Skip to content


Heidegger, la fenomenologia

Martin Heidegger
I problemi fondamentali della fenomenologia
(Die Grundprobleme der Phänomenologie [1927], Vittorio Klostermann Verlag 1975)
A cura di Friedrich-Wilhelm von Hermann
Edizione italiana a cura di Adriano Fabris
Introduzione di Carlo Angelino
Il melangolo, 1999
Pagine XIII-332

Nel semestre estivo del 1927 Heidegger tenne a Marburgo un corso che costituisce in realtà la progettata terza sezione della prima parte di Sein und Zeit. Quasi cinquant’anni dopo il filosofo scelse questo corso come primo volume della propria Gesamtausgabe. Si tratta di un dato non solo storico-filologico ma anche profondamente teoretico. In queste lezioni, infatti, le tematiche fondamentali della «ontologia universale e fenomenologica» – così viene definita la filosofia in Sein und Zeit – vengono riprese, storicamente collocate, approfondite e rinnovate, in uno sforzo concettuale veramente intenso.
Fenomenologia è qui non una particolare filosofia ma il filosofare stesso, non al modo di una propedeutica agli altri saperi ma in quanto metodo della “filosofia scientifica” e cioè, per Heidegger, dell’ontologia. Nella prima delle cinque lezioni su L’idea della fenomenologia (1907) anche Husserl aveva scritto che «fenomenologia: ciò significa una scienza, un insieme coerente di discipline scientifiche; fenomenologia significa però al tempo stesso, e soprattutto, un metodo e un atteggiamento di pensiero: l’atteggiamento di pensiero, il metodo, specificatamente filosofici». Una filosofia quindi rigorosa, contrapposta sia al “sano intelletto comune”, all’apprendimento passivo e non tematizzato dell’esperienza e delle cose, sia al primato delle scienze positive, della magia che non argomenta, delle semplici visioni del mondo.
Una filosofia intessuta di domande, di un interrogare che per Heidegger  è «lotta con le cose al servizio delle cose» (§ 22, p. 315). Con chiarezza: «l’essere è l’autentico e unico tema della filosofia» (§ 3, p. 10) e la riduzione fenomenologica diventa lo sguardo che sia in grado di cogliere la differenza ontologica, che sia capace di partire dagli enti ma di porli poi tra parentesi nell’epoché per arrivare infine a comprendere l’essere.
I problemi fondamentali della fenomenologia appaiono quindi nella loro chiarezza e sono:
l’intenzionalità;
la distinzione fra sussistere ed esistere;
la differenza fra realtà ed effettualità;
lo statuto della verità;
la temporalità;
la luce.

