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Gender

[Il testo è una riflessione a partire dal numero 51 (marzo 2021, pagine 204) della rivista Krisis, dedicato al tema dell’Amore. Discuto in particolare il contributo di Denis Collin, dal titolo La fin du désir et l’érotiquement correct. Collin è uno dei maggiori e più lucidi filosofi marxisti contemporanei, i cui testi mostrano quanto fecondo sia l’insegnamento di Marx quando viene elaborato per comprendere in modo critico le forme virulente e nascoste del liberalismo (e liberismo) del XXI secolo] 

L’amore ha uno statuto simile all’essere e al tempo, si dice in molti modi: «Le mot est polysémique, sa définition presque impossible, son histoire pleine de détours» (Damien Panerai, p. 3). I suoi tre principali significati sono:
φιλία, l’amicizia profonda, i legami familiari;
ἀγάπη, l’amore fraterno e universale, l’essere in comunione con qualcuno o qualcosa;
ἔρως, l’amore passione, l’amore desiderio, l’amore totale, l’unità corpomentale che noi animali siamo.
Non a caso quest’ultima parola, ἔρως, è «introuvable dans le Nouveau Testament grec» (Jean-François Gautier, 29). Ci sono poi altre forme, definizioni e significati dell’amore: l’amore trofeo nel quale l’amata, l’amato, l’amore stesso costituiscono un  titolo e un corpo da esibire; l’amore/innamoramento, intensissimo e dalla durata più o meno breve; l’amore/tenerezza frutto di una lunga consuetudine con l’oggetto amato; le tante, molteplici, radicali forme d’amore descritte da Stendhal e soprattutto la fenomenologia assoluta e completa del fatto amoroso che è l’intera Recherche proustiana.
L’ἔρως, il vero amore, è una potenza infinita, che «laisse dans les cœurs et les esprits des hommes des cicatrices d’impuissance» (Anthony Keller, 55). L’ἔρως è la più radicale forma di alterità, sia nel significato di un confronto/conflitto/relazione con l’altro da sé (con la Differenza), sia nel significato di una dimensione totalmente altra rispetto alle buone e moderate forme e norme del vivere sociale. E questo anche perché «l’amour est le royaume de la vulnérabilité, de l’abandon, de la faiblesse consentie, de la toute-puissance non de soi mais de l’autre sur nous» e perché «les cœurs parlant à l’unisson avec une intensité jumelle sont rares. L’expression d’un très grande amour, surtout quand il n’est pas partagé à hauteur égale, peut terroriser celui qui en est l’objet, le faire fuir»; l’esito è « une attitude à haut risque», è il dramma dell’abbandono e della fuga: «Se rappelle-t-on l’adage qui édicte: ‘Suis-mois, je te fuis, fuis-moi, je te suis’ ?»  (Anaïs Lefacheux, 109-110).

Anche per cercare di neutralizzare la potenza sovversiva e immedicabile dell’ἔρως sono nate nel corso della storia e in molte società (non in tutte) delle vere e proprie ‘Leghe di virtù’ che hanno cercato di ostracizzare il dio (Διόνυσος / Ἔρως). Numerose correnti e tendenze religiose ne costituiscono degli esempi chiari e influenti. Il cristianesimo è una di queste leghe moralistiche e virtuose. Si tratta di una tendenza radicata nella psiche dell’Occidente e camaleontica nelle sue espressioni. La più pericolosa tra quelle contemporanee è «le féminisme nouveau [il quale è] maintenant l’équivalent des anciennes ligues de vertu» arrivando persino, con «les fanatiques de #metoo» a chiedere l’inversione dell’onere giuridico della prova e che quindi sia l’accusato a dover dar prova della sua innocenza. Una barbarie giuridica che si origina dall’idea che «les hommes sont coupables par nature!» (Denis Collin, 72).
In generale il politically correct  si esprime anche come una pulsione di morte eroticamente corretta, la quale «s’inscrit pleinement dans le processus de ‘désublimation répressive’ analysé voilà plus de soixante ans par Herbert Marcuse. Loin d’une libération de l’Éros, il pourrait bien en signifier le déclin, vaincu par les forces de Thanatos, cette pulsion de mort qui taraude la société capitaliste d’aujourd’hui» (Id., 69); tale pulsione segna e determina una progressiva decadenza della libido e del piacere, tanto che «la conclusion ultime de la ‘ révolution sexuelle ’ est, paradoxalement, la fin du sexe, son éradication promise» (Id., 73).

