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Meurtre chez Tante Léonie

Meurtre chez Tante Léonie

Delitto in casa Proust
di Estelle Monbrun
(Meurtre chez Tante Léonie, Éditions Viviane Hamy,1994)
Traduzione di Emilia Gut
Robin Edizioni, Roma 2007
Pagine 240

Illiers-Combray è uno dei luoghi dell’immaginario più famosi e più amati. Certo, è anche un luogo fisico che esiste  davvero ma i lettori di Proust che visitano questo villaggio a pochi chilometri da Chartres colgono quello che non c’è più, se forse mai è esistito: i due côtés di Swann e di Guermantes che nella vita del Narratore bambino segnano i confini del mondo. Un universo al cui centro sta la casa di zia Léonie, là dove il piccolo Marcel trascorreva le vacanze e nella quale gustò per la prima volta quel biscotto il cui sapore, molti anni dopo a Parigi, avrebbe fatto resuscitare il Tempo.
Ed è in questa casa-museo-tempio, esattamente nella stanza del Narratore bambino, che viene uccisa Madame Adeline Bertrand-Verdon, presidentessa della Proust Association, una donna il cui nome somiglia a quello di Madame Verdurin e che siamo ben felici di aver trovata morta sin dal principio, tanto è falsa, arrivista, ricattatrice, malvagia. I possibili responsabili del suo assassinio sono dunque numerosi: dal cattedratico parigino che sta curando una nuova edizione di tutte le opere di Proust al direttore della casa editrice che la pubblicherà, dall’anziano visconte che si accingeva a sposarla al professore statunitense al quale la signora Bertrand-Verdon impone la propria chiamata presso l’Università dove insegna. Tra i sospettati c’è anche la colta e timida segretaria, angariata da lei in tutti i modi. Quest’ultima –Gisèle Dambert- si è trovata in possesso dei leggendari e mai ritrovati quaderni del 1905 che segnano il passaggio dall’incompiuto Jean Santeuil alla Recherche; è intorno a questi preziosissimi manoscritti che ruota tutta la vicenda, il cui svelamento è affidato al raffinato e inquieto commissario Foucheroux e all’esotica ispettrice Leila Djemani …
L’arte di Proust è capace anche di questo, di riverberarsi come un’eco feconda in un giallo letterario che trasporta il lettore nel mondo di Combray e lo fa senza pedanteria, senza noia e anche senza celebrazione ma con il divertimento di un’intelligenza che –si sente- è stata nutrita da una lettura attenta e partecipe dell’opera proustiana. Tanti segni lessicali e concettuali lo dimostrano: la centralità dei corpi -«Fatto di cui era responsabile. Che non si perdonava. E che il suo corpo non avrebbe mai dimenticato» (pag. 39); il disincanto sui sentimenti -«Gisèle condusse la doppia vita delle amanti che aspettano invano che, per loro, si lascino le legittime spose» (50), «capiva perché lui si fosse lasciato umiliare così spesso: in amore, quello che ama è colui che perde e questo individuo, sull’orlo della vecchiaia, aveva amato Adeline fino a sacrificarle il rispetto di sé. “Siamo tutti degli Swann”, pensò» (209); l’abisso delle memorie -«e prima di avere il tempo d’innalzare le barriere interiori, il ricordo dell’ultima notte si sostituì senza preavviso a quello della prima» (121); la profonda ironia sugli umani in genere, sui proustofili in particolare e sullo stesso Proust: «…avanzando lungo la scala, senza sapere che strazio era stato per il narratore proustiano e per il lettore avveduto, perché aveva saltato il passaggio dell’andata a letto di Marcel, all’inizio di “Combray”» (140), «al colmo del professorale, si pulì a lungo gli occhiali e indicò a Gisèle, con un gesto che non ammetteva repliche, la sedia dove si sarebbe dovuta sedere» (150); l’amore assoluto per la parola -«affascinato dalla metamorfosi della timida ragazza in donna innamorata delle parole, e dall’intelligenza profonda del testo svelato dalla sua interpretazione…» (197).
Questo libro delizioso, acuto, leggero, permette dunque di guardare l’universo proustiano da un punto di osservazione inconsueto, svelando alcuni degli angoli più oscuri della Recherche, sfolgorante labirinto di parole.

1 commento

  • Pasquale D'Ascola

    Agosto 2, 2016

    Caro Alberto, grazie per una segnalazione di così denso sugo. Già mi lecco i baffi alla Proust che non ho. P.

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