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Contro il monoteismo

L’ossessione di ricondurre a una monocorde identità la magnifica selva delle differenze è un crimine. Di tale ossessione i monoteismi fanatici si nutrono ogni giorno. La sofferenza e il male che ebraismo, cristianesimo e islam diffondono da millenni nel mondo sono una delle prove schiaccianti della ferocia di cui la nostra specie è capace. Un brano evangelico ne riassume perfettamente la logica abnorme e patologica, che vuole ridurre il molteplice, il politeistico, il vario, il difforme, all’uniformità più assoluta, quella di un solo principio, di un unico dio: «Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. […] Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me».
(Vangelo di Giovanni, 17, 11-23)
A questa logica che pretende e vuole fare del diverso «una sola cosa» si oppongono le parole lucide e pacate di un grande maestro: «Infatti l’intolleranza è intrinseca soltanto alla natura del monoteismo: un dio unico è, per sua natura, un dio geloso, che non tollera nessun altro dio accanto a sé. Invece gli dèi politeistici, per loro natura, sono tolleranti, essi vivono e lasciano vivere. In primo luogo, tollerano volentieri i loro colleghi, gli dèi della stessa religione, e poi questa stessa tolleranza si estende anche agli dèi stranieri, che perciò vengono accolti con ospitalità, e col tempo ottengono perfino il diritto di cittadinanza, come dimostra anzitutto l’esempio dei romani, i quali accolsero volentieri gli dèi della Frigia, dell’Egitto e altri dèi stranieri. Perciò sono soltanto le religioni monoteistiche a offrirci lo spettacolo delle guerre e delle persecuzioni religiose, nonché dei processi agli eretici e della distruzione delle immagini degli dèi stranieri, della distruzione dei templi indiani e dei colossi egiziani, che per tre millenni avevano guardato il sole».
(Arthur Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, Adelphi 1978, vol. II, pp. 470-471)

Sessuofobia islamica

Il 3 giugno 2011 avrebbe dovuto tenersi una partita di calcio tra le squadre femminili di Giordania e Iran. Le calciatrici persiane, però, hanno indossato lo hijab, una tenuta che copre l’intero corpo. La FIFA (l’organismo che governa il calcio mondiale) ha per questo annullato la partita, ha dato la vittoria alla Giordania e ha dunque escluso le ragazze iraniane dalle Olimpiadi di Londra del 2012. Decisione che reputo molto grave e discriminatoria, anche perché la federazione iraniana aveva cercato un compromesso rispetto alle richieste della FIFA. Risibile, poi, la motivazione per la quale durante le partite sono vietati abbigliamento e comportamenti che facciano riferimento a credenze religiose o politiche. Bisognerebbe, infatti, proibire anche il gesto del farsi la croce che alcuni calciatori mettono in atto all’inizio di una partita o dopo aver realizzato una rete.

Va detto, tuttavia, che un episodio come questo conferma la fobia della fede musulmana nei confronti del corpo femminile. Il monoteismo islamico è nel suo sviluppo storico la più estrema forma di negazione del piacere, della bellezza, della vita nella sua potenza corporea. Se si confronta l’Afrodite Callipigia (dal bel sedere) dei pagani -la quale solleva la propria veste in un gesto di divertita conquista- con il divieto ossessivo imposto alle donne islamiche di mostrare la propria pelle, si comprende quale nichilismo antierotico esprimano il Corano e il suo predecessore, il libro degli ebrei e dei cristiani.

Arte islamica

al-Fann. Arte della civiltà islamica
Milano – Palazzo Reale
Sino al 30 gennaio 2011

Millequattrocento anni di arte dalla Spagna alla Cina. Tale è la struttura spaziotemporale dell’arte islamica. L’uniformità che la rende immediatamente riconoscibile si coniuga a una grande varietà di materiali, forme, obiettivi, specifiche declinazioni territoriali e cronologiche.
I materiali utilizzati dagli artisti islamici sono i più diversi; le forme che la materia assume sono fortemente geometriche, seriali, ripetute. E tuttavia, contrariamente a ciò che di solito si ripete, l’islam non rifiuta la figura umana o animale. È però molto attento a distinguere tra lo spazio religioso delle moschee nel quale non è ammessa alcuna immagine antropomorfica e lo spazio privato, dove invece è possibile rappresentare umani e altri animali. Gli obiettivi sono molteplici e analoghi a quelli propri di molte altre civiltà, culture, religioni. Il più importante consiste nel dare testimonianza della ricchezza che si possiede e dunque del potere che si detiene. Politica e religione, fede e potere sono nell’islam inscindibili. Uno dei pannelli di questa mostra ricorda la CXII Sura del Corano: «Di’ “Egli, Dio, è uno. Dio è l’eterno, l’Assoluto. Non generò né fu generato, e nessuno Gli è pari” ».
È vero che molte conversioni dei cristiani all’islam furono dovute all’obbligo per i non convertiti di pagare più tasse ma è altrettanto vero che fu la rozzezza di questa fede -rispetto al complesso credo cristiano intriso di filosofia- a spingere le masse ad aderire a una prospettiva che descriveva il paradiso come un luogo di frescura, di ombra, di acque, di godimento in primo luogo carnale.
È di questa visione assai fisica che parlano una originale lastra di marmo dalla quale scendevano acque; un grande tappeto-giardino con una vasca centrale asimmetrica circondata da molteplici canali, stilizzati pavoni, ricca vegetazione; vari astrolabi di ottone; numerosi gioielli; una bellissima mattonella di ceramica del XVI secolo decorata con palmette e semipalmette su uno sfondo rosso ceralacca.
L’islam rimane per noi europei un enigma, soprattutto in questi decenni di guerre imperialistiche condotte contro alcuni dei suoi Paesi e di violente risposte da parte dei più fanatici sostenitori del Corano. Una mostra come questa aiuta a comprendere che al di là del presente vivono altri spazi, altro tempo.

