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Camus. La filosofia come libertà

Il secondo incontro del ciclo 2025 organizzato dall’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU) dedicato a Filosofia e Letteratura si svolgerà giovedì 22 maggio 2025 alle ore 17.00  nella sede del Centro Studi di via Plebiscito 9, a Catania. L’evento ha per titolo Camus. La filosofia come libertà.
Questo è l’abstract:
In un bar di Amsterdam un avvocato parigino dialoga con uno sconosciuto, mostrandosi come un giudice del bene e del male. A parlare è un debosciato, uno psicologo, un teologo, un politico, un filosofo, un odiatore delle caverne e un amante della luce. Luce e altezza che sono lo spazio della filosofia mediterranea, del nostro essere, del nostro pensare, specialmente in un momento storico nel quale le forme del fanatismo e della tirannide cercano di imporre l’oscurità e l’oblio sui propri crimini. È questa una forma della peste politica e antropologica che avanza, alla quale Camus oppone la libertà che nasce dalla piena consapevolezza che la colpa abita nell’esserci e che se si dà una forma di innocenza, un’espressione della grazia, una pratica della salvezza, questa è la conoscenza. Camus scrive: «j’ai cependant une supériorité, celle de le savoir; ho tuttavia una superiorità, quella di saperlo», confermando in questo modo la propria Gnosi.

Infantilismo e storia

L’ultimo uomo
Aldous
, 10 maggio 2025
Pagine 1-2

Una delle condizioni per capire quanto accade è la libertà. Almeno un grado minimo di libertà interiore, politica e morale è infatti necessario per guardare i fatti e il mondo al di là della enorme potenza del condizionamento che un animale sociale e gregario quale è l’umano inevitabilmente subisce. Soprattutto per capire le tragedie. In esse infatti si esprime e si condensa la complessità delle relazioni sia individuali sia collettive. La storia dei popoli e dei loro conflitti non può essere compresa da una prospettiva mediatica o moralistica o desiderante.
È dunque da una diversa angolatura che in questo breve articolo cerco di dire qualcosa su quanto sta accadendo in Palestina e in Ucraina, due eventi che toccano profondamente l’identità e il futuro dell’Europa e che stanno contribuendo al suicidio del nostro continente, un evento che non sarebbe possibile senza una lunga preparazione culturale e pedagogica.

Aldous

Aldous è una rivista, «blog di difesa concettuale», che da alcuni anni svolge un lavoro di analisi critica dei dogmi e dei luoghi comuni che intramano le società contemporanee, in particolare di quelli che riguardano il mondo della scuola, dell’università e della cultura, ma non soltanto di essi.
Da alcuni giorni è stato diffuso sul sito della rivista/blog un Vademecum per i collaboratori che è molto più di una guida tecnica, è un vero e proprio manifesto politico.
La prima sezione ha come titolo Aspetti pratici: brevi e sparse avvertenze; l’incipit recita «Da buoni ammiratori di Illich poche regole e meramente pratiche».
La seconda sezione concerne gli Aspetti di genere letterario ovvero tassonomia della rivista culturale. In essa si dice con chiarezza quali tipi di testi sono adatti alla rivista e quali non lo sono, spiegando perché. Un utilissimo esercizio di discernimento anche a proposito dei diversi generi letterari nei quali la conoscenza e la comunicazione si esprimono, al di là dunque della omologante melassa dei social network.
Il vademecum è stato redatto dal fondatore della rivista, Davide Miccione, ed è stato discusso con la redazione. Invito a leggere le due prime sezioni sul sito di Aldous, del quale qui sopra ho inserito il link, o nel pdf che chiude questo testo. Riporto invece per intero il nucleo politico del Vademecum, il cui titolo è: Aspetti di contenuto ovvero Aldous non è ‘la Repubblica’.

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Anche qualora le avvertenze precedenti siano state rispettate, il grosso non è stato ancora detto. Si consideri che la più gran parte degli articoli che trovate pubblicati nelle pagine culturali dei quotidiani e degli editoriali dei quotidiani e delle riviste e infine nelle rubriche dei settimanali rispetta le avvertenze dei due precedenti capitoletti di questo prontuario, ma molti non li pubblicheremmo neanche morti. Anzi, un buon sistema euristico per capire se quello che scrivete è adatto ad Aldous è proprio quello di chiedervi: “questo articolo sarebbe, per contenuti, gradito a La Stampa, la Repubblica, Il Corriere?”. Se la risposta è sì (a meno che non vi stiate riferendo al Corriere degli anni Settanta dei Crespi dove pubblicava Pasolini) al 99,9 per cento il vostro pezzo non è adatto ad Aldous.