L’intenzionalità è uno degli atteggiamenti chiave della fenomenologia husserliana. Mentre la Scolastica applicava l’intentio quasi esclusivamente alla volizione, Brentano e la fenomenologia ne fanno il perno di ogni atteggiamento del soggetto vivente, proprio perché l’intenzionalità non viene dagli oggetti ma è costitutiva della stessa soggettività, tanto che «uno dei caratteri che distinguono l’esistente dal sussistente è proprio l’intenzionalità» (§ 9, p. 59).
Gli enti sussistono, sono intramondani, stanno là e basta; l’esserci umano invece esiste nel mondo come luogo nel quale il mondo stesso diventa consapevole di sé.
Effettualità è lo stare qui e ora, l’avere una struttura percepibile coi sensi, l’essere e risolversi nella dimensione empirica. La realtà è evidentemente un cerchio assai più vasto e comprende le astrazioni della mente, i sentimenti, l’essere stato, le potenzialità d’esserci nel futuro.
La realtà è più ampia dell’effettualità perché è intrisa di tempo. Il tempo pensato e non soltanto vissuto si chiama temporalità. La comprensione dell’essere – l’ontologia – è quindi un discorso sul tempo, che deve partire dalla ulteriore distinzione fra la temporalità dell’esserci umano (Zeitlichkeit) e la Temporalità dell’essere (Temporalität). La prima si fonda sulla seconda e questo fa sì che l’esserci umano sia un esistere consapevole della propria costitutiva temporalità e quindi della propria finitudine all’interno del più ampio cerchio dell’essere che lo trascende ma che senza l’esserci non si darebbe proprio perché è nell’esserci umano che il tempo si autocomprende, diventando appunto da tempo temporalità. L’esserci umano è finito, ricettivo e non creatore di enti e tale finitezza si completa e si riscatta nella capacità che ci caratterizza di creare il tempo. Il tempo è, infatti, la tela che l’umano fila e che getta sulla struttura cieca della materia dandole così significato: «l’esserci è intenzionale solo perché è determinato nella sua essenza dalla temporalità» (§ 19, p. 256).
L’intenzionalità è il costante volgersi dell’esserci al futuro, sul fondamento del tempo passato, allo scopo di comprendere ed essere il presente. L’unità di avvenire-essente stato-presentante è la Zeitlichkeit. Comprendere è una nostra dimensione costitutiva ed è solo sulla base del tempo che noi possiamo comprendere qualcosa come l’essere. La Zeitlichkeit è quindi l’umana cura verso il tempo, a partire dalla quale si dà Temporalität, comprensione dell’essere stesso.
Il tempo non è oggettivo né soggettivo. Simili distinzioni sono possibili solo quando l’unità originaria fra uomo e mondo, esserci ed essere, sia stata infranta. Aristotele, al quale dobbiamo il nostro modo fondamentale di intendere il tempo, attribuisce alla ψυχή numerante la creazione del tempo e tuttavia aggiunge che esso non rimane un fenomeno soltanto psichico. Il tempo è, infatti, ovunque: sulla terra, sul mare, nel cielo. «Il tempo è ovunque e in nessun luogo e solamente nell’anima» (§ 19, p. 243).
Il succedersi degli ora non consiste in un accumularsi lineare di entità nello spazio ma costituisce la dimensione dinamica del divenire che può toccare così a fondo le cose perché esse di tempo sono intrise. Un tempo che è la loro unica possibilità e insieme il loro limite. Ed è questo a rendere costitutivamente finito ogni ente «κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν; secondo il decreto del Tempo» (Anassimandro). 

La finitudine che meglio conosciamo è quella della quale noi stessi siamo intrisi ed è per questo che l’analitica esistenziale – l’analisi che l’esserci conduce su se stesso – è la via più diretta per la comprensione dell’essere al di là di ciò che noi stessi siamo, «l’essere noi lo comprendiamo perciò a partire dall’originario schema orizzontale delle estasi della temporalità (Zeitlichkeit)» (§ 21, p. 294). È quindi il tempo l’orizzonte trascendentale dell’ontologia e della filosofia. È il tempo che intesse di sé tutto e solo comprendendo il quale potremo sperare di cogliere la verità, che è appunto ἀλήθεια, il trarre fuori dal nascondimento, il disvelare la struttura implicita e profonda delle cose.
L’esserci umano è in grado di operare tale disvelamento perché al disvelare è sempre intenzionato. Ma tale intenzionalità presuppone la specifica trascendenza dell’esserci rispetto al semplice stare, sussistere, subire il tempo. La verità è possibile per noi proprio perché non subiamo il tempo ma lo siamo, tanto che la verità delle cose ci si manifesta solo quando torniamo a noi stessi, solo quando facciamo ancora una volta nostro l’invito delfico e socratico. 

