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Aristotele

Aristotele
Metafisica
in «Opere», volume VI
Traduzione e note di Antonio Russo
Laterza 2019 [1982]
Pagine 440

Il trattato che gli editori di Aristotele, tra i quali Andronico di Rodi, raccolsero e pubblicarono dopo gli scritti di fisica, μετά τα Φυσικά, si compone di quattordici libri. In essi viene esposta la «filosofia prima», ovvero la scienza dei principî, delle cause e delle sostanze. Introducendo la sua nuova traduzione in italiano della Metafisica Enrico Berti scrive che «l’impressione complessiva che un lettore può provare è quella di trovarsi di fronte a un testo difficile, complicato, spesso incomprensibile. Ebbene, questo è esattamente la Metafisica di Aristotele, uno dei testi filosofici più difficili che l’antichità ci abbia trasmesso, che richiede al lettore sforzo, fatica, pazienza, intelligenza» (Metafisica, Laterza, Bari-Roma 2017, p. XIII).
È così. Ma la lettura e la riflessione su questo insieme di trattati è propedeutica a qualunque comprensione della filosofia europea e in cambio dell’impegno offre uno sguardo oggettivo e profondo sulla realtà. La nuova traduzione di Berti è molto letterale e più fedele al testo rispetto a quella di Antonio Russo. Preferisco tuttavia riassumere e citare da quest’ultima perché il mio obiettivo consiste qui solo nel presentare, per quanto possibile, i concetti fondamentali di Aristotele e invitare a conoscerli direttamente dall’opera, nella traduzione che si ritiene più adatta ai propri interessi di studio. 

Per Aristotele dunque l’impulso alla conoscenza – presente per natura in ogni umano (libro A [I], cap. 1, 980a, 20) – nasce dallo stupore, dalla meraviglia (A [I], 2, 982b, 10-15). È da essa che si origina la scienza più profonda e l’attività più alta, l’attività teoretica il cui scopo ultimo è «la verità» (α [II], 1, 993b, 20). Conoscere la verità significa conoscere le cause di ciascun ente e del divenire. Esse sono quattro.

  1. «Ciò da cui proviene l’oggetto e che è ad esso immanente»
  2. «La forma e il modello, vale a dire la definizione del concetto e i generi di essa»
  3. «Ciò donde è il primo inizio del cangiamento e della quiete»
  4. «Inoltre la causa è come fine, ed è questa la causa finale, come del passeggiare è la salute»
    (Δ [V], 2, 1013a, 24-35, 1013b, 2).

Per riuscire a condurre l’indagine sulle cause è indispensabile un principio guida che sia sicuro e saldo. Di esso Aristotele aveva già parlato nell’Organon: si tratta dello strumento logico preliminare a ogni pensiero, il principio di non-contraddizione, secondo cui «è impossibile che il medesimo attributo, nel medesimo tempo, appartenga e non appartenga al medesimo oggetto e nella medesima relazione» (Γ [IV], 3, 1005b, 19).
A questo principio fondamentale va unita la consapevolezza che non è possibile dare dimostrazione di ogni cosa poiché tale pretesa condurrebbe al regresso all’infinito, che per Aristotele coincide con l’irrazionale. Inoltre, si dà conoscenza scientifica soltanto di ciò che è universale poiché gli enti individuali sono dominio della semplice sensazione.
Posti questi fondamenti, il filosofo identifica la prima importante distinzione ontologica nella potenza e nell’atto. Potenza è la possibilità del divenire, l’atto è la potenzialità realizzata. Il passaggio dall’una all’altro è il movimento, è il tempo. L’atto possiede sempre una originaria prevalenza: «ciò che è in atto proviene sempre da ciò che è in potenza, ma proviene per opera di qualcosa che è attualmente esistente» (Θ [IX], 8, 1049b, 24). I principî sinora esposti e la distinzione tra atto e potenza dicono in modo chiaro che il lavoro teoretico si rivolge a un mondo in sé esistente, autonomo dalle sensazioni del vivente, «non è affatto possibile che i sostrati, i quali producono la sensazione, non esistano anche senza la sensazione» (Γ [IV], 5, 1005b, 34-35).

