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Amate sponde

Amate sponde
di Egidio Eronico
Italia, 2022
Musiche di Vittorio Cosma
Fotografia di Sara Purgatorio
Trailer del film

Le «sacre sponde» alle quali accenna il primo verso di A Zacinto diventano le «amate sponde» dell’Italia. Egidio Eronico le osserva, le filma, le rende molteplici, suggestive e profonde, anche con l’aiuto fondamentale delle musiche di Vittorio Cosma. Di immagini e di suoni è fatto questo film. Di immagini e di suoni che si susseguono a volte lente e altre vorticose. Dallo sguardo sull’intera penisola offerto dai satelliti sino a chi abita i luoghi delle città italiane anche come clochard, passante, ospite.
La prima parte è dedicata ai fiumi, alle montagne, ai campi, all’Etna, al mare. Tra le acque e le terre si affacciano poi le città, il loro pulsare, gli edifici, lo squallore di molte case e quartieri. Dentro le città gli umani che camminano, che pregano (una messa cattolica officiata da un sacerdote nero davanti alle panche vuote e una moschea invece affollata), che fanno musica e ballano, che vanno in palestra o fanno sport nelle strade. E poi persone che lavorano negli impianti dove i robot costruiscono le automobili e gli umani progettano androidi, dove le enormi quantità di spazzatura e rifiuti vengono riciclate in spazi amplissimi e profondi e dove si studiano e manipolano molecole organiche e inorganiche. Tutto al ritmo dei tramonti e delle aurore, con l’avanzare delle tecnologie in ogni ambito e con le arcaiche maschere dei demoni in Sardegna che cadenzano ancora i loro ritmi davanti a falò millenari.
Su una di queste maschere e sull’uomo che la indossa si chiude un’opera che sa trarre poesia non dalle bellezze d’Italia ma dalle sue brutture, che coniuga l’umano e il cosmico nel respiro della Terra. Un film che è un’indagine di geografica antropica e che soprattutto conferma come il cuore del cinema sia il montaggio, non ciò che si racconta ma come  lo si racconta.
Una meditazione su ciò che è effimero – gli umani – e su ciò che permane – la materia – dentro il luogo che chiamiamo Italia.

Canaglie

La menzogna più pervasiva, la maggiore fake news, consiste nel credere a quanto l’informazione stampata e televisiva diffonde, ignorando clamorosamente che quelle testate, quei giornalisti, quelle reti televisive, sono sostenute e pagate o dai governi o – per la maggior parte – da aziende che hanno interessi in vari settori: industria delle armi, trasporti, farmaceutica, chimica (un esempio italiano: le aziende degli Agnelli, che possiedono la Repubblica e La Stampa e hanno partecipazioni azionarie un po’ in tutti i settori). Basterebbe ricordarsi di questo semplice dato per diventare più prudenti rispetto a «l’ha detto la televisione, c’è scritto sul giornale, e quindi…». Ma se gli spettatori/lettori tenessero conto di questo dato, la credibilità, gli ascolti, le entrate di giornali e televisioni diminuirebbero drasticamente e il corpo sociale sarebbe più libero. 

