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Amore

Sciauru – Franco Carlisi
in Gente di Fotografia. Rivista di cultura fotografica e immagini
anno XXVII – numero 77 – settembre 2021
pagine 72-79

Che cosa sono le donne che abbiamo amato e che non esistono più? Non perché siano morte ma nell’essere diventate molteplici, diffuse e dissolte in una varietà di elementi. Sono diventate memoria, fantasmi, una sottile sofferenza che non passa, un ricordo che ci importuna, una nostalgia che ci prende, una materia aerea come quella di cui son fatti i sogni.
Questa materia è l’oggetto di alcune fotografie che Franco Carlisi ha tratto dall’archivio della sua memoria e della sua arte. Sciauru, il profumo del tempo le pervade, le declina, le abbraccia, le cancella. Immagini profumate della potenza di ciò che è stato fionda, vortice e piacere. Come quella che apre questa pagina e che sembra dar ragione a Proust sul fatto che l’amore che crediamo di ricevere dall’Altro sia solo un riflesso della nostra tenerezza, uno specchio dei nostri desideri. La potenza della fotografia quando arriva a compiere l’operazione alchemica di trasformare il passato nel presente e la carne ora sfatta in corpo voluttuoso e sensuale è una potenza sacra.
Ringrazio Carlisi e le sue immagini, che mi hanno dato la possibilità di riassumere in poche pagine ciò che sinora ho compreso dell’amore, della sua sostanza potente, ironica, splendente e sensuale.

La rosa, il respiro

Suite of Love – Nobuyoshi Araki
fOn Art Gallery – Aci Castello (Catania)
Fondazione OELLE Mediterraneo Antico
A cura di Filippo Maggia
Sino al 25 luglio 2021

Si respira. Liberi dal soffocamento moralistico che dietro l’apparenza del ‘rispetto per la donna’ nasconde ancora una volta la paura verso la potenza del corpo femminile, verso il suo abisso, la sua gloria. Paure oscurantiste e superstiziose, a fatica celate dietro lo scintillio delle etiche postmoderne. Paure profondamente maschili verso il gorgo di follia, di μανία, che la vulva e la bocca sempre rappresentano per chi teme di essere afferrato dalla loro inemendabile potenza. Paura del gioco, del rischio, dell’inquietudine che sesso e desiderio costituiscono ma senza i quali rimane soltanto la piattezza casta e funebre del politicamente corretto.
E invece le 1000 Polaroid selezionate da Nobuyoshi Araki sono strutture di pienezza e  di gioia, sono un vivere e un agire nei quali la forma femminile, il suo εἶδος, è fatta di Ἔρως / θάνατος, di Amore e Morte -come ci ha ricordato Carmelo Nicosia, guida esperta e splendida alla mostra. Queste immagini sapientemente costruite e nello stesso tempo rubate all’istante danno vita a un gioco seriale e potenzialmente illimitato, nel quale la rosa del sesso femminile che si apre è accostata alle rose fatte di petali, entrambe irresistibili, profumate, possenti e delicate; nel quale i rettili, quanto forse di meno erotico si possa immaginare, convivono con lo sguardo che freme di possesso; nel quale il dualismo di natura e artificio è oltrepassato nella metamorfosi dell’immagine fotografica in desiderio. Le Polaroid fungono da ingresso al bagno e alla camera da letto della suite, camera arredata con intense immagini in bianco e nero nelle quali si ripete ancora una volta ciò che affresca le stanze di Pompei, l’intimità della fellatio, il gioco vibrante, malinconico e segreto dei corpi. Al di là della suite, il primo piano della fOn Art Gallery ospita altre immagini erotiche di Araki: bamboline mescolate e custodite dentro ai fiori e fiori che si declinano nella effimera potenza della loro gloria quotidiana.
Dopo aver visitato la mostra, docenti e studenti del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Unict e dell’Accademia di Belle Arti di Catania abbiamo discusso l’Estasi dell’arte. «Surrealismo orientale» ha definito Nicosia l’arte ludica e mortale di Nobuyoshi Araki, questa disseminazione del desiderio quotidiano nei luoghi di ogni giorno, questa cura ossessiva per l’immagine che diventa divertimento dell’immagine. Un Oriente e un Giappone molto greci, sacri. La «dimensione ieratica dell’arte» (ancora Nicosia) emerge infatti in Araki nel modo più impensato e del tutto naturale: quello di membra che fremono, di sguardi che desiderano, di istanti perfetti di piacere, di amore e di morte. «Post coitum animal/anima triste».