Un invito che Platone praticò a tal punto da fondare l’autocomprensione dell’Europa e da determinarla ancora. È proprio vero che «solo l’epoca moderna, soddisfatta di se stessa e precipitata nella barbarie, può voler far credere che Platone, come si sente dire con compiacimento, sia ormai liquidato» (§ 14, p. 106).
Sulla questione cardine del pensiero, pensare l’essere, la filosofia non è andata oltre Platone e «in fondo il suo desiderio più proprio non è tanto quello di andare avanti, lontano da sé, ma piuttosto è quello di pervenire a se stessa […] verso quella luce a partire dalla quale e nella quale l’essere stesso giunge nel chiarore di una comprensione» (§ 20, pp. 270-271).
Luce è uno degli estremi plessi lessicali e concettuali con cui Heidegger ha cercato di comprendere l’unità di essere e tempo. Come Platone, infatti,

anche noi, con la domanda apparentemente così astratta sulla condizione di possibilità della comprensione dell’essere, non vogliamo nient’altro che uscir fuori dalla caverna nella luce, ma in tutta la sobrietà e nel pieno disincanto di un interrogare puramente rivolto verso le cose (§ 20, p. 273).

Rivolgersi alle cose è ciò che noi chiamiamo fenomenologia. Tale sguardo fenomenologico ci svela che essere e tempo significa che l’essere è tempo. 

Heidegger, la guerra

Heidegger nacque in trincea
Recensione a:
Pierandrea Amato
Trincee della filosofia. Heidegger e la Grande guerra
Mimesis 2022, pagine 130
in Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee
6 novembre 2022 / pagine 1-4

Se la guerra accompagna da sempre la specie umana, se essa rappresenta di fatto il basso continuo della storia, che fa da sfondo a tutti gli eventi, la Grande guerra è altro. A un secolo dal suo compiersi, essa costituisce non soltanto lo spartiacque che ha irreversibilmente mutato la vita dell’Europa e quindi del mondo, non è stata soltanto una cesura evidente e netta; quel conflitto rimane ancora sostanzialmente un enigma, una forma dell’arcano che a volte investe gli umani.
La tesi di Pierandrea Amato è che gran parte del pensiero heideggeriano, e certamente Essere e tempo, sia inconcepibile al di fuori del disvelamento che la Grande guerra è stata e ha rappresentato.
La potenza teoretica e prassica della filosofia heideggeriana consiste in gran parte nel superamento che in essa si attua di ogni prospettiva etica, di ogni paradigma umanistico, di ogni illusione antropocentrica. Elementi il cui lato oscuro è diventato evidente in modo persino lancinante durante gli anni dal 1914 al 1918. Dopo quell’esperienza indicibile e inspiegabile, l’umanesimo ha mostrato la sua natura allucinatoria e astratta rivelando la tendenza distopica che lo muove.
Il libro di Amato getta una vivida luce  sulla genesi di una filosofia radicale e feconda.

