il 25 marzo 2024 dall’ONU e stilato dal «Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967», incarico attualmente ricoperto dall’italiana Francesca Albanese. Il documento ha come titolo:  A/HRC/55/73, Anatomia di un genocidio;
-i testi di alcuni appelli sottoscritti da centinaia di docenti e studiosi italiani in questi mesi;
-alcuni articoli e riflessioni del filosofo italiano Eugenio Mazzarella.
Una delle conclusioni è che le generazioni future si vergogneranno di un’epoca “democratica e progressista” che ha permesso il genocidio giustificando in tutti i modi i carnefici. Si chiederanno come sia potuto accadere. Troveranno le risposte nel fanatismo della storia; nel razzismo degli eletti da Dio; nella situazione geopolitica; negli interessi finanziari del capitalismo trionfante; nella menzogna sistematica dei media (tra i quali spicca il quotidiano italiano la Repubblica); nell’indifferenza diffusa tra le persone.

Immagini della dissoluzione

Immagini della dissoluzione
il Pequod
anno V, numero 9, giugno 2024
pagine 87-89

Di fronte all’orgia di distruzione che dappertutto causano gli Stati Uniti d’America, vedere per due ore vittima della dissoluzione la potenza che continua a infliggere ovunque morte mi ha fatto pensare: ‘Peccato che sia soltanto un film’. E questo per la semplice ragione – documentata dalla sistematica violenza che gli USA esercitano da ottanta anni sul mondo – che una prospettiva di pace ha come condizione il ridimensionamento dell’imperialismo statunitense. Data la potenza militare degli Stati Uniti, soltanto una implosione interna, una guerra civile appunto, potrà rendere realtà questo auspicio.

Volontà di potenza

Alberto Capece è un giornalista che sul sito il Semplicissimus pubblica con regolarità delle analisi sintetiche, documentate e molto chiare sulla politica internazionale e qualche volta anche sulla politica italiana. Inoltro spesso oppure segnalo tali articoli come ‘commenti’ a qualche testo del mio sito. L’articolo di Capece pubblicato lo scorso 27 marzo mi sembra particolarmente rilevante e lo riprendo qui per intero.

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I clan della massima ferocia 

Lunedì mattina [25 marzo 2024], quando le responsabilità ucraine nell’attentato al Crocus sono cominciate ad emergere con evidenza, armi ipersoniche russe hanno distrutto un quartier generale dei servizi di intelligence di Kiev e della Nato pochi secondi dopo l’attivazione dell’allarme aereo. Le difese aeree occidentali, tanto vantate, hanno completamente fallito, come del resto era accaduto in numerose occasioni anche se in questo caso la posta era più alta. Questa non è una notazione secondaria perché vuol dire che la Russia ha distrutto il mito della superiorità dell’Occidente nell’applicazione della forza. Ecco la chiave storica con cui giudicare gli eventi che stiamo vivendo prendendo le parole da un saggio di Samuel P. Huntington scritto poco meno di trent’anni fa, Lo scontro di civiltà e il rifacimento dell’ordine mondiale: «L’Occidente ha vinto il mondo non per la superiorità delle sue idee, dei suoi valori o della sua religione (a cui si convertirono pochi membri di altre civiltà), ma piuttosto per la sua superiorità nell’applicare la violenza organizzata. Gli occidentali spesso dimenticano questo fatto; i non occidentali non lo fanno mai».