Nel XXI secolo l’obbedienza si esercita indirettamente verso i governi e le oligarchie economiche; si esercita direttamente verso le notizie che governi e oligarchie diffondono. Notizie che sono chiaramente strumentali agli interessi dei governi e delle oligarchie. Governi e oligarchie che diventano e sono sempre più coincidenti.
Qualche esempio.
L’Unione Europea non è mai stata credibile. Costruita a partire dalla moneta e non dalla società, essa ha perso ormai ogni residua plausibilità. E tuttavia la UE sembra ancora esistere e agire. Ma come esiste e agisce? Come uno strumento delle oligarchie finanziarie e del governo degli Stati Uniti d’America. Proprio perché amo l’Europa – contrariamente alle oligarchie globaliste e agli USA – ricordo che noi non siamo ‘occidentali’, siamo invece europei.
A essere sempre più isolato non è il resto del mondo bensì l’Occidente, vale a dire il sistema militare-culturale dominato dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. Gli USA e i loro collaboratori, infatti, «sono molto vicini al tagliarsi fuori dal mondo e a tagliar fuori l’Europa dal suo stesso continente. Con il loro dollaro, le loro armi ed una inossidabile presunzione morale, essi sono la prima minaccia sentita dall’Africa così come dall’Asia, dall’America Latina, dalla Russia» (Hervé Juvin, in Diorama Letterario, n. 367, maggio-giugno 2022, p. 19).
L’Europa è sempre più umiliata, impoverita, asservita; è sempre più «soltanto la colonia delle sue colonie, popolata dai bei resti di popoli che furono liberi» (Ibidem).
La guerra della NATO contro la Russia è un esempio preclaro di tale asservimento. Molti analisti rilevano l’evidenza per la quale come gli USA nel 1962 impedirono l’installazione di missili nucleari sovietici a Cuba, con lo stesso diritto la Russia cerca di impedire l’installazione di armi nucleari ai propri confini, in Ucraina. Una delle ragioni della potenza degli USA – come della potenza di qualunque Stato – risiede nella geografia. In ambito geopolitico «gli Stati Uniti vengono considerati un’isola in quanto le loro sole frontiere terrestri con il Messico e con il Canada sono, per diversi motivi, assolutamente sicure» (Archimede Callaioli, p. 26).

Anche tale sicurezza ha contribuito all’atteggiamento arrogante di quella nazione, atteggiamento sempre pericoloso per la pace. Così come è pericoloso per la cultura e per le libertà. È da lì che proviene l’ondata di censura e di ignoranza del politically correct e della cancel culture, le quali impongono «che tutta l’arte e la letteratura, compresa quella del passato, vengano giudicate con i parametri etici del presente, e censurate e distrutte ogniqualvolta vi si trovino espressioni, immagini, o segni potenzialmente capaci di turbare la sensibilità di qualcuno» (Eduardo Zarelli, ivi, p. 22).
E questo conferma che i valori sono sempre le credenze imposte da chi comanda. Sui valori, sulle paure, sulla struttura sociale della specie umana, sul potere della comunicazione, sulla servitù volontaria si basa la pervasività del dominio nelle esistenze individuali e collettive. Se l’antropologia anarchica può avere dei limiti nel ritenere non universali tali strutture (è la critica che le rivolge Guillaume Travers, ivi, pp. 19-21), essa costituisce in ogni caso un necessario anticorpo rispetto al virus dell’autorità.
Proprio perché gli umani sono così facilmente asservibili, è necessaria la presenza, l’azione, la parola di chi ritiene che non perché siano buoni ma proprio perché sono tendenzialmente malvagi è bene non delegare mai agli umani un potere troppo forte. L’antropologia anarchica è anche questa consapevolezza, ben chiara a un filosofo non libertario ma anche lui assai diffidente verso i valori: «Every man ought to be supposed a knave»1. Le prime knaves, le prime canaglie, sono infatti le autorità.


Nota

David Hume, Of the Independency of Parliament [1742], in Essays, Moral, Political, and Literary, a cura di Eugene F. Miller, Liberty Press 1985, p. 43.

 

Geografia

Le infinite coordinate del mondo racchiuse nel percorso degli astri
il manifesto
20 marzo 2021
pagina 11

Lo spazio, celeste o terrestre che fosse, fu per tutte le civiltà un mondo pieno di dèi, che al mondo davano senso, origine e sacralità. Un sentimento, questo, che sopravvisse alle pur profonde trasformazioni culturali, religiose, politiche nel millennio che va da Omero a Tolomeo. Il permanere dell’interesse verso le terre, i mari, il clima, i popoli, i confini, i luoghi, fu tale da poter dire che «la geografia è sempre stata una scienza essenzialmente greca».
L’indagine sugli spazi e sui cieli rimase una costante di tutta la cultura greca e latina. In particolare la filosofia, dai pensatori arcaici a Lucrezio e Seneca, ha posto sempre al cuore della propria indagine l’esigenza di avvicinare le cose lontane alla mente (Λεῦσσε δ’ὅμως ἀπεόντα νόῳ παρεόντα βεϐαίως, Parmenide, frammento 4, v. 1), di comprendere anche ciò che appare distante, lo spazio immenso del mondo.

