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La festa immobile

«Una delle più importanti linee di sviluppo dell’arte contemporanea si orienterà verso il tema della radicale spersonalizzazione dell’artista e del suo volersi fare cosa, oggetto inanimato, meccanismo» scrive Giuseppe Frazzetto (Artista sovrano. L’arte contemporanea come festa e mobilitazione, Fausto Lupetti Editore, 2017, p. 68).
L’artista è padrone della sua festa e servo della mobilitazione dentro la quale soltanto la festa può esistere. «Il far niente in fin dei conti è una sospensione del tempo storico; se non una festa, un party. La vita è bellissima. Questo resta della promesse de bonheur? Un intricato fake d’un fake? […] L’artista sovrano è indistinguibile dai suoi innumerevoli doppi qualunque. […] La distinzione è prodotta solo dal fatto che il doppio qualunque dell’artista sovrano non è cooptato dall’apparato, che potrebbe però cooptarlo senza difficoltà di sorta. È così? Non c’è dubbio. Per ora. Finché dura il party generalizzato. La festa immobile dell’anti-arte, della spiritualizzazione banalizzata del far-niente estetico d’un inafferrabile ‘Io è un altro’, del trionfo dell’autofeticizzazione servo/sovrano» (p. 206).
Di questo e di molto altro parleremo al Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania giovedì 9 maggio 2019 alle 10,00, nell’aula A9, con gli studenti del corso di Sociologia della cultura e con chiunque vorrà esserci.

Fausta Squatriti

Fausta Squatriti
La Passeggiata di Buster Keaton 1964 – 1966
Milano – Galleria Bianconi
A cura di Martina Corgnati
Sino al 15 
marzo 2019

Il rosa, il verde chiaro, l’azzurro tranquillo e il glauco, il lilla ma anche il nero. Colori che scorrono e che diventano ali, grumi d’essere, intensità di forme, riverbero di luci. Strutture cromatiche e figure materiche con le quali Fausta Squatriti coniuga la potenza di Tiepolo, la scrittura di Garcia Lorca, l’infinita caduta che attraversa e fa il cinema di Buster Keaton.
El paseo de Buster Keaton è infatti un breve testo teatrale di Federico Garcia Lorca, che nel 1964 Squatriti trasformò in un ciclo pittorico dentro il quale -scrive Martina Corgnati- «c’è un’aria di giovinezza, persino un po’ candida e baldanzosa», fondata su una «congiunzione onirica e pittorica e leggera fra una base surrealista e una declinazione Pop in rapido ma ancora inosservato avvicinamento» (Catalogo della mostra, pp. 7 e 13).
La stessa ironia e lo stesso dramma che pervadono i coevi Libri d’artista, da Fausta inventati come veri e propri scrigni della forma e del colore dentro la millenaria struttura di un volume. Il primo di questi libri –Tatane– fu scritto da Alfred Jarry con le serigrafie di Squatriti, ed è esposto anch’esso alla Galleria Bianconi di Milano. Un oggetto raffinatissimo, stampato con il carattere Bodoni che trasforma in eleganza l’allegria.
Le tele sono inframmezzate da sei maschere che raffigurano Paura, Malinconia, Follia, Arroganza, Morte, Lussuria e dunque le passioni, i vizi, il gioco delle esistenze perdute e vissute. Sono opere create nel 2012 per Ora d’aria, un testo messo in scena anche in occasione del vernissage. Gli attori si sono mossi nello spazio come l’inesorabile fa con il tempo, scandendo verità scomode ma evidenti, come questa: «Si ama solo ciò che non si possiede del tutto». Parole con le quali anche Proust si affaccia nel bel quartiere di Milano che ospita la mostra.
Il grande ispiratore è certamente Giambattista Tiepolo, l’Apoteosi della famiglia Pisani -che compare nel catalogo- ma anche e forse soprattutto lo stupefacente ciclo di affreschi della Residenza di Würzburg, nel quale il vortice della prospettiva spinge la densità delle figure verso i margini dell’opera, esattamente come nei quadri di Squatriti.
La giovane artista aveva racchiuso tutto questo dentro bellissime e ironiche cornici barocche che negli anni Sessanta venivano espulse dalle case e dalle gallerie in nome della freddezza del design. Fausta ebbe il coraggio e il divertimento di prendersele e di rinnovare l’illuminismo di Tiepolo in onde che incrociano la materia e la fecondano, nel tempo che va e che viene, diventa nuvola, finge di dissolversi e si trasforma in gaudio.