Innocenza

Flesh Memory
di Jacky Goldberg
Francia, 2018
Con Finley Black (se stessa)
Trailer del film

Finley abita a Austin (Texas), è divorziata, ha un bambino che sta con il padre e che riesce a vedere meno di quanto vorrebbe. Vive vendendo la propria voce e le immagini del proprio corpo a delle chat erotiche. Ma vive anche di profumi che inventa e produce lei stessa. Il suo corpo è una mappa di tatuaggi che nascondono segreti. Lo sguardo del regista la segue in ogni movimento con cura, attenzione, rispetto. Senza nessun voyeurismo e senza il gelo di un’indagine sociologica. È la vita di questa giovane donna, semplicemente. Dalla quale emergono la fragilità, la banalità, il sorriso e la pena di ogni esistenza umana. Verso la fine scorrono alcune immagini di Finley: da quando era bambina, poi adolescente e infine donna. Uno sguardo e un tempo innocenti che la memoria della carne conserva.

La storia

The Favourite
(La favorita)
di Yorgos Lanthimos
Grecia, 2018
Con: Olivia Colman (Queen Anne), Rachel Weisz (Sarah Churchill, Duchess of Marlborough,), Emma Stone (Abigail Masham)
Trailer del film

Tre meravigliose attrici disegnano e incarnano la potenza che sino in fondo e verso ogni confine fa della vicenda umana l’inevitabile e nascosto matriarcato che da sempre essa è. Anne Stuart (1665-1714) governa il Regno Unito. Lo fa da una camera, da un letto, da una carrozzina, dalle stampelle. La gotta non le consente l’agilità necessaria a muoversi autonomamente. Condizione che, unita alle molte gravidanze andate a male, causa una salute malferma e una volontà oscillante tra il pianto e le carezze. A sostenerla negli affari di stato c’è la favorita Sarah Churchill, duchessa di Marlborough. Una giovane e lontana cugina di Sarah compare a corte e a poco a poco la conquista, passando dal ruolo di sguattera a quello di ministro. Abigail, questo il suo nome, è stata istruita alla durezza dalle disgrazie familiari che l’hanno fatta decadere da una condizione nobiliare a uno stato di indigenza.
La lotta tra le due donne sul corpo e per il corpo della regina descrive la vicenda umana, le sue guerre, la diplomazia, la determinazione, la menzogna, la ferita, i silenzi, i colpi, le parole, i veleni. Gli strati sociali si confondono nella medesima miseria, dalle prostitute «che danno il culo ai soldati sifilitici» agli aristocratici imbellettati come le puttane, dai servitori perfidi e impacciati ai primi ministri tracimanti di corruzione, dai viaggiatori pervertiti in misere carrozze allo sfarzo di imponenti biblioteche. Ovunque e sempre la violenza involve la vita degli umani, una comune passione la muove, la passione della sopravvivenza dentro il gorgo immutabile e dinamico del tempo collettivo.
Qualche commentatore ha scritto che finalmente Yorgos Lanthimos avrebbe abbandonato ‘le plumbee atmosfere metafisiche’ delle sue ultime opere. Non sanno proprio vedere che invece questo regista crea sempre il medesimo film, come Kubrick.
Di DogtoothKynodontas  (2009), The Favourite possiede lo stile iperrealista e raffinato, asciutto e insieme grottesco; così come di The Lobster (2015) esprime la distopia insita nei sentimenti, nei legami, nel naturale, totale, disperato bisogno che gli umani sentono di vivere con gli altri, un bisogno sul quale l’autorità  getta la rete sadica dei suoi comandi. E come ne Il sacrificio del cervo sacro (2017) emerge qui l’inesorabile forza degli eventi concatenati gli uni agli altri, dentro più dentro le passioni umane, il cui andare è stabilito dall’ininterrotto divenire dei desideri, delle ambizioni, del gelo e delle follie.
Tutto questo è narrato tramite l’opulenza del grandangolo e lo sbigottimento dei primi piani, mediante lo sfarzo dei colori e la ferocia che cola dalla luce. Ma alla fine, alla fine è la giustizia. Giustizia che riscatta gli altri animali dalla viltà umana e fa di un coniglio il segno, la traccia e l’occasione di una scena conclusiva strana sino all’incomprensibilità e tuttavia splendida e trasparente per chi sa che il sogno umano -ciò che chiamiamo storia– è abitato nel suo fondo dalle immagini ancestrali degli animali. Per chiudere un film nel modo in cui The Favourite si chiude bisogna avere molto coraggio, bisogna avere genio.