Aldous non nasce per far soldi (non ha pubblicità né abbonamento), anzi costa qualcosina a chi lo fa, e non nasce per fare successo (è volutamente assente dai principali social, da X a Instagram). Aldous nasce a inizio 2021, in pandemia, di fronte all’incredibile restringimento dei pensieri della maggioranza degli italiani e prende questo nome per segnalare la natura distopica di questi tempi in cui viviamo. Vede gli anni a partire dal 2020 come gli anni del disvelamento (Cfr. A. G. Biuso, Disvelamento, Algra 2022), della natura disumanizzante del potere in cui ci siamo trovati a vivere.

Oltre al bruto esercizio della forza, il Potere (se lo trovate troppo reificato scritto così, sostituitelo nella vostra testa con La classe dominante) si mantiene e si rafforza attraverso una stenosi del pensiero e della lettura degli eventi che vengono, a scelta, ignorati, inventati e/o deformati. Così l’integrato di destra penserà di salvare la morale pubblica perseguendo chi si fa uno spinello e l’integrato di sinistra perseguendo chi fa il saluto romano anche se né chi lo fa né chi lo persegue saprebbero spiegare nulla del complesso fenomeno storico del fascismo. Gli integrati (di destra, di sinistra e della palude) subiscono la stenosi del pensiero attraverso la frequentazione di alcuni deliranti topics:

  • Costruzione della finta contrapposizione tra sinistra e destra. Una subspeciazione artificiale per dare alla gente l’idea che possa scegliere. Per chi rimane irrimediabilmente ingenuo, consiglio di osservare le maggioranze quando si fa veramente sul serio e si toccano gli interessi del potere e si capirà che la divisione è un miraggio (Ursula, Draghi, eccetera).
  • Costruzione della destra come luogo del nazionalismo (il governo Meloni è uno dei governi più atlantisti del dopoguerra. Serve altro?).
  • Costruzione della sinistra come luogo della difesa della libertà (green pass, proposta dei verdi del reato di negazionismo climatico; censura sotto la finzione del hate speech; politicamente corretto, eccetera).
  • Costruzione dell’olocausto come assoluta singolarità della storia e come riferibile solo agli ebrei (con buona pace di curdi, armeni, rom, palestinesi, aztechi, nativi americani, schiavi africani, briganti calabresi e persino Neanderthal e tutti i poveri massacrati dell’orribile storia umana) impedendo che diventi exemplum per ogni malvagità e totalitarismo alimentando così una morale strabica.
  • Costruzione dei due fantocci del Fascismo eterno e del Comunismo eterno per impedire di studiarli, criticarli (abbiamo il dovere, sembrerebbe, solo di esecrarli, atto ben poco intellettuale) e ridurre l’intervallo di pensabilità al solo mero capitalismo. Il comunismo eterno è stato teorizzato e agito da Berlusconi e il fascismo eterno da Eco (qui simili nella astoricità barbarica).
  • Rifiuto di pensare i totalitarismi prossimi venturi (persi a baloccarci con gli avvistamenti di manganelli e fasci littori) o perlomeno i loro candidati più promettenti: i robber barons al silicio (da Musk a Gates, senza distinzione di momentanea allocazione finto-politica); l’ecologismo come sistema di sottomissione dell’uomo come agente inquinante (soprattutto se è povero: il jet del ricco è infatti sempre fuori fuoco e non lo vediamo bene); il programma di salvezza tramite sanità (pubblica nelle perdite e privata nei guadagni) del neoleviatano OMS eccetera.
  • Rifiuto di cogliere il carattere di sperimentazione autoritaria e addestramento all’obbedienza del triennio pandemico.
  • Rifiuto di cogliere la spinta disumanizzante della attuale situazione tecnologica che si prepara a un salto eteronomo forse definitivo con l’IA, baloccandoci invece con “gli strumenti dipende da come li usi” e simili amenità.
  • Trasformazione della lotta tra male e male, tra democrature finto ideologiche e postdemocrazie a trazione finanziaria in lotta tra il bene (casualmente sempre noi) e il male (casualmente sempre loro).
  • Messa in scena di fantasiose divisioni sociali (tra genderisti e antigenderisti; patriarcali e antipatriarcali eccetera) che possano coprire quelle vere, a occhio e croce poveri e ricchi o inclusi ed esclusi.