Manierismo del contemporaneo

Eva Marisaldi
Trasporto eccezionale

Milano – Padiglione d’Arte Contemporanea
A cura di Diego Sileo
Sino al 3 febbraio 2019

Nell’opera di Eva Marisaldi sembrano vivere i «tre stati dell’arte» dei quali parla Giuseppe Frazzetto in Artista sovrano. Marisaldi è infatti insieme artigiana e sovrana. E la sua opera può essere designata come artistica solo perché una comunità di critici, di colleghi, di istituzioni e di visitatori la riconosce in quanto tale. A Marisaldi si attagliano perfettamente le categorie di Frazzetto poiché nelle sue opere, chiara espressione e prosecuzione del ready-made, «balena l’opposizione fra il modello coltivazione/allevamento e il modello caccia/raccolta. Anziché agire seguendo la crescita, lo sviluppo, la ‘coltivazione’ (=cultura) l’artista del montaggio sembra porsi come un cacciatore/raccoglitore, operante su un territorio di materiali culturali già pronti» (Artista sovrano. L’arte contemporanea come festa e mobilitazione, Fausto Lupetti Editore 2017, p. 83).
Negli spazi del Padiglione d’Arte Contemporanea si susseguono infatti bracci meccanici guidati da software; post-it e carte da parati; lastre di Polaroid; piccoli oggetti simili a giocattoli e raffiguranti città che vanno da Siviglia a Tokyo, da Gallipoli a Miami, con relative piantine; calchi in gesso; (bei) disegni con sopra sassolini; specchi sul pavimento; disegni spray su tessuto; due cucchiai che combattono tra loro come antichi pupi; lampade rivolte alle pareti; polvere di ferro su una pedana magnetizzata; pantaloni semoventi nella polvere; quattro grammofoni con puntine di carta; oggetti-onda; finte insegne di taxi poggiate a terra e illuminate; stampe a getto d’inchiostro che mostrano il talento grafico dell’artista; lamiere e grandi stampe in alluminio; tende costruite con stampanti; cartoni e suoni di risacca su una spiaggia; scarafaggi di plastica qua e là.
I numerosi video mostrano carrozzine che si muovono da sole in un porto accanto al mare; iguane accompagnate da brani musicali; oggetti animati, in particolare sassi che sono presenti in varie installazioni; viaggi assemblati come videogiochi; autoscontri con al centro un attore accoccolato e la sua voce narrante; forme grafiche vagamente impressioniste.
Nella mostra c’è moltissima inventiva ma anche una scarsa innovazione. Ci si sente insomma immersi nel manierismo del contemporaneo. In ogni caso, e si tratta forse dell’elemento più significativo, tutto questo è espressione, forma, testimonianza della gratuità, di un’arte che non serve a nulla poiché a nulla l’arte deve servire. Come accade nelle passioni, il significato dell’arte sta nel significante. 

Idoli

IDOLI Il potere delle immagini
Venezia – Fondazione Giancarlo Ligabue
Sino al 20 gennaio 2019

La Fondazione Giancarlo Ligabue di Venezia è uno dei luoghi pulsanti della paleontologia contemporanea. La sua mostra più recente è dedicata ad alcuni oggetti splendidi e inquietanti, trovati in vari luoghi del Mediterraneo e del Vicino Oriente. Sono piccoli artefatti che raffigurano la forma umana nei suoi legami con il Tutto.
Penisola Iberica, Sardegna, Cicladi, Cipro, Anatolia, Egitto, Iran, Margiana, Battriana hanno concepito, costruito, venerato idoli fatti di una geometria che è ordine nello spazio e successione nel tempo. Idoli che esprimono il sacro, il simbolico, la donna, l’assoluto, le potenze della vita e della morte, del qui e dell’altrove.
È nota ed è impressionante la somiglianza e continuità tra queste opere e gran parte dell’arte del Novecento, in particolare Giacometti, Modigliani, Picasso, Haring.
Nelle figure umane a forma di violino risuona un’armonia silenziosa e potente. Nelle figure dimorfiche il fallo e la vulva mostrano la struttura unitaria e androgina dei corpi, dalla quale è forse nato il racconto di Aristofane nel Simposio. Altre figure ibride fondono l’animale umano e gli altri animali: uccelli, bovini, tori in particolare.
In qualunque modo siano fatti si tratta di oggetti seducenti, nei quali il nucleo arcaico, ancestrale, apotropaico della bellezza si mostra già come integritas, simmetria e claritas.
Un testo in mostra afferma che sono opere «sempiterne nel tempo e nello spazio». È vero. Sono infatti idoli, parola pagana per eccellenza, odiata da ebrei, cristiani e islamici. E dunque una parola pulita, profonda, universale, capace di attraversare i millenni ed essere ancor viva.