Situazionisti a Milano

Ralph Rumney
Un ospite internazionale a Casa Boschi Di Stefano
Casa Museo Boschi Di Stefano – Milano
Sino al 5 gennaio 2020


Nel cuore di Milano, vicino a corso Buenos Aires, un palazzo progettato agli inizi degli anni Trenta del Novecento da Piero Portaluppi divenne un formidabile spazio dell’arte contemporanea. I coniugi Antonio Boschi e Mariella Di Stefano lo riempirono sino agli anni Ottanta di centinaia di opere dei maggiori pittori del nostro tempo, tra i quali Giorgio Morandi, Mario Sironi, Giorgio De Chirico, Piero Manzoni, Lucio Fontana, Enrico Baj. Undici sale al secondo piano ospitano una scelta di queste tele che abitano spazi vissuti e stanze arredate da splendidi mobili in radica, lampadari déco, strumenti musicali. Una magnifica dimora.
Tra gli artisti apprezzati dai coniugi Boschi Di Stefano -borghesi aperti all’inconsueto, all’innovazione, alla rivolta– ci fu anche Ralph Rumney, uno dei fondatori dell’Internazionale Situazionista. Di solito le tele di Rumney sono ospitate nel bagno del secondo piano. Sino al 5 gennaio 2020 fanno invece parte di una mostra al primo piano, dedicata a Rumney e ai suoi legami con i situazionisti. Quello di Rumney è un cromatismo geometrico e insieme ludico, fermo nello spazio e dinamico nel tempo, profondo e piacevole.
Insieme alle sue tele sono esposte opere di altri situazionisti come Asger Jorn e lo stesso Guy Debord.

Sua è anche la foto che ritrae il gruppo situazionista nel 1957 a Cosio di Arroscia, un borgo in provincia di Imperia dove l’IS nacque. Insieme a Debord, Rumney fu tra gli esponenti della psicogeografia, un modo critico e attivo di guardare e vivere gli spazi urbani, che conferma la grande attenzione rivolta dai situazionisti alla geografia e quindi allo spaziotempo. Una delle sale della mostra è appunto dedicata all’esperienza psicogeografica di Venezia.
Almeno ai suoi inizi, e a volte anche nel suo ακμή, l’arte è uno dei più potenti antidoti al conformismo, alla volgarità, alla banalità, al ripetuto, al tranquillizzante, all’ovvio. Il suo gioco gratuito e quindi la sua forza politica continuano a splendere anche quando diventano la trama di una rispettabile casa milanese.

Geografia delle rovine

Vanessa Winship
Fondazione Stelline – Milano
A cura di Carlos Martín Garcia
Sino al 22 marzo 2015

«Il mare è l’unica frontiera naturale» afferma Vanessa Winship. Il Mar Nero separa e divide turchi, russi, georgiani, armeni, romeni, bulgari. Fa da confine tra popoli, lingue, mondi. Di queste acque e di queste terre le immagini colgono l’identità e la differenza. L’Albania è costellata di bunker dei quali la paranoia del suo regime aveva riempito il territorio, soprattutto le rive. In parte abbandonati e in parte vissuti, sono ora spazi della miseria, della comunità, delle macerie.
Altri luoghi, altre terre: l’Almería è un deserto di marmo e di foreste metafisiche; le bambine turche sono assolutamente esotiche -lontane- pur nella loro comunissima divisa di scolare; la potenza infranta della Georgia è intrisa di sensualità e di morte; la gente e le strade degli Stati Uniti d’America sono fatti di solitudine, di obesità, di rassegnata disperazione.
winship_UsaSpazi, popoli e individui sono narrati in un bianco e nero granuloso e dinamico che fa emergere dagli oggetti, dai volti, dai musicisti, dai soldati, dalle spose, dagli ubriachi, dagli adolescenti, dai corpi, tutta la malinconia delle cose che sono destinate a finire, e a finire presto.
Lo sguardo di questa fotografa non è mai banale, è sempre profondo, intriso di lucidità e di pianto. Vi emergono per intero l’orgoglio e la fragilità degli umani. È tutto molto oltre il reportage e il fotogiornalismo, è quasi un’idea platonica delle rovine antropologiche, paesaggistiche, spaziotemporali.