Questa ondata di moralismo virtuoso e punitivo sembra avere a fondamento -come sempre– un vero e proprio odio verso la corporeità, il piacere, il sesso. Odio che si esprime anche come separazione/opposizione tra sesso, erotismo e amore, che sono in realtà la stessa dinamica espressa in forme diverse. Infatti «sans l’impulsion fondamentale de la pulsion libidinale, il n’y aurait pas d’érotisme, ni de sublimation amoureuse. […] Judith Butler est une idéaliste au plus mauvais sens du terme, et avec elle tous les champions du ‘ tout est construction sociale ’, puisq’elle prétend émanciper le rapport érotique de tout son fondement  naturel, ‘ matériel ’ pourrait-on dire» (Id., 74-75).
Le prospettive di Butler e di molti altri teorici della distinzione sesso/genere affondano nella tradizione dualistica della cultura occidentale per tendersi verso un culturalismo radicale, un volontarismo culturalista che disprezza o almeno ignora la potenza dei corpi ritenendo ad esempio che si possa «liquider les ‘ genre fixes ’ pour faire place à la liberté du ‘genre flottant ’. Je suis ce que je veux être à l’instant» (Id., 75). Chistine Delphy afferma con chiarezza che «ciò che è sociale non deve niente alla natura» e che «dietro la maschera della biologia è la società ad esprimersi come un ventriloquo» (Les Féminismes en question. Éléments pour une cartographie, 2005). Tesi, queste, talmente lontane dalla materia e dai corpi da  risultare del tutto sterili.
Il sentirsi maschi in un corpo di femmina e femmine in un corpo di maschio è certamente legittimo e anch’esso naturale ma questo non significa che la persona non abbia e non costituisca uno statuto ontologico che è maschile o femminile, senza incertezze. I maschi non hanno il ciclo mestruale, i maschi non vengono ingravidati, i maschi non partoriscono e non allattano. Le femmine non penetrano e non eiaculano con un pene. Dover ricordare simili ovvietà è segno di una inquietante negazione dell’animalità umana, sostituita dall’ennesima tendenza spiritualista che prende il nome di gender. È una delle tante tendenze del liberismo capitalistico, una delle molte espressioni del self-made-man, che costruisce da sé se stesso, la propria identità e il proprio mondo, una delle numerose tendenze dell’antropologia liberale che «postule l’interchangeabilité des individus, qui mène à leur atomisation» (David L’Épée, 103). 

Queste tendenze sono state analizzate a fondo da Eugenio Mazzarella in L’uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo (Quodlibet 2017). Il filosofo vi sostiene che «lo scenario ideologico che si apre è la pura e semplice smoralizzazione di massa del mondo, di cui la teoria del gender è oggi il ‘manifesto’ biopolitico più avanzato del work in Progress della reingegnerizzazione sociale in atto della sociogenesi ‘naturale’ fin qui attestata dalla ‘tradizione’. […] A scelta di un individuo che a priori, naturalmente e socialmente, non è ontologicamente nient’altro (o almeno tale si pretende) se non persona giuridica, fiction sociale titolare dei diritti che la società gli riconosce in una pattuizione ogni volta a determinarsi (pp. 43 e 45). La smoralizzazione della quale parla Mazzarella non è naturalmente un «banale immoralismo» ma costituisce la pretesa di rimoralizzare l’umano «su nuove basi tecnicamente e socialmente ‘escogitate’» (p. 48).
Simili confusioni ontologiche producono delle contraddizioni logiche come quella tra il gender e il trans. Se infatti ognuno è ciò che vuole essere, perché mai sarebbe necessario intervenire sugli organi genitali di un corpo/volontà che è già ciò che pensa di essere? «Les partisans des opérations de réassignation de genre apportent aux thèses de Butler et tutti quanti un démenti flagrant. On ne doit pas pouvoir être en même temps queer et trans» (Collin, 78). Dal punto di vista esistenziale, «c’est la haine de la nature et la haine de la chair qui animent ces gens. Rien d’autre. Et effectivement, ils son sürement très malheureux» (Id., 80).
E però, nonostante la grancassa mediatica del liberismo gender, nonostante le intimidazioni, l’arroganza e il fanatismo dei «commissaires politiques du sexuellement correct» (Id., 73), «en dépit des contrôles, des brimades et des interdictions, le désir finit toujours par se frayer un chemin» (Ludovic Maubreuil, 162). Nonostante i nuovi Pentèo che temono e disprezzano il piacere e vorrebbero ingessare le relazioni tra uomini e donne in una gabbia di norme fuori dalle quali gridano allo stupro, alla violenza, al maschilismo, alla molestia, nonostante questa barbarie puritana, Dioniso rimane il dio della ζωή, il trionfo del corpomente, la gloria del σῶμα.