Cosa in costruens questo significhi non lo sappiamo e vorremmo scoprirlo con il contributo dei redattori e dei collaboratori ma restare all’interno del trompe l’oeil che abbiamo cercato sommariamente di descrivere sarebbe un’attività inutile, fosse solo perché è già il luogo dove ci troviamo e dove già ci raggiungono le immagini della tivù, le parole delle radio, i testi dei giornali e i documenti delle istituzioni.
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Vademecum per i collaboratori di Aldous (pdf)

Un’ignoranza politicamente corretta

Giovedì 27 marzo 2025 alle 16.00 nella Sala rotonda del Coro di Notte del Disum di Catania parleremo del mio Ždanov. Sul politicamente corretto  e del libro di Davide Miccione La congiura degli ignoranti. Note sulla distruzione della cultura.
A discuterne saranno Francesco Coniglione, Fernando Gioviale ed Enrico Palma. L’evento è organizzato dall’Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU).

«Una scuola realmente democratica dovrebbe invece essere capace di selezionare la classe dirigente attraverso criteri non di padrinaggio politico, di appartenenza ideologica o di fortuna familiare ma di merito personale, competenza e volontà. Regalando a tutti dei diplomi e delle lauree frutto di un insegnamento dequalificato e superficiale – e quindi inutile –, i “riformatori” all’opera in questi anni stanno confermando in realtà la sostanza vecchia e classista dei loro progetti, la quale si esprime anche nella Società dello spettacolo diventata la Società dell’ignoranza. Un’ignoranza che non sa di esserlo o che persino si vanta di esserlo. Molte persone ritengono infatti del tutto normale rinunciare ai fondamenti del pensiero argomentativo, quello che cerca di dimostrare ciò che si afferma, a favore di una esposizione fondata sul sentito dire delle piattaforme digitali, sul principio di autorità, su impressionismi psicologici, su ricatti sentimentali volti a emotivizzare le decisioni e le azioni, invece di razionalizzarle, su una comunicazione aggressiva, sull’omologazione pervasiva e schiavile del politicamente corretto. Anche e soprattutto in questo consiste la dissoluzione della scuola e dell’università» (Ždanov, p. 103).

«Tutto ciò che negli ultimi millenni abbiamo considerato come cultura scompare dalla mente della maggioranza dei contemporanei, si dilegua senza neppure fare rumore: che sia il senso della ricchezza della lingua e la sua conoscenza o la capacità di coltivare la dimensione teorica e non immediatamente riducibile alla sua pratica utilizzazione; che sia l’articolata e raffinata capacità di concettualizzare ciò che ci accade o di storicizzare ciò che vediamo vagliandolo.

Basterebbe ridare a questi professori spazio per fare, togliere loro le mansioni inutili, non pensare a loro come impiegati da controllare. Basterebbe fare della scuola luogo di pensiero, discussione, ricerca e non l’ennesimo ramo di un capitalismo della vigilanza che si fa sempre più grottesco. […] Se seguiamo questo filo (quello della comunità intellettuale riunita per la crescita delle nuove generazioni) molte cose oggi appaiono deliranti, superflue, nocive e molti elementi appaiono mancanti»
(La congiura degli ignoranti, p. 25 e pp. 93-94).

Emergenze

Il Prontuario per le emergenze ad uso dei governanti a firma di Davide Miccione, pubblicato su Aldous il 13 marzo 2025, è un testo che coniuga implacabilità logica, realismo politico, ironia espressiva.
Lo riporto qui integralmente poiché condivido per intero l’analisi che da esso emerge del nostro tempo, della sua sostanziale natura servile, la quale rende molte persone semplicemente incapaci di vedere ciò che accade.

Testo sul sito della rivista
Pdf del testo

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Quella venuta meglio resta il covid, senza alcun dubbio. Quella venuta peggio la guerra Israele-Palestina. Ancora più improbabile sembra la chiamata al riarmo immediato europeo. In mezzo abbiamo il patriarcato, l’omofobia, la guerra russo-ucraina, l’immigrazione, l’apocalisse climatica, il ritorno del fascismo. La velocità di sostituzione delle emergenze segue la crescente velocità di sostituzione delle merci, però funziona sempre peggio. Ogni sostituzione di emergenza si fa disvelamento progressivo per qualcuno e, sebbene alcuni di loro finiscano poi prigionieri di fantasiose e altrettanto dogmatiche contronarrazioni, il lavoro di convincimento delle masse sembra farsi sempre più faticoso per quel povero clero intellettuale (giornalisti, showrunner, sceneggiatori, romanzieri light, ghost writers dei politici ecc) cui è demandato tutto il peso delle narrazioni sul mondo.