Follie sotto la pelle

Crooked House
di Gilles Paquet-Brenner
Gran Bretagna, 2017
Con: Max Irons (Charles Hayward), Stefanie Martini (Sophia de Haviland), Glenn Close (Edith), Terence Stamp (L’ispettore capo Taverner), Julian Sands (Philip Leonides), Christina Hendricks (Brenda), Gillian Anderson (Magda), Honor Kneafsey (Josephine)
Trailer del film

Muore il patriarca. Un greco emigrato in Inghilterra, arrivato senza un soldo e diventato ricchissimo mediante affari non del tutto legali, come è ovvio. Il suo patrimonio è conteso tra figli, nuore, nipoti che Aristides Leonides ha costretto a vivere tutti insieme in una grande dimora un po’ kitsch, sotto il suo occhiuto controllo. Persone che tra loro si sbranano e ognuna delle quali avrebbe avuto qualche ragione per uccidere il vecchio. Prima che arrivi Scotland Yard, Sophia -nipote prediletta- chiede allo squattrinato detective Charles di scoprire l’assassino. Porte si aprono e si chiudono, parole affilate feriscono e disvelano, scritture imprudenti ed esatte conducono dritto dritto alla soluzione e a nuove morti.
Tratto da un romanzo di Agatha Christie, Crooked House rispetta in modo persino pedante tutte le regole del giallo tinto di un aplombico noir, sorpresa finale compresa. Un film che si guarda al modo in cui si può ascoltare una storia che ha un inizio, un retroterra, uno svolgimento e una conclusione. Letteratura tradizionale, insomma. Come tradizionale è l’umana follia che pervade questa casa storta e contorta. 

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Under the Skin
di Jonhatan Glazer
USA-Gran Bretagna, 2013
Con: Scarlett Johansson (Laura)
Trailer del film

Una desolata e piovosa metafora della donna, della sua alterità, dei sentimenti che è meglio non nutrire, della solitudine. Come se la donna e i sentimenti fossero degli alieni piovuti in mezzo alla materia, ad assumere sembianze gentili che però non riescono a nascondere sino in fondo la struttura gelida, levigata e moribonda delle cose vive che sanno di esserlo. Peccato che tutto questo stia dentro un film troppo allusivo, insieme fantascientifico e patetico, ecologico e macchinico, finto e che di tale finzione si compiace. Un film brutto.