La teoresi si distingue in tre tipologie: matematica, fisica, teologia. La prima si occupa di enti immobili ma che (probabilmente) non esistono separati da una materia; la seconda studia enti che esistono separatamente ma non sono immobili; la filosofia/teologia (l’’onto-teo-logia’ della quale parla Heidegger ma che appartiene molto a Heidegger e poco ad Aristotele) indaga anche gli enti «che esistono separatamente e che sono immobili» (Ε [VI], 1, 1026a, 13-19). Anche perché la teoresi teologica si occupa certamente delle cause divine ma pure degli elementi materici (acqua, aria, terra, fuoco), delle forme che costituiscono le sostanze materiche e dei fini della sostanza, vale a dire la piena realizzazione della sua forma. In questo modo, la metafisica è la scienza prima che comprende in sé tutte le altre.

L’indagine aristotelica si nutre di una pacata ma costante distanza dalla teoresi platonica, che si involverebbe in una vasta serie di incongruenze, contraddizioni e arbitrarietà, tra le quali sono particolarmente gravi l’autonomia ontologica data ai numeri; la separazione delle forme ideali (le ‘idee’) dagli enti sensibili; la concezione dell’universale come forma separata dalla materia; la caratterizzazione dell’Uno come sostanza.
Quest’ultima tesi è per Aristotele contraddittoria perché l’Uno non è un genere ma è un universale, è il concetto più universale, quello che in sé accoglie tutti gli altri, comprese identità e differenza.
La scienza aristotelica, attraverso un lungo e minuzioso lavoro di indagine sulle cause e sui principî, perviene alla identificazione di un primo motore che è causa efficiente e finale di ogni ente ed evento, «un essere necessariamente esistente e, in quanto la sua esistenza è necessaria, si identifica con il bene e, sotto questo profilo, è principio», un principio dal quale dipendono il cielo e la natura (Λ [XII], 7, 1072b, 10-11). Questo Intelletto primo vive in una beatitudine senza fine, rivolto sempre al pensiero sommo che è egli stesso e dunque «pensa se stesso, se è vero che esso è il bene supremo, e il suo pensiero è pensiero-di-pensiero» (ivi, 1074b, 36). Naturalmente tutto questo è da intendere senza alcun riferimento a un dio persona, volontà, padre o analoghe determinazioni. L’essere necessariamente esistente è una causa oggettiva e impersonale. Come ricorda Enrico Berti, «nella Metafisica si trova ben poca teologia monoteistica» (trad. citata, p. XVI).

La metafisica così delineata è in se stessa una ontologia. Metafisica è quella scienza 

che studia l’essere-in-quanto-essere e le proprietà che gli sono inerenti per la sua stessa natura. Questa scienza non si identifica con nessuna delle cosiddette scienze particolari, giacché nessuna delle altre ha come suo universale oggetto di indagine l’essere-in-quanto-essere, ma ciascuna di esse ritaglia per proprio conto una qualche parte dell’essere e ne studia gli attributi, come fanno, ad esempio, le scienze matematiche.
(Γ [IV], 1, 1003a, 20-25)

Tuttavia l’essere non ha una accezione univoca ma si dice in molti sensi. Tra questi il filosofo ne privilegia due: la categoria e la sostanza. Categoria «giacché il termine ‘essere’ ha tante accezioni quante sono quelle delle categorie» (Δ [V], 7, 1017a, 25); sostanza poiché «l’essere nella sua accezione fondamentale – ossia non una qualsiasi qualificazione dell’essere ma l’essere puro e semplice – dovrà identificarsi con la sostanza» (Ζ [VII], 1, 1028a, 31-32).
L’intera storia della filosofia ha ereditato questa duplice accezione dell’essere. L’essere come categoria si è trasformato, nella tarda scolastica e soprattutto nella modernità cartesiana, in un concetto puramente gnoseologico, pervenendo alla completa subordinazione degli enti alla visione-giudizio-manipolazione dell’ente umano. L’essere come sostanza è stato di volta in volta o sola materia o solo spirito.
In ogni caso, come si vede, nella Metafisica di Aristotele si origina, riposa e sta il pensare europeo. In questo trattato, o insieme di trattati, la cultura greca perviene a uno dei suoi esiti massimi e più fecondi. Il rigore dell’indagine, la complessità delle prospettive, la chiarezza dei fondamenti concorrono alla costante e pervasiva presenza nel pensare europeo di queste ricerche aristoteliche sull’essere, la verità, il tempo. È infatti vero che «il problema su cui verte ogni ricerca passata, presente e futura, la questione che è sempre aperta e dibattuta, ossia ‘che cosa è l’essere?’, non si riduce ad altro se non alla domanda ‘che cosa è la sostanza?’»  (Ζ [VII], 1, 1028b, 2-4).
La risposta più convincente e argomentata a tale domanda l’ha data Spinoza, la cui Ethica conduce a pienezza l’immanentismo come significato, struttura e benedizione dell’essere, conduce a un mondo nel  quale l’umano non ha nessun primato e persino nessuna presenza.