Terra / Forma

Yann Arthus-Bertrand. Saint-BrieucLa Terra vista dal cielo
di Yann Arthus-Bertrand
Museo di Storia Naturale – Milano
Sino al 19 ottobre 2014

Yann Arthus-Bertrand. PjorsaLa summa di questo artista è Home, un film che aiuta a capire il presente del nostro pianeta. E tuttavia osservare le sue immagini statiche, ciascuna con attente didascalie, dà la possibilità di apprezzare ancor di più la sapienza formale dello sguardo di Yann Arthus-Bertrand.Yann Arthus-Bertrand. Las Vegas

Ovunque la mente umana vede forme, colori, relazioni. La struttura a spirale di un alveare umano nella periferia di Las Vegas. La foresta di antenne satellitari sui tetti di Aleppo, una delle più antiche città del mondo. La densità cromatica di un centro di demolizioni di automobili in Yann Arthus-Bertrand. AleppoFrancia. Le macchie rosse degli ibis in Venezuela. Il livido bianco/nero di Pripyat, città fantasma vicino a Chernobyl. La pura e astratta forma disegnata dal fiume Pjorsa in Islanda. Yann Arthus-Bertrand. Pripyat

Ovunque splende ed emerge l’opera d’arte che abitiamo. Per quanto tempo ancora? Yann Arthus-Bertrand. Pedernales