Heidegger, l’ala sinistra

Il mio debito verso questo filosofo, la mia riconoscenza, datano da quando sedicenne lessi la notizia della sua morte e forse per la prima volta sentii l’espressione Essere e tempo, titolo di un libro labirintico e posto sull’oltre della vita. Di questo libro e del suo autore ci parlava Eugenio Mazzarella nei corsi di Filosofia teoretica a Catania. La vocazione per la filosofia aveva trovato un nome pari a quelli di Platone e di Spinoza.
In occasione degli ottant’anni di Heidegger, Hannah Arendt pronunciò alcune semplici parole che descrivono perfettamente quest’uomo e la sua opera: «C’era uno che faceva davvero le cose che Husserl aveva proclamato, uno che sapeva che non si trattava di faccende accademiche, ma delle domande degli uomini che pensano, e non soltanto da ieri o da oggi ma da sempre […] La fama lo diceva in modo semplicissimo: il pensiero ha ripreso a vivere […] C’è uno che insegna, forse è possibile imparare a pensare» (Essere e tempo, trad. di A. Marini, Meridiani Mondadori, 2006, pp. CXIV-CXV).
E anche imparare ad apprezzare il calcio. Non molti sanno che Martin Heidegger nutriva una «inalterabile passione per il calcio. Che divenne anche militanza attiva nel periodo adolescenziale, tra le fila della squadra del Meßkirch, ricoprendo il ruolo di ala sinistra. Ma ancor più sorprenderà leggere dell’ammirazione senza riserve che Heidegger celebra per uno dei maggiori difensori-mediani della storia del calcio: Franz Beckenbauer, idolo di Germania a partire dagli anni ’60, conquistatore di trofei e trionfi nazionali e internazionali. Lo sguardo del filosofo si illumina appena quel nome viene pronunciato, cui fanno seguito precise argomentazioni: intelligenza della posizione in campo, abilità suprema nel presagire e ostacolare l’attacco dell’avversario, autorevolezza della funzione di raccordo nel centro del campo e, non da ultima, la precisione del rilancio, che in numerose occasioni offre alla propria compagine d’attacco l’occasione di andare in goal.
Senza parole, probabilmente, rimarranno i legionari e gli appassionati del pensiero del Maestro, assicura Fédier, quando leggeranno che per il talento di Beckenbauer egli arrivò a pronunciare un aggettivo che raramente o forse mai era affiorato sulle sue labbra: “geniale”».
(Fonte: Carlo Rafele, Il filosofo e il calciatore Per una tregua del caso Heideggerrighe finali del testo)
Un’interessante testimonianza lo conferma:
«Heidegger by then was a venerable old gentleman, and his former brusqueness and severity had mellowed with the years. He would go to a neighbor’s house to watch European Cup matches on television. During the legendary match between Hamburg and Barcelona, he knocked a teacup over in his excitement. The then director of the Freiburg theater met Heidegger on a train one day and tried to conduct a conversation with him on literature and the stage. He did not succeed however, because Heidegger still under the impact of an international soccer match, preferred to talk about Franz Beckenbauer. He was full of admiration for this player’s delicate ball control – and actually tried to demonstrate some of Beckenbauer’s finesses to his astonished interlocutor. He called Beckenbauer an “inspired player” and praised his “invulnerability” in duels on the field».
[Fonte: Heidegger and Beckenbauer]
Quando leggo le pagine di Heidegger si accresce il desiderio di decifrare la realtà e anche di segnare un gol, come mi accadde una volta a quattordici anni nel campetto dei Cappuccini di Bronte: una ‘rovesciata’ in piena area che lasciò di stucco il portiere avversario e fu per la mia squadra ragione di festa.

Ontocronia

Jean Greisch
ONTOLOGIE ET TEMPORALITÉ
Esquisse d’une interprétation intégrale de
Sein und Zeit

Presses Universitaires de France, 2004
Pagine VI-522

Sein und Zeit è una costruzione imponente, le cui fondamenta poggiano sul cantiere fenomenologico che Heidegger tenne aperto dal 1919 al 1928, in particolare sui corsi tenuti a Marburgo. Se dal 1928 il termine ‘fenomenologia’ viene progressivamente sostituto nel titolo dei corsi da quello di ‘metafisica’, questo conferma sia la pervasività dell’impianto fenomenologico di Essere e tempo sia la relazione profonda che nel pensare di Heidegger la fenomenologia intrattiene con la metafisica. Heidegger affermò che «die Augen hat mir Husserl eingesetzt»1Ciò che Heidegger vide andò poi oltre quanto Husserl pensava esistesse ma il suo sguardo rimase sempre il vedere di un fenomenologo.
Fenomeno è per Heidegger una struttura duplice: esso è il mostrarsi di ciò che è così come è e come appare, ma può essere anche apparenza che si dispiega. Che il vedere possa diventare illusione è una possibilità che affonda nel fenomeno come struttura rivelativa, nel fenomeno come forma della verità. A questo impianto fenomenologico Sein und Zeit deve quasi tutto.
La questione dell’essere come differenza tra il concetto volgare dell’ente e quello fenomenologico di essere dell’ente, scaturisce dalla riduzione fenomenologica husserliana e dalla possibilità a essa correlata di un’intuizione categoriale delle essenze.
Il visto, il percepito -e dunque ancora il fenomeno- non si lascia descrivere (né in Husserl né in Heidegger) come qualcosa di semplicemente obiettivo, che ‘sta lì’ e viene riflesso nella e dalla mente. No, il percepito è sempre costruito, è una struttura semantica che Husserl definisce fenomeno e Heidegger chiama Ereignis, evento appropriante.