Whitehead

Whitehead
in Vita pensata
n. 29, novembre 2023
pagine 163-174

Indice
-Una metafisica selvaggia
-Platone, l’intero e le sue parti
-Un’ontologia relazionale
-Una metafisica temporale
-Potenza e limiti della filosofia
-Linguaggio e teologia

Questo articolo intende essere soltanto un testo di servizio per introdursi a una filosofia tanto originale quanto complessa e linguisticamente strabordante. Ho cercato dunque di dare quanto più possibile la parola ad Alfred North Whitehead (1861-1947) ma anche di rendere questa parola comprensibile sullo sfondo della storia della metafisica nella quale si colloca, nella quale intende collocarsi.
L’essere è insieme e inseparabilmente flusso e permanenza, poiché ogni mutamento ha senso in quanto qualcosa rimane e, di converso, il permanere di un ente si staglia sull’orizzonte del suo mutare. La metafisica è dunque da intendere non come fondazione/fondamento ma come comprensione di questo ininterrotto eventuarsi in cui mondo, materia e umanità consistono. Metafisica non come soggettivismo/idealismo ma come schiusura, apertura e compenetrazione del mondo umano dentro il mondo spaziotemporale che lo rende ogni volta e di nuovo possibile. 

 

Sul virtuale

Presenza e realtà
Sul virtuale

in Dialoghi Mediterranei
n. 62, luglio-agosto 2023
pagine 27-33


Indice

-Una premessa metafisica 
-La presenza
-Realtà e documanità
-Una «biopolitica progressista»
-Simulacri 

Dopo una breve premessa a sostegno del realismo metafisico – vale a dire che il mondo esista indipendentemente da qualunque entità che lo percepisca – ho cercato di descrivere le diverse prospettive sul virtuale proposte da due recenti libri di filosofi italiani: Contro Metaverso. Salvare la presenza (Mimesis, 2022) di Eugenio Mazzarella e Documanità. Filosofia del mondo nuovo (Laterza, 2021) di Maurizio Ferraris. Ho concluso con un accenno al concetto di «simulacro» proposto da Jean Baudrillard, il quale difende la presenza rispetto alla società dello spettacolo diventata l’«estasi della comunicazione», che si è trasformata a sua volta nella pervasiva potenza di un virtuale il cui esito ultimo è la rimozione della presenza, la dissipatio della realtà.

Heidegger, la fenomenologia

Martin Heidegger
I problemi fondamentali della fenomenologia
(Die Grundprobleme der Phänomenologie [1927], Vittorio Klostermann Verlag 1975)
A cura di Friedrich-Wilhelm von Hermann
Edizione italiana a cura di Adriano Fabris
Introduzione di Carlo Angelino
Il melangolo, 1999
Pagine XIII-332

Nel semestre estivo del 1927 Heidegger tenne a Marburgo un corso che costituisce in realtà la progettata terza sezione della prima parte di Sein und Zeit. Quasi cinquant’anni dopo il filosofo scelse questo corso come primo volume della propria Gesamtausgabe. Si tratta di un dato non solo storico-filologico ma anche profondamente teoretico. In queste lezioni, infatti, le tematiche fondamentali della «ontologia universale e fenomenologica» – così viene definita la filosofia in Sein und Zeit – vengono riprese, storicamente collocate, approfondite e rinnovate, in uno sforzo concettuale veramente intenso.
Fenomenologia è qui non una particolare filosofia ma il filosofare stesso, non al modo di una propedeutica agli altri saperi ma in quanto metodo della “filosofia scientifica” e cioè, per Heidegger, dell’ontologia. Nella prima delle cinque lezioni su L’idea della fenomenologia (1907) anche Husserl aveva scritto che «fenomenologia: ciò significa una scienza, un insieme coerente di discipline scientifiche; fenomenologia significa però al tempo stesso, e soprattutto, un metodo e un atteggiamento di pensiero: l’atteggiamento di pensiero, il metodo, specificatamente filosofici». Una filosofia quindi rigorosa, contrapposta sia al “sano intelletto comune”, all’apprendimento passivo e non tematizzato dell’esperienza e delle cose, sia al primato delle scienze positive, della magia che non argomenta, delle semplici visioni del mondo.
Una filosofia intessuta di domande, di un interrogare che per Heidegger  è «lotta con le cose al servizio delle cose» (§ 22, p. 315). Con chiarezza: «l’essere è l’autentico e unico tema della filosofia» (§ 3, p. 10) e la riduzione fenomenologica diventa lo sguardo che sia in grado di cogliere la differenza ontologica, che sia capace di partire dagli enti ma di porli poi tra parentesi nell’epoché per arrivare infine a comprendere l’essere.
I problemi fondamentali della fenomenologia appaiono quindi nella loro chiarezza e sono:
l’intenzionalità;
la distinzione fra sussistere ed esistere;
la differenza fra realtà ed effettualità;
lo statuto della verità;
la temporalità;
la luce.