Il colonialismo occidentale iniziò nel XVI secolo con la scoperta delle Americhe (che fra le altre cose costituì la rovina economica per l’Italia che fino ad allora era stata l’area più ricca dell’Europa) e  terminò, con poche eccezioni, a metà del XX secolo. Questa forma di dominio è stata resa possibile dallo sviluppo delle tecnologie e dalla rapida crescita della popolazione, ma dalla seconda guerra mondiale in poi  l’ Occidente è passato ad un nuovo modello di governo del mondo: dopo le immense stragi perpetrate praticamente ovunque sul pianeta si è cominciato a parlare di valori umani e diritti umani e di alcune regole che presumibilmente avrebbero consentito a tutti di goderne. Però questa facciata non ha retto bene: l’Occidente, e in particolare gli Stati Uniti, hanno abusato dell’ ‘ordine basato sulle regole’ aggirando il diritto internazionale ogni volta che non si adattava ai propri interessi. Ha continuato ad applicare la ‘violenza organizzata’ in tutte le circostanze e in ognuna di queste ha costruito delle regole diverse: Jugoslavia, Afghanistan e Iraq hanno dimostrato che l’Occidente avrebbe sostenuto qualunque regola gli potesse far comodo per giustificare le sue guerre. La recente vicenda del Niger che vorrebbe legarsi alla Russia e non agli Usa dimostra chiaramente che Washington sostiene la guerra contro la Russia per ragioni diverse dal diritto dell’Ucraina di scegliere i propri partner e di aderire alla Nato e che questo diritto esiste solo se la scelta cade sugli Usa.

Il conflitto in Ucraina è solo l’ultima ma più evidente dimostrazione che l’‘ordine basato sulle regole’ non esiste più, anche ammesso che sia esistito in qualche occasione: negli ultimi decenni, gli Stati Uniti hanno continuamente messo Mosca nella posizione di accettare il fatto compiuto dell’espansione della Nato a scapito degli interessi di sicurezza russi, oppure di resistere e subire le conseguenze di un crescente ostracismo economico e politico. Ma a un certo punto qualcosa si è rotto e l’accettazione russa dei ricatti occidentali è cessata, Mosca si è sottratta  dall’ostracismo occidentale, cambiando così l’intero equilibrio di potere non solo in Europa, ma nel mondo.
Ora, è la Russia che mette l’Occidente di fronte a un dilemma: può assistere al totale disfacimento dell’Ucraina, oppure può intensificare gli sforzi fino ad arrivare al conflitto nucleare. Questo perché qualsiasi cosa al di fuori della vittoria totale dell’Ucraina è un’implicita ammissione che l’ordine economico e politico sta irreversibilmente cambiando. E Washington non vuole ammetterlo. Avendo perso le sue due principali fonti di potere, l’ordine basato su regole come strumento diciamo così di potere morbido e la sua superiorità militare come potere duro, l’Occidente o per meglio dire i clan di potere che lo controllano, ha bisogno di un nuovo strumento di deterrenza, un nuovo strumento che gli permetta di fare i propri interessi contro la volontà di altre potenze.
Lo ha scoperto esercitando la massima ferocia possibile. La guerra a Gaza, sostenuta dall’Occidente, è una dimostrazione che esso è disposto a superare ogni limite. Che è disposto a commettere un genocidio. Che farà di tutto per evitare che le organizzazioni internazionali intervengano per impedirlo. I clan che detengono il potere sovrano in Occidente, sono ritornati all’antica violenza perché non riuscendo più a costituire un punto di riferimento vogliono almeno essere temuti. Naturalmente a spese degli inermi perché quando trovano qualcuno che gli resiste, diventano isterici dalla paura.

Il paradigma Eichmann

La zona d’interesse
(The Zone of Interest)
di Jonathan Glazer
Gran Bretagna, Polonia, USA, 2023
Con: Christian Friedel (Rudolf Höss), Sandra Hüller (Hedwig Hense Höss)
Trailer del film