Sarah Dierna su Tempo e materia

Sarah Dierna
Recensione a Tempo e materia. Una metafisica
in Il Pequod / n. 4 – Novembre 2021 / pagine 96-101

«Tempo e materia. Tempo è materia. È questo il nucleo intorno al quale si condensa e a partire dal quale si dipana la metafisica di Biuso. Una metafisica che parte dall’evidenza che “il mondo è” e che “l’umano è in esso” soltanto come sua parte. […]
Lontano anche da ogni prospettiva soggettivistica, la materia della quale si parla è una materia che “c’è indipendentemente da qualunque sguardo” come i Greci, anch’essi sullo sfondo della metafisica dell’autore, avevano già avvertito, esenti da quella hybris che ha invece caratterizzato la modernità, la quale ha ridotto la realtà ad un “canto solitario e monocorde dell’umano”. […]
Tutto questo non vale solo per l’umano. Un simile ‘inconveniente’, quello di essere nati, coinvolge infatti l’animalità tutta, dunque anche quella non umana poiché, benché il primo (l’umano) abbia rivendicato un salto ontologico rispetto al secondo (l’animale non umano), “la finitudine, il tempo, la morte” sono comuni a tutti i viventi dotati di sensibilità, dunque anche a quelli non umani. Una metafisica, pertanto, non solo del tempo, non solo materialistica, non solo metaetica, una metafisica anche antropodecentrata».

Stefano Piazzese su Animalia

Stefano Piazzese
Recensione a Animalia
in Discipline Filosofiche (6 ottobre 2021)

«Una visione antica dell’essere umano, certo, ma formulata in modo nuovo, come nuova è ogni teoresi che nel suo inseparabile legame con la storia del pensiero non rinuncia a risemantizzare ogni ambito dello spazio e del tempo. E qual è la visione che qui si ha dell’essere umano? Un ente in natura riconciliato con la sua dimensione ontologica fondamentale (che è suo fundamentum), la sua animalità. Un’animalità che finalmente riconosce il suo simile, il quale non è circoscritto solo al cerchio ristretto degli altri Homo sapiens; qui il simile è l’animale in quanto tale. […]
Qui si traccia una linea di demarcazione netta, il limes sacro, tra la violenza rituale della religione greca e la violenza indiscriminata, ingiustificata di Homo Sapiens nei confronti degli altri animali per qualsiasi motivazione (alimentazione, sperimentazione, addomesticamento, puro sadismo); violenza che consiste in una vera e propria mortificazione ontologica. È possibile condividere, nei limiti in cui lo può fare un carnivoro, certo, la tesi di fondo, che può essere espressa nel seguente modo: recuperare la dimensione del sacro vuol dire abitare nella consapevolezza di un mondo trasfigurato, dove è bandita ogni forma di violenza che continuamente viene gridata dai nostri simili trucidati per il puro piacere».