Husserl e Heidegger rifiutano entrambi di ricondurre e ridurre la filosofia a un’antropologia e a un’etica.  L’efficace sintesi che Greisch formula di tale rifiuto potrebbe ben valere anche per Husserl: «Le refus intransigeant de confondre la philosophie avec une vision du monde, et pourtant, le rejet de toute conception qui ferait du philosophe un gourou qui se sentirait investi d’une mission de direction spirituelle. On notera toutefois que la proposition ne vise pas seulement les visions du monde religieuses ou non religieuses, mais qu’elle comporte un autre aspect remarquable : l’analytique existentiale n’a rien d’un ‘discours de sagesse’, qu’il s’agisse des sagesses traditionnelles préphilosophiques, véhiculées par le Tao te king ou par le livre de la Sagesse biblique, ou d’une sagesse encore à venir, qu’il appartiendrait à une métaphysique future de promouvoir»2Come il Bene platonico non ha nulla a che vedere con qualunque concetto moderno, cristiano e kantiano di ‘valore’ ma è piuttosto la scaturigine, il fine ultimo e il senso di tutto ciò che è -l’essere e l’al di là dell’essere-, così in generale la filosofia è comprensione di ciò che è come esso è, prima e al di là di qualunque giudizio morale o visione del mondo.

Su questo atteggiamento e sostanza della vita filosofica Husserl e Heidegger concordano pienamente. Lo scarto si origina dallo sforzo heideggeriano di coniugare ciò che Husserl aveva separato: l’atemporalità dei significati logici e la prassi temporale della vita. I concetti fondamentali della ontocronia sono gli esistenziali dei quali discute Sein und Zeit. In particolare: la gettatezza come fatticità e immersione nel tessuto quotidiano degli affetti; l’angoscia come stare al mondo in quanto tale, non per ciò che si fa, dunque, ma per ciò che si è, per il fatto stesso d’esserci; da cui lo Schuldigsein, l’essere in debito/colpa; l’essere nel mondo come immersione totale, che mostra l’insensatezza della questione della ‘dimostrabilità’ di un mondo esterno e rende sterile ogni dualismo tra un ‘soggetto’ e un ‘oggetto’, i quali sono parte della medesima struttura ontologica; la trascendenza come modo di stare al mondo in quanto parte che non si limita a questo stare ma è intrisa di intenzionalità, vale a dire di futuro e quindi di tempo. L’intenzionalità della coscienza è infatti radicata nella temporalità estatica del Dasein, aperto al mondo e al tempo. Il tempo del mondo –Weltzeit– è dunque lo stesso tempo della coscienza –Ichzeit– in quanto entrambi sono espressione del tempo del Dasein che parte da e va verso l’In-der-Welt sein. Questo ‘verso’ (um-zu) è il movimento semantico dell’intenzionalità, un movimento fenomenologico, un movimento temporale, un movimento fattizio e prassico, il movimento in cui consiste la vita.
Vita che è esistenza del corpo, la cui mancata tematizzazione in Sein und Zeit è certo grave ma che Heidegger giustificò dicendo a Medard Boss -che gliene chiedeva conto- di ritenere la corporeità il tema più difficile da affrontare e per il quale nel 1927 non aveva ancora strumenti. Lo gnosticismo di Heidegger si declina dunque non come rifiuto dualistico della corporeità -nulla di simile è rintracciabile nella sua opera- ma come chiamata da parte dell’Essere alla pienezza del proprio conoscere e quindi del proprio consistere, nonostante la condizione di gettatezza che il venire al mondo comporta per ciascuno.
È anche qui che l’ontocronia mostra tutto il proprio tessuto metafisico, quello per cui la filosofia o è una scienza originaria che viene prima di ogni particolare sapere o non è; una scienza che si chiede, con  Leibniz, perché mai ci sia qualcosa piuttosto che il nulla; domanda spesso ripetuta da Heidegger, il quale nel seminario estivo del 1928 (dedicato appunto a Leibniz) afferma che la filosofia è la messa in atto centrale e totale dell’essenza metafisica dell’esistenza.
Già nel testo di abilitazione all’insegnamento (1915) Heidegger affermava che «die Philosophie kann ihre eigentliche Optik, die Metaphysik, auf die Dauer nicht entbehren»3.
Da quel testo a Essere e tempo, dagli altri libri fondamentali all’intervista postuma che sostiene come «soltanto un dio» ci possa salvare, «Heidegger ne cesse d’affirmer que le chantier de problèmes ouvert avec Sein und Zeit reste toujours nécessaire à titre de chemin, ce qui n’exclut pas, mais exige au contraire, des modifications considérables de la manière d’aborder les problèmes»4.