Da aspiranti “emergenzologi” vorremmo provare a fare un po’ di chiarezza sui prerequisiti necessari per una buona emergenza anche ad uso dei sempre più stanchi governanti. In verità l’asset di potere su cui quasi tutte le costruzioni delle emergenze si sono basate appare in via di disarticolazione e il nuovo potere ascendente sembra voler sostituire la costruzione delle emergenze facendosi emergenza esso stesso. Trump sembra dire: posso fare di tutto, non ho limiti, sono imprevedibile: “l’emergenza c’est moi”. Quest’ultimo passaggio spiazza la nascente scienza dell’emergenzologia che avrà bisogno di più tempo per processare questi ultimi eventi ma vi è comunque la certezza che il vecchio sistema tradizionale di costruzione delle emergenze che ha i suoi prodromi in Italia già con l’entrata nell’Euro (l’emergenza di un treno che non poteva essere perso) e ancor prima in tangentopoli (l’emergenza corruzione) e nella strategia della tensione e che tante soddisfazioni ha dato nell’esercizio del potere, non verrà messo né del tutto né per molto in cantina.

Ecco dunque il prontuario per una buona emergenza. In primis l’emergenza deve essere vera. Ci deve essere davvero un virus, una guerra, dei morti, un cambiamento climatico, un atroce atto terroristico eccetera. Non bisogna farsi prendere dalla hybris e costruire sul nulla, sebbene in alcuni casi (l’emergenza antrace irakeno) anche la “fake emergenza” possa funzionare in assenza di significativi gruppi simpatizzanti con la controparte. Se però l’emergenza è vera in che senso parlare di emergenza e non della “cosa” stessa che ci impone la sua realtà? Per rispondere vanno analizzati con cura i parametri.

In primo luogo l’emergenza è caratterizzata dall’essere in parte causata, nel suo reale rischio collettivo, da quelle stesse forze che la sbandierano come ragione sociale del proprio intervento politico. Così, ad esempio, in quella riuscita meglio, una classe politica che aveva disinvestito sugli ospedali e le terapie intensive ci spiegava che ogni disposizione di legge era permessa perché in caso contrario i posti in ospedale non sarebbero stati sufficienti oppure, in altre emergenze, una classe politica che non ha investito nel welfare, nella scuola e nel controllo del territorio lancia l’emergenza della mancata integrazione degli immigrati. O ancora, una classe imprenditoriale malata di sviluppismo e vissuta sul consumismo scopre il tema dell’inquinamento e dell’ambiente.

In secondo luogo, oltre ad aver parte nel rendere l’emergenza più grave di quanto sarebbe potuta essere a causa di scelte precedenti, chi la cavalca ne acuisce gli effetti anche in atto. Ad esempio, nella nostra best practice di studio, lo fa impedendo alla medicina di prossimità di intervenire (i medici non visitino i malati!) o evitando siano prescritti farmaci adeguati e sostituendoli con vigili attese.

E poi necessario bloccare la linea temporale. Ogni buona emergenza nasce dall’istituzione di un limite temporale di partenza che non può essere violato senza incappare nella stigmatizzazione sociale. La guerra russa-ucraina va pensata dal 24 febbraio 2022 e non prima, l’attacco israeliano a Gaza dal 7 ottobre 2023. Il clima va analizzato senza andare troppo indietro nei secoli, il covid non ha predecessori e, senza vaccino, è un ufo contro cui si può solo fare vigile attesa eliminando anche la vecchia priorità dell’immunità naturale. Ancora, i dati sui delitti degli anni passati sulle donne non esistono eccetera.

L’emergenza va ritagliata anche nella sua possibilità di pensarla. Si esprime solo in un modo e si può lottare in essa solo in un modo. Dunque solo la Co2 conta per l’emergenza clima (le decine di altre questioni, ad esempio il consumo di suolo, diventano improvvisamente irrilevanti), solo l’immunizzazione dal covid conta (e, qualsiasi altra patologia le scelte politiche anticovid facciano aumentare, è fuori dal cono di luce dell’emergenza e quindi trascurabile); solo i morti israeliani, solo l’autonomia ucraina vale ma non quella dei russofoni ucraini, e così via. L’emergenzialismo, come Figaro, canticchia perennemente “uno alla volta, uno alla volta per carità”.