Biotecnologie e antropodecentrismo

Venerdì 10 settembre 2021 alle 9.30 terrò una relazione nell’ambito di un Convegno dedicato a Technology and coexistence. Phenomenological and anthropological perspectives.
Il Convegno si svolge in presenza presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Federico II di Napoli (Aula Aliotta, in via Porta di Massa 1). Per chi vuole, è possibile comunque seguire i lavori attraverso il sito indicato nella locandina qui sotto.
Il mio intervento ha come titolo Biotecnologie e antropodecentrismo. Cercherò di argomentare una prospettiva etoantropologica a partire dalla quale comprendere lo statuto e gli scopi sia della sperimentazione animale sia delle più recenti biotecnologie. Esse costituiscono di fatto una disintegrazione dell’animalità, poiché si tratta di mutamenti che non trasformano ma dissolvono l’animale sia nelle manifestazioni empiriche sia nel suo significato ontologico.
Ogni animale, umani compresi, ha il proprio modo di stare al mondo, le proprie specificità etologiche, la propria struttura percettiva e situazione spaziotemporale. In una parola la propria Umwelt, lo spaziotempo che ogni vivente consapevole non si limita ad abitare ma lo spaziotempo che è. Tutti elementi che le biotecnologie cancellano imponendo alla vita animale e al singolo vivente strutture spaziali e ritmi temporali del tutto artificiali, estranei alla specificità etologica dell’individuo e della specie.
L’animalità è trasformazione, certo, è ibridazione, scambio, flusso ma tutto questo ha senso e conduce a risultati adattivi nei tempi lunghi dell’evoluzione. Privare l’animale del tempo significa togliergli tutto, costringerlo in un blocco temporale privo di ciò che alla vita animale dà senso e giustificazione: i movimenti predatori e di difesa, l’orizzonte di attesa, l’immersione nell’ambiente dato. Le biotecnologie riducono l’animalità a un’invenzione brevettabile; costituiscono quindi una pratica di sterminio e rappresentano il momento più basso delle relazioni tra l’animale umano e gli altri animali.

 

 

Stupri

Róża
di Wojciech Smarzowski
Polonia, 2011
Con: Marcin Dorocinski (Tadeus), Agata Kulesza (Róża), Malwina Buss (Jadwiga), Kinga Preis (Amelia)
Trailer del film

La Masuria è una regione della Polonia per secoli appartenuta alla Prussia. L’immagine qui sopra mostra uno dei suoi paesaggi. Confinante con regioni russe e, appunto, polacche, aveva sviluppato -come sempre accade in questi casi– dei forti legami con la Germania. Tanto è vero che vi si parlava il tedesco e la più parte degli abitanti erano luterani (la Polonia, come si sa, è invece fortemente cattolica). Fu per questo che nell’estate del 1945, a guerra ormai finita con la vittoria degli angloamericani e dei russi, in Polonia gli orrori continuarono proprio contro i Masuri.
Il film di Wojciech Smarzowski racconta tali orrori senza eufemismi e infingimenti. Verso la relazione che lega il soldato polacco Tadeusz alla masura Róża, vedova di un soldato tedesco, si scatena la violenza dei polacchi e dei militari dell’Armata Rossa. Tadeusz ha un ardimento senza incertezze e protegge come può la donna, che le ripetute violenze conducono però a una malattia mortale.
Il film comincia con uno stupro seguito dall’uccisione della vittima e ha il coraggio, lungo tutta la narrazione, di mostrare la normalità, quasi ‘da prassi’, di questa immonda pratica da parte dei soldati di qualunque esercito contro le donne della popolazione nemica. Basti ricordare La ciociara di Vittorio De Sica (1960), film nel quale una donna italiana e la sua figlia dodicenne vengono violentate dai Goumiers, soldati marocchini dell’esercito francese.
E così continua in tutti i conflitti, oggi. Che si tratti di guerre di religione, economiche, imperialistiche, democratiche, la pratica dello stupro di massa è uno dei segnali più evidenti sia della natura umana sia dell’orrore che è la storia. È una conferma, se ce ne fosse bisogno, della nostra animalità che marca il territorio (come fanno cani, gatti e altri mammiferi con le urine) e cerca di sostituire i propri geni a quelli del clan avversario. La pretesa del sedicente Sapiens di non appartenere a questo mondo è semplicemente patetica, per non dire profondamente sciocca.
Róża narra natura e storia attraverso la densità dei colori che mutano con le stagioni in una regione ricca di foreste e di laghi; mediante la sobrietà dei dialoghi; tramite l’evidenza quasi rassegnata della ferocia.

[Photo by Łukasz Łada on Unsplash]

Ghiaccioli

Non dimenticarmi
di Ram Nehari
Israele, Francia, Germania, 2017
Con: Moon Shavit (Tom), Nitai Gvirtz (Neil)
Trailer del film

