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Ripetizioni

In Another Country
di Hong Sang-soo
Corea del Sud, 2012
Con: Isabelle Huppert (Anne), Kwon Hye Hyo, Moon Sung-keun, Jung Yu-mi
Trailer del film

Nell’incipit del I capitolo del 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, Marx ricorda la tesi hegeliana per la quale «alle großen weltgeschichtlichen Tatsachen und Personen sich sozusagen zweimal ereignen» -tutti i grandi eventi e personaggi della storia accadono per così dire due volte- e osserva però che Hegel «hat vergessen, hinzuzufügen: das eine Mal als Tragödie, das andere Mal als Farce» -ha dimenticato di aggiungere che si presentano la prima volta in forma di tragedia, la seconda come farsa.
I piccoli e privati eventi della vita di Anne accadono invece più di due volte, sempre nello stesso luogo -Mohang, località di mare in Sud Corea- con gli stessi personaggi -la giovane albergatrice, una coppia con lei incinta, un bagnino- ma in combinazioni ogni volta differenti, un po’ sentimentali, un po’ surreali, un po’ ironiche.
Con i suoi vestitini francesi, con la sua grazia sensuale, con la sua recitazione spontanea da bambina esigente e maliziosa, alla ricerca di un faro e accompagnata dal gentile desiderio di un bagnino, Isabelle Huppert regge un film modesto ma capace di mostrare che se riusciamo a prendere sul serio la vita è anche e specialmente perché i suoi eventi ci appaiono unici e irripetibili. Appena essi si ripresentano, infatti, la loro insignificanza emerge con chiarezza. Come dire: «Tutto qui?»
La patetica miseria della vita è narrata da Hong Sang-soo con una precisa scelta stilistica: un costante uso del campo medio, interrotto periodicamente da alcuni zoom che però non diventano mai dei primi piani. Si crea in questo modo la necessaria distanza che dà senso e interesse alla tragedia, alla farsa, al dramma d’esserci.

Jenseits von Gut und Böse

Elle
di  Paul Verhoeven
Francia, 2016
Con: Isabelle Huppert (Michelle), Laurent Lafitte (Patrick), Christian Berkel (Robert), Anne Consigny (Anne), Charles Berling (Richard), Virginie Efira (Rebecca)
Trailer del film

Sùbito. Michelle viene aggredita sùbito nella sua bella casa parigina. Un uomo con il volto coperto la violenta, si asciuga e se ne va. Lei si lava e continua la sua vita. Non lo denuncia; ha avuto troppo a che fare con poliziotti e giudici da quando aveva dieci anni e il padre commise una strage nel proprio quartiere. Ora lei è un’affermata e abile dirigente d’azienda, che tratta i propri collaboratori, la madre, l’ex marito, l’amante, le amiche, il figlio, con la stessa ruvida determinazione. Lei cerca di non perdere le occasioni di soddisfazione e di piacere che la vita offre. E reagisce agli eventi con l’istintiva determinazione di un animale non umano. Sino a uscirne quasi sempre serena.
È così che bisogna vivere. Così, in un egoismo immediato ed esplicito. Così, concentrati su di sé. Così, responsabili davanti a se stessi di ciò che si fa e che si pensa. Così, prendendo le persone e poi lasciandole al loro destino. Così, rispondendo con violenza alla violenza delle circostanze. Così, augurando ai nemici sciagura e cogliendo la vendetta come frutto succoso. Così, sorridendo al dolore e diventando di cristallo davanti alla morte. Così, per non soffrire. Forse.
Paul Verhoeven costruisce un’allegoria sull’imbroglio della virtù, sull’inganno della morale. Lo fa in un film che nella costanza della vicenda cambia direzione a ogni svolta. Imprevedibile e innocente. Come elle.

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