Ellenismo

I secoli che vanno dalla battaglia di Cheronea vinta da Filippo di Macedonia contro le città greche (338 a.C.) alla dinastia imperiale dei Severi sono noti -a partire dalla definizione di Droysen- con il nome di Ellenismo. Sono secoli in cui l’identità greca si conferma, si amplia e trasforma. Dopo le imprese di Alessandro il Grande tre regni si disputano l’egemonia sull’impero da lui fondato: la Macedonia degli Antigonidi, l’Asia dei Seleucidi, l’Egitto dei Lagidi. L’intervento romano -o meglio i vari momenti nei quali Roma si alleò con alcuni Greci contro altri Greci- chiude l’esperienza politica degli Elleni (definitivamente nel 146 a.C.) ma non quella culturale, linguistica, civile che anzi si rafforza ed estende fino a far sì che «per non insignificanti aspetti l’impero romano dev’essere letto come realizzazione suprema dell’ellenismo» (I Greci. Storia Cultura Arte Società, a cura di Salvatore Settis, vol. II/3 Una storia greca. Trasformazioni, Einaudi, 1980, p. 680). La storia delle πóλεις muta ma non scompare, anzi si rafforza e da vicenda di guerre permanenti diventa storia di una cultura complessa e ricca, garantita dalla pax alessandrino-romana.
Quella ellenistica è una società fortemente urbanizzata, culturalmente raffinata, in grado di vedere in se stessa la realizzazione di un principio universalistico e dedita in ogni suo aspetto e livello alla pienezza del vivere. Fondazione di nuove città e contatti sempre più intensi fra di esse determinano il potenziamento della πóλις classica, sino a fare di quasi ogni centro urbano -piccolo o grande- un luogo di diffusione della lingua e della cultura greche. La città ellenistica costituisce il modello della stessa Roma e quindi di tutta la successiva cultura urbana che caratterizza così fortemente la civiltà europea.
Nelle città ellenistiche –Pergamo, Siracusa, Alessandria, Atene– i successori di Alessandro dedicano grande attenzione e finanziamenti alle scienze, alle arti, alla filosofia. Quest’ultima vide forse proprio nell’Ellenismo la maggiore realizzazione del progetto platonico se è vero che «in molti, se non nella maggior parte dei contesti politici, la presenza e la visibilità dei filosofi fu altamente apprezzata» (468), tanto che nella stessa Roma -a partire dalle lezioni tenute nel 155 a.C. dai maggiori scolarchi greci- iniziò un interesse e «un desiderio per la filosofia che non sarebbe diminuito per il resto dell’antichità» (476). Lo sviluppo delle scienze durante l’Ellenismo dà ragione all’ipotesi di Lucio Russo, per il quale il III secolo a.C. fu il tempo di una vera e propria rivoluzione scientifica negli ambiti più diversi, una rivoluzione che non è stata soltanto l’anticipatrice di quella ben più famosa del XVII secolo ma la sua vera e propria fonte. E infatti: «Il secolo e mezzo successivo al presunto floruit di Euclide vide lo sviluppo davvero straordinario di una ricerca matematica di prim’ordine» (687), di una astronomia il cui valore fu riconosciuto da Copernico, di una filologia rigorosa in grado di elaborare le metodologie di lettura e di analisi dei testi «che costituiscono ancor oggi il fulcro della disciplina filologica: l’ eàkdosiv, o edizione, e il commento continuo dei testi» (1201), di una geografia fisica e antropica frutto della convergenza di calcoli geometrici, di conoscenze climatiche, di contatto diretto con i popoli.
La Biblioteca di Alessandria è solo la maggiore e più famosa delle tante istituzioni di ricerca che trasformarono il libro, la lettura, lo studio in strumenti di crescita economica e culturale. La lingua di questa cultura è il greco, sempre più diffusa nel mondo -dal I sec. a.C. al III dell’era volgare-, la più usata in Oriente insieme all’aramaico, parlata e scritta dalle persone colte di tutto l’Occidente. I Greci dell’Ellenismo sono certamente diventati cosmopoliti, hanno ampliato enormemente il proprio orizzonte di vita ma sono ancora i Greci attenti alla libertà del singolo, a quei principi di autonomi@a ed eleuqeri@a che rappresentano uno dei fattori di continuità, di lunga durata, della storia greca dall’età arcaica sino all’impero di Roma. I rapporti fra la Grecia e la romanità costituiscono certamente uno dei temi centrali dell’indagine sull’Ellenismo. Dall’incontro fra Roma e la Grecia è infatti nata l’Europa medioevale e moderna, con il suo peculiare stile di vita urbano, tecnico e teso all’espansione. Sembra di poter dire con sufficiente sicurezza che «non c’è momento della storia romana del quale si possieda documentazione che non riveli il marchio della cultura greca» (941).
L’uomo dell’Ellenismo è dunque ancora l’uomo Greco, con la sua gioia di vivere, incarnata da Dioniso dispensatore di ebbrezza e di distruzione; dalla miriade di Satiri, Ninfe, Menadi, Centauri, Eroti il cui riso e felicità sono ancora vivi nella plastica ellenistica; da Pan con la sua sessualità straripante, innocente, doppia: «Gli antichi […] erano affascinati dalla bisessualità come da un fenomeno di intensificato piacere dei sensi. Nei giochi della fantasia ci si poteva augurare di provare allo stesso modo sia le gioie maschili che quelle femminili» (592). Per questi Greci una vita senza piacere e festa, senza la gioia del corpo, non vale la pena di essere vissuta; abbiamo «a che fare con un’epoca interessata a organizzarsi la vita in maniera comoda e piacevole» (593), un’epoca che così vuol vivere anche perché consapevole della dimensione aleatoria dell’esistenza, cosciente del potere che l’attimo e il caso -καιρóς e tu@ce- sempre esercitano sul mondo degli umani.
Questi Greci sono davvero diversi da noi, dallo sfondo sacrificale e ascetico della civiltà cristiana, sono lievi, disincantati, ironici e sereni. E sono anche politicamente più avanzati per la loro capacità di distinguere l’interesse privato da quello pubblico, per la loro volontà di non subire pericolosi conflitti di interesse. Fra di loro chi aveva da difendere i propri beni e aziende (ta# iòdia, oikeia) non poteva né doveva farli prevalere e confondere con il bene di tutti, con la sfera della politica (ta# dhmo@sia, politika@). E anche socialmente avremmo da imparare da uomini meno ipocriti, che non proclamavano ideali di eguaglianza e fratellanza universale ma che di fatto consentivano agli schiavi di «possedere beni ed effettuare transazioni legali» (713) mentre nelle nostre società umanitaristiche sono ampiamente tollerate le più subdole e feroci forme di schiavitù. Ma forse vale in particolare per i Greci quanto Strabone afferma dell’Europa intera:

Bisogna dunque cominciare dall’Europa, perché è la regione che più di ogni altra si trova nelle migliori condizioni per varietà di forma e per eccellenza di uomini e di governi e che più di ogni altra ha elargito i propri beni al resto del mondo (Geografia, 2.5.26).

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