Note

1. «Husserl mi ha aperto gli occhi» (Ontologie. Hermeneutik der Faktizität, «Gesamtausgabe», Vittorio Klostermann, Franfurt am Main 1988, Band 63, p. 5).
2. «L’intransigente rifiuto di confondere la filosofia con una visione del mondo, e quindi il rifiuto di ogni concezione che farebbe del filosofo un guru che si sentisse investito di una missione di direzione spirituale. Va notato, tuttavia, che l’affermazione non si rivolge soltanto alle visioni del mondo religiose o non religiose, ma ha anche un altro notevole aspetto: l’analitica esistenziale non ha nulla a che fare con un “discorso di saggezza”, che si tratti delle tradizionali saggezze preteoretiche, trasmesse dal Tao te Ching o dalla saggezza biblica, o di una saggezza di là da venire, che sarebbe parte di una futura metafisica da promuovere» (J. Greisch, Ontologia e temporalità. Saggio di una interpretazione integrale di Sein und Zeit, p. 501).
3. «La filosofia non può rinunciare a lungo alla sua prospettiva più propria, cioè alla metafisica» (Die Kategorien- und Bedeutungslehre des Duns Scotus [La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto], «Gesamtausgabe», Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1978, Band 1, p. 406 [348]; il corsivo è di Heidegger).
4. «Heidegger afferma di continuo che il cantiere dei problemi aperti con Sein und Zeit è ancora indispensabile come cammino, ma questo non esclude -al contrario implica- delle importanti modificazioni nel modo di affrontare i problemi» (J. Greisch,  Ontologia e temporalità, p. 425).


 

La Cura

Who by Fire
di Leonard Cohen (1974)
Live In London (2009)

[audio:https://www.biuso.eu/wp-content/uploads/2018/08/Who-By-Fire-Live.mp3]

Versione video

And who by fire, who by water,
who in the sunshine, who in the night time,
who by high ordeal, who by common trial,
who in your merry merry month of may,
who by very slow decay,
and who shall I say is calling?

And who in her lonely slip, who by barbiturate,
who in these realms of love, who by something blunt,
and who by avalanche, who by powder,
who for his greed, who for his hunger,
and who shall I say is calling?

And who by brave assent, who by accident,
who in solitude, who in this mirror,
who by his lady’s command, who by his own hand,
who in mortal chains, who in power,
and who shall I say is calling?