L’intenzionalità è uno degli atteggiamenti chiave della fenomenologia husserliana. Mentre la Scolastica applicava l’intentio quasi esclusivamente alla volizione, Brentano e la fenomenologia ne fanno il perno di ogni atteggiamento del soggetto vivente, proprio perché l’intenzionalità non viene dagli oggetti ma è costitutiva della stessa soggettività, tanto che «uno dei caratteri che distinguono l’esistente dal sussistente è proprio l’intenzionalità» (§ 9, p. 59).
Gli enti sussistono, sono intramondani, stanno là e basta; l’esserci umano invece esiste nel mondo come luogo nel quale il mondo stesso diventa consapevole di sé.
Effettualità è lo stare qui e ora, l’avere una struttura percepibile coi sensi, l’essere e risolversi nella dimensione empirica. La realtà è evidentemente un cerchio assai più vasto e comprende le astrazioni della mente, i sentimenti, l’essere stato, le potenzialità d’esserci nel futuro.
La realtà è più ampia dell’effettualità perché è intrisa di tempo. Il tempo pensato e non soltanto vissuto si chiama temporalità. La comprensione dell’essere – l’ontologia – è quindi un discorso sul tempo, che deve partire dalla ulteriore distinzione fra la temporalità dell’esserci umano (Zeitlichkeit) e la Temporalità dell’essere (Temporalität). La prima si fonda sulla seconda e questo fa sì che l’esserci umano sia un esistere consapevole della propria costitutiva temporalità e quindi della propria finitudine all’interno del più ampio cerchio dell’essere che lo trascende ma che senza l’esserci non si darebbe proprio perché è nell’esserci umano che il tempo si autocomprende, diventando appunto da tempo temporalità. L’esserci umano è finito, ricettivo e non creatore di enti e tale finitezza si completa e si riscatta nella capacità che ci caratterizza di creare il tempo. Il tempo è, infatti, la tela che l’umano fila e che getta sulla struttura cieca della materia dandole così significato: «l’esserci è intenzionale solo perché è determinato nella sua essenza dalla temporalità» (§ 19, p. 256).
L’intenzionalità è il costante volgersi dell’esserci al futuro, sul fondamento del tempo passato, allo scopo di comprendere ed essere il presente. L’unità di avvenire-essente stato-presentante è la Zeitlichkeit. Comprendere è una nostra dimensione costitutiva ed è solo sulla base del tempo che noi possiamo comprendere qualcosa come l’essere. La Zeitlichkeit è quindi l’umana cura verso il tempo, a partire dalla quale si dà Temporalität, comprensione dell’essere stesso.
Il tempo non è oggettivo né soggettivo. Simili distinzioni sono possibili solo quando l’unità originaria fra uomo e mondo, esserci ed essere, sia stata infranta. Aristotele, al quale dobbiamo il nostro modo fondamentale di intendere il tempo, attribuisce alla ψυχή numerante la creazione del tempo e tuttavia aggiunge che esso non rimane un fenomeno soltanto psichico. Il tempo è, infatti, ovunque: sulla terra, sul mare, nel cielo. «Il tempo è ovunque e in nessun luogo e solamente nell’anima» (§ 19, p. 243).
Il succedersi degli ora non consiste in un accumularsi lineare di entità nello spazio ma costituisce la dimensione dinamica del divenire che può toccare così a fondo le cose perché esse di tempo sono intrise. Un tempo che è la loro unica possibilità e insieme il loro limite. Ed è questo a rendere costitutivamente finito ogni ente «κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν; secondo il decreto del Tempo» (Anassimandro). 