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[Ho scelto come immagine per questo testo uno dei capolavori dell’architettura di ogni tempo, la Fallingwater o Casa sulla cascata (1935) di Frank Lloyd Wright. I due film parlano infatti di una casa il primo e dell’acqua il secondo. Ma l’opera dell’architetto volge in armonia e splendore ciò che nei film è follia e dissoluzione]

 

Elemosina / Destino

Il filo nascosto
(Phantom Thread)
di Paul Thomas Anderson
USA, 2017
Con: Daniel Day-Lewis (Reynolds Woodcock), Vicky Krieps (Alma), Lesley Manville (Cyril)
Trailer del film

«La donna perfetta sbrana quando ama…Conosco queste amabili Menadi…Ah, che razza di piccolo predatore pericoloso, strisciante, sotterraneo! E in più così piacevole!…Una piccola donna che insegue la sua vendetta sarebbe capace di scavalcare anche il destino. […] L’amore -nei suoi mezzi la guerra, nel suo fondo l’odio mortale tra i sessi». Così pensa Friedrich Nietzsche nel § 5 della sezione di Ecce homo dal titolo ‘Perché scrivo libri così buoni’ (Opere, Adelphi, vol. VI/3, p. 315).
Dalla remota notte del passato emergevano senza requie dei fantasmi. Come quella ragazzina, quella madre che riappariva quale strana e incomprensibile promessa. Ne ricordava il nome e le fattezze, le carezze liete, gli occhi soprattutto. Perché è dagli occhi che sempre si squaderna l’essenza di un umano. È banale ma è vero. Delle altre ricordava poco, ma non quelli che lei gli imbastiva a ogni incontro. Occhi fermi e insieme sfuggenti. Era diventata implacabile quella femmina. Ma all’inizio si era fatta turbine, tempesta, vento. Lo aveva avvolto nelle sfere autoritarie di un erotismo inquieto e senza requie. Dietro e dentro quegli occhi di un verdazzurro cristallino veleggiavano allora canti, voci e inni elevati al piacere più rotondo e fondo. I seni a coppa stavano interi nelle sue mani, che da lì arrivavano alla pancia più sensuale che avesse conosciuto. E dal delta che sapeva di ambrosia e di passito si partivano due cosce statuarie. Le braccia lo avvolgevano di sangue e di profumo nell’amore. Vibrava allora come un albero nelle sere estive, felice d’essere stato invaso da un sole tutto luce, al quale l’incanto aveva succhiato linfa e restituito vita. E su ogni gesto la sinuosa grazia di quella donna. Era del tutto folle, però. In nessun istante si poteva avere sentore di ciò che stava per accadere al successivo battito del tempo. Poteva essere carezza, poteva diventare ruggito che divora.

Non proprio questo ma da esso non lontano è il modo in cui Alma afferra nel film la vita del suo uomo. Da modesta cameriera incrociata per caso in un locale, diventa madre, moglie, amante, amica, allieva, alleata di Reynolds Woodcock, ricco e celebre creatore d’abiti. Avrebbe dovuto essere una delle numerose ragazze da lui desiderate, prese e allontanate. E invece ne diventa, senza che nessuno se ne accorga, la padrona. Sino a un silenzioso patto di amore e di morte.
Daniel Day-Lewis è totale nella sua bravura. Il suo sarto raffinato e violento ha una paradossale somiglianza  fisica con Céline. Il quale scrisse parole come queste: «Ma i ‘figami’ non sono solo corpi!… zotico! sono ‘compagne’! e i loro cinguettii, incanti e ghingheri? buon pro vi facciano! se ci avete il gusto del suicidio, incanti e cinguettii, tre ore al giorno, impiccarvi vi farà un bene boia!… lunga! corta!… sia detto senza cattiva intenzione! o passerete tutta la vecchiaia ad avercela col vostro uccello per avervi fatto perdere tanti di quegli anni a piroettare, scalpitare… fare il bello, sulle vostre zampe anteriori, su un piede, l’altro, per avere l’elemosina di un sorriso…» (Nord, in «Trilogia del Nord», Einaudi 2010, p. 463).
L’elemosina di un sorriso. Un uomo che si consegna per intero a una donna -che sia madre, moglie, amante, amica, allieva, alleata- merita davvero il suo «malu destinu».

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