Attraversando gli elementi -fire, water-; nelle ore più diverse -sunshine, night time-; chi in un allegro maggio e chi in un lento decadere; chi per un qualche decreto divino e chi per umana violenza; chi dando stoicamente il proprio assenso e chi senza nulla saperne; chi in catene e chi al potere; chi in solitudine e chi per amore. Tutti si muore.
Perché morire «è la possibilità della pura e semplice impossibilità d’esserci» (Heidegger, Essere e tempo, trad. di Alfredo Marini, Meridiani Mondadori, § 50, p. 709), una possibilità sempre certa e sempre indeterminata. L’umano non ha una fine «bensì esiste in modo finito» (§ 65, p. 927) ed è per questo che die Sorge, la Cura che sempre ci accompagna, è un essere per la morte.
I versi e la musica di Cohen ben esprimono il fatto che angoscia è lo stare al mondo in quanto tale. Nulla a che vedere con tristezze, depressioni o paure ma il semplice esistere e la sua complessità. «L’esserci fattizio esiste per nascita, e per nascita muore anche proprio nel senso dell’essere-alla morte. Entrambi i “capi” e il loro “trasono, finché l’esserci fattiziamente esiste, ed essi sono in quel modo che unicamente è possibile sulla base dell’essere dell’esserci come cura. Nascita e morte si “connettono”, nel modo che è proprio dell’esserci, nell’unità di dejezione e sfuggente o precorrente essere-alla-morte. In quanto cura, l’esserci è il “tra”» (§ 72, p. 1051).
Nella versione originale -a pagina 495 del volume 2 della Gesamtausgabe– il testo suona in modo meno freddo rispetto a questa traduzione: 

«Das faktische Dasein existiert gebürtig, und gebürtig stirbt es auch schon im Sinne des Seins zum Tode. Beide ‘Enden’ und ihr ‘Zwischen’ sind, solange das Dasein faktisch existiert, und sie sind, wie es auf dem Grunde des Seins des Daseins als Sorge einzig möglich ist. In der Einheit von Geworfenheit und flüchtigem, bzw. vorlaufendem Sein zum Tode ‘hängen’ Geburt und Tod daseinsmäßig ‘zusammen’. Als Sorge ist das Dasein das ‘Zwischen’».

Heidegger afferma infatti che l’essere gettati nel mondo e l’essere mortali costituiscono la profonda unità e tonalità dell’esistere; sono essi il ‘tra’ della Cura, dell’esistenza ‘fattizia’, quotidianamente immersa negli elementi, nel tempo, nei decreti del mondo, nel sapere e nell’ignorare, nella solitudine e nei «realms of love».
«Who shall I say is calling?» A chiamare è la Cura.

Lezioni 2018

Martedì 6 marzo avranno inizio le lezioni dei tre corsi che svolgerò nel 2018 nel Dipartimento di Scienze umanistiche di Unict.
Comunico qui i titoli dei corsi, l’articolazione dei programmi, i libri e i saggi che analizzeremo, gli orari delle lezioni. In quasi tutti i titoli ho inserito dei link che rinviano a informazioni, articoli e recensioni che potranno essere utili per lo studio. È anche possibile scaricare i pdf di tre dei testi in programma.
L’immagine qui sopra di Martin Heidegger si spiega con il fatto che i corsi di Filosofia teoretica e di Filosofia della mente sono in gran parte incentrati sul suo pensiero.

========================
FILOSOFIA TEORETICA
Corso triennale in Filosofia / aula A7 / lunedì 10-12; mercoledì e venerdì 12-14

LA REALTÀ COME LINGUAGGIO E INTERPRETAZIONE

Aa. Vv. Filosofie del linguaggio. Storie, autori, concetti, Carocci 2016
(capp. 1, 2, 3, 5, 6, 8, 9, 10, 12, 13, 14, 15)
Alberto Giovanni BiusoLa mente temporale. Corpo Mondo Artificio, Carocci 2009
(capp. 1 e 2, Una storia della mente – Il corpo dentro il mondo)
Martin Heidegger, Essere e tempo, Mondadori 2006, (§§ 31-34 e 68D)
Martin Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Mursia 2014 (capp. I, III, IV, VI)
Alberto Giovanni Biuso, «La lingua come dimora/mondo» (pdf)
Dario Generali, «Subalternità linguistica e disorientamento culturale del sistema formativo italiano nell’età dell’anglofonia globale» (pdf)
in Aa. Vv., L’idioma di quel dolce di Calliope labbro. Difesa della lingua e della cultura italiana nell’epoca dell’anglofonia globale, a cura di S. Colella, D. Generali e F. Minazzi, Mimesis 2017

