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Mente & Cervello 56 – Agosto 2009

M&C_56_agosto_09

La embodied cognition «vede i concetti come rappresentazioni corporee con basi nelle percezioni, azioni ed emozioni». Se finora mancavano delle prove sperimentali «di come l’incarnazione attraverso il gesto possa avere un ruolo nell’apprendimento di nuovi concetti», ora alcuni studi sulla gestualità umana hanno dimostrato come il “gesticolare” non serva soltanto a far comprendere meglio agli altri che cosa intendiamo dire ma anche a pensare ciò che poi diremo (E.Campana, p. 103).
La natura prossemica, esternista, ibridata del pensare umano è confermata anche dal fatto che «quando usiamo uno strumento il cervello lo integra rapidamente all’interno della nostra immagine corporea, la rappresentazione cerebrale delle varie parti del corpo, e lo tratta come un prolungamento della nostra mano» (A.Gentile, 23). Ciò che chiamiamo mente, insomma, si costituisce anche nell’ambiente e non soltanto nel cervello. Ad esempio, la struttura degli edifici in cui operiamo può favorire oppure ostacolare la concentrazione, i risultati, la creatività della mente. Un’affermazione, questa, di puro buon senso e che le ricerche specialistiche confermano: «i soffitti alti favoriscono un pensiero più libero, cosa che potrebbe portare a elaborare collegamenti più astratti», così come la vista che si gode dalla stanza in cui si studia non è affatto neutrale, «la visione di paesaggi naturali, come un giardino o un bosco, migliora la concentrazione» (E.Anthes, 43-44).

La medicina, come si sa, è stata fonte anche di crimini. Paradigmatico è il caso di Egas Moniz e di Walter Freeman; il primo inventò la lobotomia, il secondo la applicò a migliaia di casi negli USA prima che gli venisse «ritirata la licenza di medico a seguito dell’ennesimo decesso per emorragia intracerebrale»; eppure «questo “innamoramento” del pubblico per la lobotomia ha lasciato tracce indelebili nella cultura statunitense» (D.Ovadia, 66): non solo in opere critiche come il film di Milos Forman Qualcuno volò sul nido del cuculo ma anche nella illusione tipica del riduzionismo di poter guarire il disagio mentale con degli interventi soltanto cerebrali. I quali sono spesso utilissimi, è chiaro, a livello sia chirurgico sia farmacologico ma che da soli spesso non possono arrivare a cogliere e quindi a curare quell’angoscia che si esprime, ad esempio, nelle tele di Mark Rothko (analizzate alle pp. 26-27).

Tra le recensioni di questo numero di M&C, una è dedicata al libro della neuroanatomista Jill Bolte Taylor e racconta le esperienze vissute da questa scienziata in seguito a un ictus da lei stessa subito, che le fece comprendere come «sentirsi in pace non vuol dire vivere nella beatitudine eterna, ma essere in grado di accedere a uno stato mentale di beatitudine anche in mezzo al caos quotidiano» (cit. da P.E.Cicerone, 105). Affermazione che condivido per intero e che mi sembra uno degli scopi della filosofia.

1 commento

  • Mariella Catasta

    Agosto 17, 2009

    I sistemi di rappresentazione del mondo da parte del soggetto umano fanno riferimento a tre modi che sono in interrelazione tra loro ma nel contempo indipendenti . Il gesto , l’immagine e la parola favoriscono lo sviluppo del pensiero , i processi di formalizzazione dell’esistente ma nel contempo possono intralciarlo.
    Quando il sistema esecutivo prevale o diventa l’unico modo di mediazione con l’esterno , quando il sistema iconico si impone sugli altri e invade il campo percettivo , rischiando la cristallizzazione dei processi di simbolizzazione e quando la produzione verbale si chiude in un circuito che esclude qualsiasi riferimento ai segni linguistici non necessariamente legati alla produzione della parola , il pensiero è anchilosato.
    Qualsiasi concetto può essere espresso utilizzando il sistema esecutivo, iconico e simbolico:
    la danza , la pittura la musica la parola diventano arte quando è possibile scorgere una dinamica interrelazione e reversibilità .
    La divergenza e convergenza del pensiero giocano un ruolo fondamentale nella riduzione degli elementi della realtà e nell’amplificazione di aspetti di essa, funzionali al desiderio recondito e misterioso racchiuso nel soggetto umano che tende a decifrare il più grande degli enigmi:
    il senso della vita e la possiilità di essere liberi.
    Se il pensare è esclusivamente l’espressione della vita sociale dell’uomo, se i desideri non sgorgono spontanei in ciascuno di noi ma sono espressione di leggi imposte da un sistema esterno se il senso del vivere è cercato nella casa del grande fratello o nei capannoni consumando stupefacenti ,quale opportunità ha l’uomo di essere libero?
    Se l’elemento fisico è l’agente condizionante il pensiero , non rendiamo un’ interpretazione riduttiva del pensiero stesso ? Se un bosco o un ambiente con i tetti alti può favorire la concentrazione e l’astrazione in alcuni , in altri può generare disorientamento e angoscia .
    Tra le mura di una mansarda luminosa e climatizzata si può essere concentrati e produttivi forse meglio di qualsiasi altro luogo .
    La libertà di essere e di pensare va ricercata in interiore homine.

    in interiore homine

    .

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