Un buon consiglio per una buona emergenza è di non far coincidere i cattivi della vicenda con una minoranza organizzata (errore fatto con i pro-palestinesi) ma di ritagliarla nella carne viva della società, tra gente che non sa ancora di essere il chiodo che sporge. Inquinatori con l’Hammer in garage e tizi che coltivano bio, se non hanno avuto fede nel verbo emergenziale climatico, si sono trovati incasellati nella medesima casella del negazionismo. Fascisti, comunisti, liberali, conservatori e progressisti, se hanno visto con perplessità le politiche pandemiche, si sono ritrovati nella casella dei no vax e cosi via.  L’emergenza infatti va fatta coincidere, dopo averla ritagliata tematicamente e temporalmente, con il bene assoluto e tanto colui che non crede, quanto colui che non ritiene sia perimetrabile come ha deciso la macchina informativa, quanto infine colui che pensa di risolverla diversamente, si trovano allocati nel male e vengono costituiti dall’esterno e omogeneizzati come una specifica classe di malvagi in quanto avversari del bene. La specificità del sistema è quella di accorpare posizioni diverse e definibili solo ex contrario dalla mancata adesione alla “brutta novella” causando una orribile stenosi del pensiero e del principio di realtà. Diventano così putiniani tanto coloro che apprezzano Putin quanto chi non l’apprezza ma ne capisce le ragioni e perfino chi non l’apprezza, non ne capisce le ragioni ma ritiene che si debba cercare la pace. Diventa antisemita sia chi odia gli ebrei e sia chi ama gli ebrei ma pensa che gli israeliani stiano esagerando. Diventa no vax sia chi teme tutti i vaccini, sia chi teme i soli vaccini anticovid e persino chi (ho conosciuto personalmente un caso) stando all’estero ha fatto senza problema i vaccini anticovid tradizionali (cinesi o cubani ad esempio) ma tornando in Europa non era disposto a fare quelli a mRNA.

Una lettura totalitaria del mondo è dunque strutturale al sistema emergenza. A fronte di questa, la barbarie della verità che ci mostra l’amministrazione Trump, così chiara nel mostrare i rapporti di forza e la solita natura predatoria umana squadernata in bella vista, appare come l’ultima tappa di un progressivo disvelamento del reale che il ventunesimo secolo ci sta regalando. Che poi le masse sappiano approfittare di questa opportunità di comprensione è un altro discorso.

Confessioni di un malandrino

Confessioni di un malandrino
Angelo Branduardi
(Da La Luna, 1975)

Исповедь хулигана, Confessioni di un teppista è il titolo della poesia che Sergéj Aleksándrovič Esénin scrisse nel 1920 e che Branduardi adattò dalla bella traduzione in italiano di Renato Poggioli. Ogni verso del poeta russo è intessuto di memoria, di metafore, di malinconia e di serenità. Si tratta di una composizione potente nel dire l’esistenza e il suo fluire.

Mi piace spettinato camminare
col capo sulle spalle come un lume,
così mi diverto a rischiarare
il vostro autunno senza piume.

Mi piace che mi grandini sul viso
la fitta sassaiola dell’ingiuria.
Mi agguanto solo per sentirmi vivo
al guscio della mia capigliatura.

Ed in mente mi torna quello stagno
che le canne e il muschio hanno sommerso
ed i miei che non sanno di avere
un figlio che compone versi.

Ma mi vogliono bene come ai campi
alla pelle, ed alla pioggia di stagione.
Raro sarà che chi mi offende scampi
dalle punte del forcone.

Poveri genitori contadini
certo siete invecchiati e ancor temete
il signore del cielo e gli acquitrini,
genitori che mai non capirete
che oggi il vostro figliolo è diventato
il primo tra i poeti del paese,
ed ora in scarpe verniciate
e col cilindro in testa egli cammina.

Ma sopravvive in lui la frenesia
di un vecchio mariuolo di campagna,
e ad ogni insegna di macelleria
alla vacca s’inchina, sua compagna.

E quando incontra un vetturino
gli torna in mente il suo concio natale.
E vorrebbe la coda del ronzino
regger come strascico nuziale.