Roma / Europa

MACRO Asilo
Museo d’Arte Contemporanea di Roma
Sino al 31 dicembre 2019

Uno spazio immersivo, orizzontale, aperto, nel quale ogni cittadino che lo desideri può entrare, uscire, attraversare le sale che non ospitano mostre ma sono arte, vale a dire un tentativo di comprendere ed esprimere i fondamenti dell’accadere. Quadri, installazioni, fotografie, libri, letture, angoli, silenzi, riverberi. Non a caso è stato un antropologo -Giorgio De Finis- a immaginare tutto questo, con sconcerto della corporazione dei critici d’arte. Persino la decisione di rendere gratuita la fruizione del MACRO è stata criticata ed è diventata oggetto di rimprovero nei confronti della giunta guidata da Virginia Raggi.
La quale ha invece voluto restituire alla città in modo democratico e intelligente uno spazio che può essere fruito quando si vuole, con cura e con divertimento. Uno spazio dentro il quale sono e saranno finalmente visibili e vivibili opere e testimonianze di quella strana e coinvolgente cosa che si chiama ‘arte contemporanea’. Come ho sentito dire da alcuni dei visitatori: «Non sembra nemmeno di stare a Roma ma in Europa». Ecco, è quel ma che qui si tenta di rimuovere, anche perché è ad Atene e a Roma che l’arte europea è nata ed è qui che sta sempre a casa sua, al di là delle epoche, dei loro limiti, delle loro forme.

Teoria dell’arte contemporanea

Da ieri, 30 settembre 2018, ha riaperto il MACRO, il Museo d’Arte Contemporanea di Roma.
Aperto con un’idea diversa di Museo, che il Direttore artistico Giorgio De Finis ha voluto chiamare MACRO Asilo.
Tra le (moltissime) prime iniziative in programma, una si svolgerà giovedì 4 ottobre e consisterà in una conversazione tra me e Giuseppe Frazzetto, dal titolo Per una teoria dell’arte contemporanea.
Dialogheremo sui temi proposti nel libro di Frazzetto Artista sovrano. L’arte contemporanea come festa e mobilitazione. L’appuntamento è per le 17,00 nella Sala letture del MACRO.

 

«L’odeur et la saveur restent encore longtemps»

Io, Luca Vitone
Milano – Padiglione d’Arte Contemporanea
A cura di Luca Lo Pinto e Diego Sileo
Sino al 3 dicembre 2017

L’arte contemporanea è greca ed è wagneriana. Tende infatti a essere opera d’arte totale, Gesamtkunstwerke, a diventare colore, tatto, suono, odore, parola intrecciati, diversi, unici. Le invenzioni/installazioni/spazi di Luca Vitone corrispondono a tale intento.
Vitone ha pitturato l’intero Padiglione d’Arte Contemporanea di un bianco macchiato da spesse punte nere, realizzate con la polvere raccolta nello stesso PAC. Polvere che ritorna in quattro grandi acquarelli monocromi intitolati Raüme (Stanze), dipinti anch’essi con le polveri di alcuni edifici pubblici tedeschi.
Un’opera grafica e sonora è dedicata all’identità delle regioni europee. Le loro musiche tradizionali compongono una cacofonia che si dipana in un brusio universale, il suono stesso degli insetti e della terra che li nutre. Corteggiamenti è fatta di 9 opere in legno, strumenti musicali, luci elettriche. 9 come sono le Muse, che danno infatti il loro nome a ciascuna opera. Imperium è una stanza vuota ma intrisa di sensazioni olfattive, seducenti e insieme aspre. L’ambizione è restituire l’odore del potere. Ultimo viaggio racconta di un’avventura in Persia prima che si trasformasse nell’Iran khomeinista. Una vecchia Peugeot è poggiata sulla sabbia e circondata da immagini di quel viaggio.
Anche altre opere descrivono l’itinerario dei corpimente dentro le memorie individuali e collettive, cantano la polvere del tempo e la nostalgia della musica, meditano l’andare, la sabbia, l’avventura e i simboli: bandiere, anagrammi, strumenti musicali. Domina ovunque la potenza degli oggetti risignificati, risemantizzati, pervasi di ironia e di concetto.
L’intenzione politica di quest’artista anarchico è esplicita. Le due opere all’ingresso sono dedicate alla P2: su una parete il triangolo massonico, su quella di fronte un grande foglio sul quale sono scritti i nomi dei membri della Loggia Propaganda 2, tra i quali ci sono politici, giornalisti, professionisti, dirigenti, banchieri, ancora vivi e facenti danno.
Una mostra politeistica e molteplice, fatta di identità etniche, simboliche, territoriali, e insieme di differenze culturali, estetiche, linguistiche, percettive. La mostra ha altre due sedi milanesi: i Chiostri di Sant’Eustorgio e il Museo del Novecento, come a voler riempire gli spazi di questa bellissima città.
Abbiamo l’arte per non naufragare nell’unicità del comando, della sua spina, e sentire invece che davvero «quand d’un passé ancien rien ne subsiste, après la mort des êtres, après la destruction des choses, seules, plus frêles mais plus vivaces, plus immatérielles, plus persistantes, plus fidèles, l’odeur et la saveur restent encore longtemps, comme des âmes, à se rappeler, à attendre, à espérer, sur la ruine de toute le reste, à porter sans fléchir, sur leur gouttelette presque impalpable, l’édifice immense du souvenir» (Proust, À la recherche du temps perdu, Gallimard 1999, p. 46).

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