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«Un bambino ci è nato»

«Un bambino ci è nato»

Blade Runner 2049
di Denis Villeneuve
USA, 2017
Con: Ryan Gosling (Agente K), Ana de Armas (Jol), Sylvia Hoeks (Luv), Harrison Ford (Rick Deckard), Robin Wright (Madame), Mackenzie Davis (la donna della memoria), Dave Bautista (Sapper), Edward James Olmos (Gaff)
Trailer del film

Si apre con la pupilla. Quella attraverso la quale in Blade Runner si scopriva se un’entità fosse umana oppure replicante. Si entra dentro l’occhio di un mondo tornato alle sue origini magmatiche, al suo caos. Stabilire l’ordine in questo mondo vuol dire erigere muri. Muri alti e spessi tra la specie generata dallo sperma e la specie prodotta dai circuiti elettrici. Ma nel tempo ogni muro è destinato a sbriciolarsi, a trasformarsi in mattoni posati nello spazio, silenziosi e antichi sino a che qualcosa di vivo non impianti quei mattoni dentro i ricordi sia dei corpi biologici sia dei corpi macchinici, tutti viventi dentro landscapes di rottami che si stendono per chilometri, che diventano città del male, del bisogno, della fine. Perché chi produce la memoria dei corpi è padrone del tempo ed è quindi signore delle menti, è un dio, anche se sembra una creatura come le altre, forse più sensibile, più pacata, più chiusa dentro la sfera della propria essenza.
Il software e le ferraglie, la lieve inconsistenza dei bit e il pesante rumore dell’acciaio, hanno entrambi bisogno di un βίος pulsante del limite e fatto di tempo -di date incise dentro gli alberi- per rivelare la propria natura profonda, per unirsi nell’amore, per sorridere, per piangere.
Dalle lacrime nella pioggia del replicante Roy al distendersi del suo successore nella neve, la purezza dell’acqua e degli elementi riscatta le macchine dal loro anonimato -‘K’ è un nome dagli echi kafkiani- e le consegna all’enigma più inquietante, fondativo e profondo, l’enigma della nascita. Esso sta al centro e al cuore di Blade Runner 2049, la cui densità filosofica mantiene il film su un livello splendente e rarefatto, che ha un solo momento di caduta -nel patetico e banale presentarsi di una sorta di Movimento di liberazione dei replicanti- e che conferma il talento di Villeneuve nel dare figura ai pensieri, alle inquietudini, al futuro e ai sogni.
Il vecchio Deckard ricompare sempre contrariato, frenetico e calmo. Alle domande di K ricorda ciò che fu, guarda lo spazio vuoto abitato da un cane, da rovine e dalle api, e dice «a volte se ami qualcuno gli devi diventare estraneo». Una piccola verità, un piccolo dolore, dentro la grande verità, dentro il grande dolore d’esser venuti al mondo. «Un bambino ci è nato, ci è stato dato un figlio» (Isaia, 9,5).

5 commenti

  • Mario

    Novembre 20, 2017

    E segnaliamo anche la rece del Gaz su Nocturno, che – nel numero di ottobre – sfoggiava anche ampio servizio sulle varie fonti letterarie “tradite” per dare origine al capolavoro filmico di Scott e poi un po’ anche al suo degno epigono by Villeneuve 😉

    • agbiuso

      Novembre 20, 2017

      Davvero bella, Mario, -e al solito assai erudita- la tua recensione a Blade Runner 2049.
      Ho apprezzato, tra gli altri, il riferimento agli “scheletri urbani che sembrano i Palazzi Celesti di Kiefer”, che da soli meritano una visita all’Hangar Bicocca di Milano.
      La tua conoscenza di tutto ciò che si muove dentro il cinema -non soltanto quello dedito alla s/f e all’horror- è davvero formidabile.

  • agbiuso

    Ottobre 27, 2017

    Segnalo un articolo di Riccardo Manzotti, che mostra le molte domande che questo film suscita in chi si occupa di filosofia della mente e, in generale, di ontologia.
    Blade Runner 2049: l’autenticità del sé nell’era della sua riproducibilità tecnica
    in Micromega.

  • Pasquale

    Ottobre 27, 2017

    Ah sì Alberto, par proprio che ci sia piaciuto il film. Psq.

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