[Una versione più ampia di questa recensione si può leggere sul numero 8 – Febbraio 2011 del mensile Vita pensata]

Se questo è un uomo

Da anni i palestinesi della striscia di Gaza vivono in una condizione atroce. Alcune organizzazioni umanitarie cercano periodicamente di portare aiuti a queste popolazioni ma subiscono la continua ostilità dello stato di Israele. Stanotte è successo qualcosa di terribile: delle imbarcazioni dirette a Gaza sono state assalite –in acque internazionali– dalla Marina israeliana. Sono morti decine di volontari e altri hanno corso enormi rischi, compresi donne e bambini. Un massacro attuato per impedire che altre donne e bambini ricevano cibo, vestiti, farmaci. La giustificazione di Gerusalemme è che «Israele considera» tale iniziativa «studiata per minare la sua immagine». L’immagine di uno Stato contro la vita di vecchi, donne, bambini. Considerate se questi sono uomini, costretti a vivere rinchiusi, isolati, affamati, bombardati. Ma nessun film, nessun libro, nessuna giornata della memoria ricorderà le vittime della violenza di questo Stato razzista.
In ogni caso, niente di nuovo sotto il sole: «Marciarono dunque contro Madian come il Signore aveva ordinato a Mosè, e uccisero tutti i maschi. (…) Gli Israeliti fecero prigioniere le donne di Madian e i loro fanciulli e depredarono tutto il loro bestiame, tutti i loro greggi e ogni loro bene; appiccarono il fuoco a tutte le città che quelli abitavano e a tutti i loro attendamenti e presero tutto il bottino e tutta la preda, gente e bestiame. (…) Mosè si adirò contro i comandanti dell’esercito, capi di migliaia e capi di centinaia, che tornavano da quella spedizione di guerra. Mosè disse loro: “Avete lasciato in vita tutte le femmine? Proprio loro, per suggerimento di Balaam, hanno insegnato agli Israeliti l’infedeltà verso il Signore, nella faccenda di Peor, per cui venne il flagello nella comunità del Signore. Ora uccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna che si è unita con un uomo; ma tutte le fanciulle che non si sono unite con uomini, conservatele in vita per voi». (Libro dei Numeri, cap. 31, vv. 7-18)

Mente & cervello 62 – Febbraio 2010

La catastrofe dell’Italia contemporanea non è soltanto culturale, etica, antropologica. È anche economica. La disoccupazione è arrivata all’8,3 per cento, anche se il pifferaio che ci porta verso il baratro riesce coi suoi strumenti -televisione, stampa- a nascondere pure tale dato statistico. Le conseguenze sulla psiche di una condizione senza lavoro sono devastanti e coinvolgono l’identità profonda di una persona, il suo presente, le attese, le memorie.

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Les Grecs

NOUVELLE ÉCOLE
LES GRECS

Numéro 58 – Année 2009
Éditions du Labyrinthe
Paris, 2009
Pagine 168

Per i Greci morire non è la cessazione del respiro ma la cessazione della luce; i poemi omerici ripetono in modo ossessivo la formula “vivere e vedere la luce del Sole”. I Greci sono uomini che convivono con gli dèi invece che porli in una alterità che col pretesto di rendergli onore in realtà uccide il divino. Marcel Conche afferma con piena ragione che «le dieux sont dans le monde, associès aux hommes pour diriger les cités. Quant au dieu au singulier, il est immanent au devenir universel et en est le rythme même» (p. 11). Che a dispetto e al di là di ogni differenza, «le dieux et les hommes aient une même origine» (J. Haudry, 41) è dovuto anche al dominio che su di loro, su tutti loro, esercita il tempo.

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Passioni

I monoteismi impongono una cura chirurgica delle passioni, il cui effetto è l’opposto dell’equilibrata soluzione greca che consiste nel dare di tanto in tanto uno sfogo festoso alle cattive inclinazioni. È questo l’elemento etico del paganesimo rimasto fin dal principio incomprensibile all’ordine morale ebraico, cristiano e islamico. I Greci riconoscevano l’inevitabilità del desiderio e della violenza insiti nella natura umana e invece di tentare ingenuamente di estirparli preferivano dar loro una legittimazione sociale e una ritualizzazione che favorisse l’espressione dell’estremo conservando nel contempo il controllo delle sue manifestazioni. Si tratta di una forma di libertà interiore e comportamentale la quale non si mutila della dimensione ebbra e dionisiaca che abita al fondo dei cuori umani non ancora spenti. Tenta piuttosto di consentirle uno sfogo moderato atto a salvaguardare sia l’elemento orgiastico che quello razionale.

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