========================
SOCIOLOGIA DELLA CULTURA
Corso triennale in Filosofia / aula A9 / martedì 12-14; giovedì 10-12

TARANTISMO E DIONISISMO NELLE CULTURE MEDITERRANEE

Rocco De Biasi, Che cos’è la Sociologia della cultura, Carocci 2008
Ernesto De Martino, La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, Il Saggiatore 2015
Károly Kerényi, Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, Adelphi 2010
(Premessa, Introduzione, Seconda parte)
Eugenio Bennato, Alla festa della Taranta e Ritmo di contrabbando da «Sponda Sud» (2007); L’anima persa da «Taranta Collection» (2010)
Alberto Giovanni Biuso, Dioniso e il suo mito (pdf) in Nuova Secondaria, XXIV/2, ottobre 2006
Si consiglia la lettura delle Baccanti di Euripide

========================
FILOSOFIA DELLA MENTE
Corso magistrale in Scienze filosofiche / aula A12 / lunedì 12-14; mercoledì e venerdì 10-12

VERITÀ

Alberto Giovanni Biuso, Dispositivi semantici. Introduzione fenomenologica alla filosofia della menteVillaggio Maori Editore 2008
Martin Heidegger, L’essenza della verità. Sul mito della caverna e sul ‘Teeteto’ di Platone, Adelphi 2009
Martin Heidegger, Seminari, Adelphi 2003
Alberto Giovanni Biuso, Temporalità e Differenza, Olschki 2013
========================

Programmi dell’anno accademico 2017-2018

Nello splendido luogo che vedete qui sopra in una sua parte, l’ingresso all’Auditorium, insegnerò nell’a.a. 2017-2018 Filosofia teoretica, Filosofia della mente e Sociologia della cultura.
Pubblico  i programmi che svolgerò, inserendo i link al sito del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania per tutte le altre (importanti) informazioni.

Filosofia teoretica
La realtà come linguaggio e interpretazione

Aa. Vv. Filosofie del linguaggio. Storie, autori, concetti, Carocci 2016
(capp. 1, 2, 3, 5, 6, 8, 9, 10, 12, 13, 14, 15)
Alberto Giovanni BiusoLa mente temporale. Corpo Mondo Artificio, Carocci 2009
(capp. 1 e 2, Una storia della mente – Il corpo dentro il mondo)
Martin Heidegger, Essere e tempo, Mondadori 2006
(§§ 31-34 e 68D)
Martin Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Mursia 2014
(capp. I, III, IV, VI)
Alberto Giovanni Biuso, «La lingua come dimora/mondo»
e Dario Generali «Subalternità linguistica e disorientamento culturale del sistema formativo italiano nell’età dell’anglofonia globale»
in Aa. Vv., L’idioma di quel dolce di Calliope labbro, a cura di D. Generali e altri, Mimesis 2017.

===========

Filosofia della mente
Verità

Alberto Giovanni Biuso, Dispositivi semantici. Introduzione fenomenologica alla filosofia della menteVillaggio Maori Editore 2008
Martin Heidegger, L’essenza della verità. Sul mito della caverna e sul ‘Teeteto’ di Platone, Adelphi 2009
Martin Heidegger, Seminari, Adelphi 2003
Alberto Giovanni Biuso, Temporalità e Differenza, Olschki 2013

===========

Sociologia della cultura
Tarantismo e Dionisismo nelle culture mediterranee

Rocco De Biasi, Che cos’è la Sociologia della cultura, Carocci 2008
Ernesto De Martino, La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, Il Saggiatore 2015
Károly Kerényi, Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, Adelphi 2010
(Premessa, Introduzione, Seconda parte)
Eugenio Bennato, Alla festa della Taranta e Ritmo di contrabbando da «Sponda Sud» (2007); L’anima persa, da «Taranta Collection» (2010)
Alberto Giovanni Biuso, «Dioniso e il suo mito», in Nuova Secondaria, XXIV/2, ottobre 2006
Si consiglia la lettura delle Baccanti di Euripide
Vai alla barra degli strumenti