La zona di interesse è quella tra il campo nazionalsocialista di Auschwitz in Polonia e la villa dove abitano il primo comandante del campo, Rudolf Höss, e i suoi familiari. Insieme alla moglie, ai cinque figli e alla numerosa servitù, Höss conduce la vita di un affettuoso padre di famiglia, nonostante gli impegni del campo: organizza gite sui prati e sul vicino fiume (dove si svolge la scena iniziale, dopo un lungo buio sullo schermo), trascorre qualche minuto con le amiche della moglie in visita, apprezza e segue i tanti miglioramenti che la coniuge apporta alla casa e al suo ampio giardino. Rifornisce anche la famiglia di beni (abiti e gioielli) sottratti ai prigionieri, comportamento punito dalle regole delle SS e che probabilmente è la ragione dell’ordine di trasferimento che riceve e che la moglie – innamorata della villa di Auschwitz e dei suoi dintorni – rifiuta, lasciandolo partire da solo. Per giustificarne ufficialmente il trasferimento, a Höss viene attribuito un incarico di supervisione di tutti i campi di concentramento. La scena finale lo vede di notte da solo uscire dal grande edificio dell’Amministrazione a Oranienburg, vicino Berlino. Vomita più volte e, dopo un breve inserto nel quale vediamo l’attuale Museo di Auschwitz, guarda gli spettatori e va via.
La distanza, la freddezza, l’assenza di primi piani, i colori saturi e intensissimi (quasi da pubblicità o da fumetto), la presenza di numerosi simbolismi anche onirici caratterizzano un film di notevole suggestione e significato, il cui argomento principe non è Auschwitz ma è ciò che possiamo definire come paradigma Eichmann, dalla nota risposta del responsabile dei campi nazionalsocialisti: «Ero un funzionario, ho fatto solo il mio dovere». 

Anche Rudolf Höss è un funzionario, convinto – si legge nella voce di Wikipedia a lui dedicata (come tante altre voci per molti versi carente ma in questo caso accettabile) – di avere «un compito che egli, in qualità di soldato in tempo di guerra, sosteneva di non poter rifiutare». Compito di un buon funzionario è infatti quello di portare a termine nel modo più integrale ed efficiente gli incarichi che l’Amministrazione gli affida. Questo, dal punto di vista del paradigma Eichmann, è un dovere che non può turbare il funzionario stesso, la sua vita privata, la famiglia, qualunque sia il compito, poiché se i funzionari discutessero gli ordini ricevuti, e le Leggi sulle quali tali ordini si basano, l’Amministrazione cesserebbe di esistere. Questa innocenza e buona coscienza si allarga poi non soltanto alla famiglia ma anche al più ampio contesto sociale e antropologico che pure è consapevole dell’orrore, o almeno ne è a conoscenza, ma ritiene che per arrivare a tanto ci siano delle ragioni, anche delle ottime ragioni, delle ragioni di salvaguardia del corpo collettivo (quello tedesco o italiano, ad esempio), delle ragioni etiche.

Il paradigma Eichmann va quindi molto oltre gli anni 1942-1945 in Germania, dalla conferenza di Wannsee alla sconfitta militare. Va molto oltre gli anni 1933-1945, quelli del regime nazionalsocialista. Il paradigma Eichmann è tuttora attivo, funzionante, giustificato ed efficiente. Tre esempi recenti.

In questi mesi in Palestina – nella striscia di Gaza e in Cisgiordania – è in atto un genocidio palese e terrificante. L’organizzazione Save the Children afferma che a oggi (febbraio 2024) «circa 12.400 bambini sono morti e altre migliaia rimangono dispersi. Inoltre, in Cisgiordania sono stati uccisi 100 bambini palestinesi. L’organizzazione ha, inoltre, riferito a gennaio che, in media, circa 10 bambini al giorno hanno perso una o entrambe le gambe nell’enclave palestinese da quando è iniziata l’offensiva israeliana. Molte di queste amputazioni sono state eseguite senza anestesia» (Fonte: Gaza, numero senza precedenti di bambini uccisi e mutilati). E tuttavia la zona d’interesse dell’Occidente non soltanto continua serena la propria  vita ma giustifica l’olocausto palestinese con tutti gli argomenti o i silenzi possibili, fornendogli anche supporto militare, finanziario e soprattutto politico.

Secondo esempio. Un intero Paese d’Europa, l’Ucraina, viene progressivamente annientato allo scopo di fermare le tendenze multipolari in atto da tempo nella politica mondiale, la tendenza a un ridimensionamento dell’unilateralismo e del dominio americano. Tendenza che gli Stati Uniti d’America – soprattutto il Partito Democratico e i suoi sostenitori nella finanza – non accettano in alcun modo. Le vittime di quest’ultimo conflitto imperialista voluto dalla NATO sono appunto l’Ucraina e l’intera Europa, la cui economia è in forte declino a causa del divieto di commerciare con la Russia (consiglio su questo tema la lucida analisi condotta da Leonardo Mazzei su Sollevazione del 13.2.2024: Terza guerra mondiale). E tuttavia i governi e molti cittadini europei, vittime di questa guerra che va a solo vantaggio degli USA, sono attivi sostenitori della potenza che li sta utilizzando per i propri scopi geopolitici. L’esecutivo italiano in carica, guidato da Giorgia Meloni, è all’avanguardia di tale sostegno al governo fantoccio di Kiev, come lo fu il governo Draghi.

