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3 commenti

  • agbiuso

    Luglio 17, 2015

    Caro Diego, tempo non vuol dire soltanto Differenza, significa pure Identità. Il tempo consiste anche nel rimanere identico di qualcosa che cambia e nel mutare di ciò che permane. A cominciare dall’ente che dice ‘io’. Il linguaggio esprime tale dinamica.
    È comunque vero che il linguaggio, il pensare e il vivere implicano una tensione continua verso la potenza del tempo che non riescono a dire, a pensare e a vivere.
    Noi abitiamo in questa tensione.

  • diego

    Luglio 17, 2015

    Secondo me la coscienza è una funzione aggiuntiva della corporeità, un tragico optional di lusso.

    Ma avrei una domanda, e mi scuso in anticipo per gli inevitabili strafalcioni. C’è scritto:

    «Le aree della cor­tec­cia cere­brale coin­volte nella per­ce­zione del tempo sono infatti stret­ta­mente con­nesse a quelle che rego­lano lo stru­mento prin­cipe dei rap­porti umani, il linguaggio.»

    Ecco io avrei una domanda. Non è forse proprio il linguaggio l’attrezzatura che a volte non «agguanta» bene il tempo? Prendiamo le parole, i vocaboli. Non sono comunque affetti da una inevitabile fissità, del resto utilissima per evitare fraintendimenti? E anche i nomi propri, non tendono ad una certa anelasticità temporale? Io mi chiamo Diego da 59 anni, e il nome non cambia mai, mentre io sono un processo di decadenza un po’ brutale e anche comico. Questa fissità dei nomi e dei vocaboli secondo me è quella che a volte ci rende incapaci di cogliere il tempo, siccome le parole non cambiano, tutto ci sembra fermo, o quantomeno ragioniamo come se lo fosse. Io penso che il linguaggio, nella sua necessità di esser durevole per poter funzionare, sia un po’ deformante a volte rispetto al tempo. In fondo, il linguaggio è un po’ anche un avversario del tempo, per esempio uno puo’ tornare all’inizio e rileggere le sciocchezze che ho scritto, fermando il tempo.

  • Pasquale

    Luglio 16, 2015

    La coscienza è legata alla cor­po­reità e alla tem­po­ra­lità: io ho espe­rienza di me stesso come esi­stente con un corpo e nel tempo. (…) Auto­co­scienza signi­fica rico­no­scere sé stessi come esseri che per­du­rano nel tempo ed esi­stono fisi­ca­mente». Anche que­sto vuol dire che «il tempo siamo noi».

    Non è un caso dunque se nella malattia psichica, dentro e fuori, adesso e dopo, me e gli altri, oggetti e soggetti, vadano spesso a costituire un minestrone di indifferenziato.
    Tempo. Non mi inoltro. Ma c’è una galassia da esplorare.
    P.

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