Voglio bene alla Patria,
benché afflitta di tronchi rugginosi;
m’è caro il grugno sporco dei suini
e i rospi all’ombra sospirosi.

Son malato d’infanzia e di ricordi
e di freschi crepuscoli d’aprile,
sembra quasi che l’acero si curvi
per riscaldarsi e poi dormire.

Dal nido di quell’albero le uova
per rubare salivo fino in cima,
ma sarà la sua chioma sempre nuova
e dura la sua scorza come prima;
e tu mio caro amico vecchio cane
fioco e cieco ti ha reso la vecchiaia,
e giri a coda bassa nel cortile,
ignaro delle porte dei granai.

Mi son cari i miei furti di monello
quando rubavo in casa un po’ di pane,
e si mangiava come due fratelli,
una briciola l’uomo ed una il cane.

Io non sono cambiato,
il cuore ed i pensieri son gli stessi
sul tappeto magnifico dei versi
voglio dirvi qualcosa che vi tocchi.

Buona notte! La falce della luna,
sì cheta mentre l’aria si fa bruna
Dalla finestra mia voglio gridare
contro il disco della luna.

La notte è così tersa,
qui forse anche morire non fa male.
Che importa se il mio spirito è perverso
e dal mio dorso penzola un fanale.

O Pegaso decrepito e bonario
il tuo galoppo è ora senza scopo.
Giunsi come un maestro solitario
e non canto e non celebro che i topi.
Dalla mia testa come uva matura
gocciola il folle vino delle chiome…
Voglio essere una gialla velatura
gonfia verso un paese senza nome.

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A nove/dieci anni tornavo da scuola – nessuno ci accompagnava, nessuno veniva a prelevarci, eravamo bambini liberi – ed ebbi un litigio con un coetaneo vicino di casa. La zuffa fu violenta, non ricordo chi prevalse ma rammento in modo netto che rivolgendomi al collega gridai: «Ti distruggo!» e giù botte.
Poi nei pomeriggi con lo stesso bambino e con altri giocavamo a calcio nella ruga, evidente francesismo per dire ‘via, strada’. Una strada in pendenza ma il pallone andava lo stesso su e giù dalle nostre gambe. Non passavano quasi mai, ovviamente, delle automobili. Più frequenti erano i contadini che tornavano in paese a dorso della besta, del loro mulo.
Ed era tra di noi un pullulare di altre attività, giochi, avventure, anche lontani dal quartiere; lungo le strade, nelle piazzette, nei crocicchi.
Autonomi, fisici, sociali. Questa è la condizione affinché un cucciolo di umano cresca. È triste vedere persone che oggi hanno nove-dieci anni stare sempre sotto la protezione della mamma, attaccati ai cellulari, sostanzialmente alienati. Ed è invece una gioia avere avuto la fortuna di crescere come un piccolo malandrino. Ciò che sono lo devo in gran parte a quegli anni di aggressività, di comunanza, di libertà.

Pneuma

Al di là della speranza, per il respiro
Laboratorio dell’ISPF [Istituto per la Storia del pensiero filosofico e scientifico moderno] Rivista elettronica di testi, saggi e strumenti
XXI [14], dicembre 2024
Pagine 1-8

ABSTRACT
Beyond hope, for breath. One of the effects of political and economic liberalism – in Italy and generally in the Anglo-Saxon dominated West – is a classist educational system, in which obtaining diplomas and degrees becomes increasingly easy, triggering an inflationary dynamic that in turn results in social inequality and cultural ignorance. A recent book by Davide Miccione, La congiura degli ignoranti. Note sulla distruzione della cultura, shows in a clear, dramatic, and vivid way the roots of this catastrophe of knowledge and the conditions and ways still possible to stop it. 

SOMMARIO
Uno degli effetti del liberalismo politico e del liberismo economico – in Italia e in generale nell’Occidente a dominio anglosassone – è un sistema formativo classista, nel quale l’ottenimento di diplomi e lauree diventa sempre più facile innescando una dinamica inflattiva che a sua volta ha come effetto l’iniquità sociale e l’ignoranza culturale. Un recente volume di Davide Miccione, La congiura degli ignoranti. Note sulla distruzione della cultura, mostra in modo limpido, drammatico e vivace le radici di questa catastrofe della conoscenza e le condizioni e i modi ancora possibili per fermarla. 

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