Il terzo esempio concerne l’epidemia Covid19, sulla quale ho scritto molto (anche un libro: Disvelamento. Nella luce di un virus) e aggiungo quindi solo poche parole. Parole che riguardano due categorie: i responsabili dell’Università di Catania e alcuni dei suoi impiegati. I primi hanno sospeso dalle funzioni e dallo stipendio un professore che da più di vent’anni cerca di dare tutto ciò che può in termini scientifici e relazionali agli studenti a lui affidati. Sospensione che è durata un paio di settimane perché l’Amministrazione centrale (il governo italiano pro tempore) decise di attenuare le punizioni comminate ai cittadini non vaccinati ma i cui effetti di perdita di lavoro e di risorse di vita hanno toccato altri docenti e lavoratori per periodi assai più lunghi. I secondi – gli impiegati di Unict – hanno agito con molto e convinto zelo per impedirmi l’ingresso fisico nel Dipartimento al quale appartengo.
Si tratta di un esempio molto meno tragico dei due precedenti ma che ha la stessa duplice radice. La prima è la comfort zone nella quale i complici di un male si sentono sollevati da ogni responsabilità perché hanno semplicemente «eseguito gli ordini» e perché ritengono dogmaticamente e acriticamente che un governo  (soprattutto se della loro ‘parte politica’) non può non fare gli interessi dei suoi cittadini e quindi bisogna ubbidirgli. Di questa comfort zone il film di Glazer è un’espressione davvero evidente e assai efficace. La seconda radice è la motivazione burocratico-amministrativa: ‘non abbiamo nulla contro il Prof. Biuso [o contro qualunque altro cittadino] ma abbiamo la responsabilità amministrativa e dobbiamo dare corso alle norme volute del governo’.
Rudolf Höss e Adolf Eichmann diedero nei processi la stessa risposta. Due persone anch’esse responsabili, scrupolose e persino etiche, come si vede anche dalla lettera che Höss inviò al figlio Klaus prima di essere giustiziato mediante impiccagione il 16 aprile 1947:
«Mio caro Klaus! Tu sei il più grande. Stai per affacciarti sul mondo. Ora devi trovare la tua strada nella vita. Hai delle buone capacità. Usale! Conserva il tuo buon cuore. Diventa una persona che si lascia guidare soprattutto da un’umanità calda e sensibile. Impara a pensare e giudicare autonomamente. Non accettare acriticamente e come incontestabilmente vero ciò che ti viene rappresentato. Impara dalla mia vita. Il più grave errore della mia vita è stato credere fedelmente a tutto ciò che veniva “dall’alto” senza osare d’avere il minimo dubbio circa la verità che mi veniva presentata. Cammina attraverso la vita con gli occhi aperti. Non diventare unilaterale: esamina i pro e i contro di tutte le cose. In ogni tua impresa non lasciare parlare solo la tua ragione, ma ascolta soprattutto la voce del tuo cuore. Mio caro ragazzo, ora molte cose non ti saranno del tutto comprensibili. Eppure ricordati sempre di queste mie ultime esortazioni».

I cittadini che giustificano il genocidio palestinese, quelli che sostengono gli USA contro l’Europa, i funzionari e gli impiegati che mi hanno sospeso dalle funzioni e dallo stipendio potrebbero riflettere sulle parole del loro modello e collega Rudolf Höss: «Il più grave errore della mia vita è stato credere fedelmente a tutto ciò che veniva “dall’alto” senza osare d’avere il minimo dubbio circa la verità che mi veniva presentata».
La zona d’interesse mostra come spesso il bene stia nel disobbedire e il male consista nell’essere parte attiva o passiva dell’Amministrazione.

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