La finitudine che meglio conosciamo è quella della quale noi stessi siamo intrisi ed è per questo che l’analitica esistenziale – l’analisi che l’esserci conduce su se stesso – è la via più diretta per la comprensione dell’essere al di là di ciò che noi stessi siamo, «l’essere noi lo comprendiamo perciò a partire dall’originario schema orizzontale delle estasi della temporalità (Zeitlichkeit)» (§ 21, p. 294). È quindi il tempo l’orizzonte trascendentale dell’ontologia e della filosofia. È il tempo che intesse di sé tutto e solo comprendendo il quale potremo sperare di cogliere la verità, che è appunto ἀλήθεια, il trarre fuori dal nascondimento, il disvelare la struttura implicita e profonda delle cose.
L’esserci umano è in grado di operare tale disvelamento perché al disvelare è sempre intenzionato. Ma tale intenzionalità presuppone la specifica trascendenza dell’esserci rispetto al semplice stare, sussistere, subire il tempo. La verità è possibile per noi proprio perché non subiamo il tempo ma lo siamo, tanto che la verità delle cose ci si manifesta solo quando torniamo a noi stessi, solo quando facciamo ancora una volta nostro l’invito delfico e socratico. 

Un invito che Platone praticò a tal punto da fondare l’autocomprensione dell’Europa e da determinarla ancora. È proprio vero che «solo l’epoca moderna, soddisfatta di se stessa e precipitata nella barbarie, può voler far credere che Platone, come si sente dire con compiacimento, sia ormai liquidato» (§ 14, p. 106).
Sulla questione cardine del pensiero, pensare l’essere, la filosofia non è andata oltre Platone e «in fondo il suo desiderio più proprio non è tanto quello di andare avanti, lontano da sé, ma piuttosto è quello di pervenire a se stessa […] verso quella luce a partire dalla quale e nella quale l’essere stesso giunge nel chiarore di una comprensione» (§ 20, pp. 270-271).
Luce è uno degli estremi plessi lessicali e concettuali con cui Heidegger ha cercato di comprendere l’unità di essere e tempo. Come Platone, infatti,

anche noi, con la domanda apparentemente così astratta sulla condizione di possibilità della comprensione dell’essere, non vogliamo nient’altro che uscir fuori dalla caverna nella luce, ma in tutta la sobrietà e nel pieno disincanto di un interrogare puramente rivolto verso le cose (§ 20, p. 273).

Rivolgersi alle cose è ciò che noi chiamiamo fenomenologia. Tale sguardo fenomenologico ci svela che essere e tempo significa che l’essere è tempo. 

Servitù digitale

Sul Metaverso
Aldous, 23 marzo 2023

Aldous ha pubblicato una versione più ampia della riflessione che sul Manifesto ho dedicato al libro di Eugenio Mazzarella Contro Metaverso. Salvare la presenza (Mimesis 2022, pp. 142).
L’integrazione riguarda in particolare le affermazioni che riporto qui sotto.
Se si guardano le modalità concrete nelle quali sinora si è tradotto questo progetto, emerge appunto la sua somiglianza con forme di dominio assai tradizionali, un «uso oligarchico e lucrativo della rete da parte di uomini su altri uomini» che si manifesta, tra l’altro, in «concretissimi processi di alienazione sociale, esistenziali e finanche percettivi […]. Non ci si rende conto che il web è la nuova gleba a cui siamo asserviti, paradossalmente ancora più stanziale della vecchia gleba, perché è racchiusa nel fazzoletto di terra di uno schermo che ci viene fornito a ‘casa’, senza neppure necessità che si esca ‘in campagna’».
Lungi dall’essere smart, intelligente e agile, il telelavoro è una «truffa che rischia di aggiornare online il cottimo della manifattura domiciliare senza fabbrica». E dunque la decantata da troppi (Luciano Floridi, ad esempio) ’quarta rivoluzione’ dell’infosfera si rivela un ulteriore «passaggio epocale nella storia dell’alienazione intrinseca all’umano nel rapporto con i suoi mezzi». Un’alienazione proprio nel senso marxiano, una rinuncia all’autonomia e all’emancipazione per sottomettersi invece senza neppure averne coscienza a una «oligarchia dei padroni pubblici e privati del web nel Deep State  del potere dell’infosfera».