Nutrirsi, bere, mangiare, defecare, per le femmine in età fertile avere un ciclo, sono tutte espressioni della materia animale. Una materia viva, pulsante, dolorosa, fragile, resistente, temporale. Le indagini etologiche documentano che sono forme vissute con immediatezza da tutti i mammiferi e da altri animali. E che diventano invece problematiche in vari membri della specie Homo sapiens. Un fenomeno che si è accentuato nella contemporaneità ma che appartiene anche ad altri tempi e luoghi, come dimostrano alcune sante medioevali chiaramente anoressiche. E poi c’è il disagio generale della vita, la sua angoscia, che può colpire chiunque in qualsiasi momento, per brevi periodi, per molti anni, a volte per sempre.
Non dimenticarmi racconta l’incontro tra una vivace ragazza piena di energia e disincanto (Tom), che vorrebbe diventare una modella, e un musicista (Neil) che suona la tuba, ha pochi soldi e un po’ di squilibrio mentale. Neil aiuta Tom a fuggire dalla clinica nella quale i suoi genitori l’hanno rinchiusa. Non hanno però dove andare e camminano per la città di notte. Neil, che si porta appresso la tuba con la sua massiccia custodia, è sempre più afferrato dalla vitalità di Tom. Se ne innamora proprio. La scena finale li vede in una clinica psichiatrica; sono seduti l’una accanto all’altro, progettano il pranzo bianco delle loro nozze, nel quale non si mangi nulla se non dei ghiaccioli, e Tom dice: «Voglio morire ma in silenzio. Voglio appassire». Lungo tutto il film la tragedia si coniuga al comico e il desiderio – nonostante tutto – emerge in ogni istante.
Discutendo qualche anno fa di un libro di René Girard scrivevo che nessuno può convincere l’anoressica della sua condizione; lei «è orgogliosa di adempiere a quello ch’è forse il solo e unico ideale ancora condiviso da tutta la nostra società: la magrezza» (Il risentimento. Lo scacco del desiderio nell’uomo contemporaneo, Raffaello Cortina Editore 1999, p. 160). Notevole ed esemplificativa dello stile di Girard è l’immagine che chiude la sua analisi dei disturbi alimentari: «Se i nostri avi vedessero i cadaveri gesticolanti delle riviste di moda contemporanea, li interpreterebbero probabilmente come un memento mori, un promemoria di morte, equivalente forse alle danze macabre dipinte sui muri delle chiese del tardo Medioevo; se dicessimo loro che, per noi, questi scheletri disarticolati significano piacere, felicità, lusso, successo, è probabile che fuggirebbero in preda al panico, pensando che siamo posseduti da un demone particolarmente ripugnante» (p. 188).
Il fenomeno psichico che chiamiamo «disturbi dell’alimentazione» si pone alla convergenza di molteplici elementi: il disagio esistenziale; l’ordine impartito alle ragazze di esprimere una forma fisica che all’epoca, ad esempio, di Rubens sarebbe stata giudicata brutta sino all’inaccettabilità; il modello fortemente competitivo che pervade l’economia e la società neoliberiste; la solitudine generata dalla dissoluzione della Communitas (e moltiplicata dalla distruttiva gestione politica della Sars2).
Il film di Nehari mantiene tutto questo sullo sfondo e racconta una storia d’amore triste e insieme divertente.

Salvatore Grandone su Animalia

Salvatore Grandone
Recensione a Animalia
in Figure dell’immaginario. Rivista internazionale (gennaio 2021)

«Un testo denso che affronta la questione dell’animale in una prospettiva plurale, ad un tempo ontologica, epistemologica, antropologica e socio-politica. Il lavoro di Alberto Giovanni Biuso prolunga idealmente le riflessioni sviluppate in Tempo e materia, mostrando sul campo come la metafisica del tempo-materia sia un valido strumento per descrivere il mondo della vita. […] Il modo di affrontare la questione del vivente di Biuso si inscrive anche nel solco di un’importante tradizione fenomenologica che supera la visione dell’animale-macchina. Biuso amplia infatti le analisi di Heidegger sviluppate ne I concetti fondamentali della metafisica. Mondo, finitezza, solitudine. […] D’altra parte non basta denunciare la hybris dell’uomo, che nella sua foga tecnocratica riduce la natura a mero serbatoio di risorse; occorre comprenderne le ragioni. Con grande lucidità, e senza cadere nella facile retorica animalista, Biuso mostra le radici antropologiche e biologiche della violenza umana nei confronti degli animali».

Il Prof. Grandone mi ha chiesto un’intervista sul libro; le sue domande sono state uno stimolo ad approfondire e chiarire alcune delle questioni centrali del testo: l’animalità come differenza; lo statuto della biologia; virus ed epidemie; misura umana e potenza del cosmo.

 

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