Metaverso

Quel «Metaverso» e la complessità dell’essere umano
il manifesto / alias
25 febbraio 2023
pagina 11

I fenomeni più ‘all’avanguardia’ della nostra ipermodernità, le tecnologie che appaiono più avanzate e innovative, conservano, presentano e manifestano in realtà dei tratti arcaici. Il progetto del Metaverso intende fare di Facebook non una piattaforma di incontri e interazioni; non un immenso database di parole, nomi, immagini, suoni; non un’impresa commerciale ma una vera e propria nuova realtà. Metaverso è il sogno di diventare dio e ha come fondamento «un animismo digitale» di forte impronta matematica (‘digitale’ appunto) che disprezza la realtà dei corpi, della materia e della presenza per sostituirla con un «effetto gorgo, un buco nero dell’online» che «fagocita sempre più la realtà offline, la vita come tale» (Eugenio Mazzarella).

Una metafisica materialistica

Sul realismo
in «L’invenzione della realtà.
Scienza, mito e immaginario nel dialogo tra psiche e mondo oggettivo. Una prospettiva filosofica»
a cura di Emanuele Coco
Edizioni ETS, Pisa 2022
pagine 125-135

  • Indice del saggio
    1 Qualcosa è
    2 Qualcosa è: metafisica
    3 Qualcosa è: realtà
    4 Qualcosa è: il nulla

In questo saggio ho cercato di sintetizzare in poche pagine uno dei fondamenti del mio tentativo di pensiero: una metafisica materialistica per la quale il mondo esiste e accade oltre il soggetto, oltre la specie, al di là di questa catena di tracotanza che vorrebbe legare l’universo alla Terra abitata dagli umani e che invece lega gli umani ai confini nei quali abitano, ai limiti di ciò che sono, alla materiatempo.
La materia e il tempo sono e solo per questo possono poi essere, anche se in modi imperfetti, conosciuti. Compito di una filosofia in rigoroso dialogo con le scienze fisiche ma anche da esse autonoma nella sua identità teoretica è riconoscere e difendere l’immanentismo insito in questo primato dell’ontologia su qualunque forma di gnoseologia.
Gli enti permangono trasformandosi incessantemente – e questo è la loro identità – e mutano permanendo ciò che sono – e questo è la loro differenza. Necessario è l’essere perché inevitabile è il suo divenire, impensabile la stasi, inconcepibile per le nostre menti una morta eternità. Necessaria è la metafisica in quanto scienza di tutto questo. Una scienza razionale, totalistica e immanentistica.
Domande metafisiche sono quelle che riguardano:
– lo statuto di ciò che esiste;
– il legame tra la parte e il tutto;
– il vincolo tra la materia di cui gli enti sono composti e la loro forma;
– la connessione tra il loro essere adesso, l’essere stato e l’essere nel futuro;
– la relazione tra i confini che delimitano un ente e ciò che lo circonda;
– il nesso tra un ente particolare e l’universale al quale può essere attribuito;
– il concatenamento tra gli oggetti e gli eventi, tra gli eventi e i processi, tra gli eventi e i fatti; la corrispondenza tra le strutture spaziali e le dinamiche temporali.
Un atteggiamento metafisico implica anche l’andare oltre la dualità realismo / trascendentalismo. Il realismo si illude di poter pensare il mondo senza transitare dalla complessità del corpomente che ne elabora i significati. Il trascendentalismo si illude di poter rendere conto dei modi e dei limiti della conoscenza senza ammettere che essa inizia sempre dalla materia che c’è e rimane immersa nella prassi esistenziale ed ermeneutica in cui la vita procede e si raggruma. L’essere non dipende da alcuna coscienza, la quale consiste in quella parte della materia che è diventata capace di autocomprendersi.
La metafisica è dunque un sapere perenne. Perenne, ovviamente, nei limiti della presenza di parti della materia che sulla materia riflettono. Là dove queste strutture mentali non esistono, e cioè praticamente ovunque nell’universo conosciuto, la metafisica rimane non come pensiero della materia su se stessa ma come la struttura stessa dell’essere, vale a dire l’essere e il divenire delle galassie, il tempo cosmico.

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