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Mattarella

È raro leggere in poche righe un tale concentrato di affermazioni  lontane dalla realtà.
La prima di queste affermazioni è che una Costituzione giuridico-politica, una norma, una legge scritta possa avere come obiettivo «superare ed espellere» un sentimento, che si tratti dell’odio o di qualunque altra passione umana. Un decreto, di qualunque genere, può imporre o può proibire un agire e non un sentire che afferisce alla sfera interiore, psichica, esistenziale, che siano sentimenti individuali o impulsi collettivi. Ma non ci troviamo soltanto di fronte a un banale errore categoriale. Si tratta di una affermazione pericolosa. Sono esistite infatti nella storia del Novecento delle formazioni politiche e dei regimi che si sono posti l’obiettivo di suscitare o di proibire sentimenti e non soltanto comportamenti nei loro cittadini. Questi regimi sono il fascismo, il nazionalsocialismo, il regime sovietico sotto Stalin.
L’ambito della politica è e deve rimanere distinto da quello dei moti interiori. Gli stati, i governi e i tribunali devono rimanere separati dall’animo umano, pena la dissoluzione di ogni libertà personale e pubblica. La descrizione più esplicita di una simile distopia è 1984. Gli scopi del Partito sono infatti ancora più radicali di qualsiasi passata Inquisizione, di qualsiasi regime autoritario, poiché il Partito vuole l’anima di chi cerca di resistergli e non elimina il ribelle sino a che questi non sia totalmente e sinceramente convinto della propria colpa e non provi autentico amore per il Grande Fratello. A questo, infatti, sarà condotto il dissidente Winston in un finale tanto terribile quanto malinconico e chiuso a qualsiasi speranza. Dopo il trattamento subito nelle stanze del Ministero dell’Amore (dell’amore, appunto) Winston «amava il Grande Fratello» (Orwell, 1984, trad. di G. Baldini, Mondadori 1998, p. 312).
Un secondo errore nel discorso di Sergio Mattarella consiste nella visione assolutamente negativa, al limite della demonizzazione, dei conflitti, dei contrasti, delle lotte. Errore aggravato dall’attribuire una simile posizione ai Costituenti, tra i quali un buon numero erano comunisti.
La Costituzione della Repubblica italiana non è nata infatti da un trionfo disneyano di armonia e di sorrisi ma da una sanguinosa guerra civile, che come tutti i conflitti di questa natura vide scatenarsi odio, violenza, vendette reciproche, tripudio dei vincitori e disprezzo per gli sconfitti (su questo tema è sempre da tenere presente Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, di Claudio Pavone, Bollati Boringhieri 1991).
Tra i «contrasti» indicati da Mattarella come negativi uno riguarda le «contrapposizioni ideologiche», senza le quali tuttavia non si ha pace e armonia ma la semplice vittoria di una ideologia che mette a tacere tutte le altre, compresa l’ideologia (radicale e che meriterebbe un’ampia analisi) che guida simili dichiarazioni contro le ‘ideologie’.
L’altro conflitto stigmatizzato da Mattarella sono le «ingannevoli lotte di classe». Qui immagino il tripudio di uditori da sempre anticomunisti come i militanti di Comunione e Liberazione, ai quali tale discorso è stato rivolto. Ma stupisce che un importante esponente politico mostri una simile rozzezza antistorica. Ritengo invece che siano sempre plausibili e rispondenti all’effettivo divenire storico le parole con le quali Marx ed Engels aprono il primo capitolo del Manifesto del partito comunista:

La storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi. Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, membri delle corporazioni e garzoni, in breve, oppressori e oppressi, furono continuamente in reciproco contrasto, e condussero una lotta ininterrotta, ora latente, ora aperta; lotta che ogni volta è finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società o con la comune rovina delle classi in lotta 
(trad. di E. Cantimori Mezzomonti, Laterza 1981, pp. 54-55).

Infine un’osservazione generale: l’allocuzione di Mattarella è non soltanto inadeguata alla complessità del presente ma è anche e soprattutto logicamente autocontraddittoria, come lo è ogni tipo di affermazione contro l’odio. La sostanza e l’esito di simili dichiarazioni consiste infatti nell’incitare all’odio contro quanti vengono etichettati come «odiatori». Difatti lo stesso oratore invita a «sanzionare severamente» gli odiatori.
Ma stabilire e sanzionare un’affermazione in quanto «incita all’odio» è questione assai delicata. Dove si fermano il dissenso e il disaccordo e dove comincia l’odio? Chi stabilisce il discrimine, il crinale, il momento nel quale dei sentimenti si trasformano? Una commissione? Un supremo censore? Un tribunale? Un gruppo di giornalisti? Le porte si aprono evidentemente all’arbitrio di chi comanda e agli organi che le autorità controllano.
Con la loro stessa censura gli inquisitori aprono all’esclusione, alla punizione, al risentimento verso gli inquisiti. Notavo anche questo in un mio intervento di qualche anno fa intitolato Elogio dell’odio. La storia umana insegna che quando il potere si presenta nelle vesti dell’ultramoralismo il corpo collettivo corre dei gravi pericoli.

I Quisling

La scelta del re
(Kongens Nei)
di Erik Poppe
Norvegia, Germania, Danimarca, Svezia, 2016
Con: Jesper Christensen (il re), Anders Baasmo Christiansen (il principe ereditario), Karl Markovics (l’ambasciatore tedesco)
Trailer del film

Nell’aprile del 1940 la Germania attacca la Norvegia, sino ad allora neutrale. Le forze tedesche sono chiaramente preponderanti ma il Paese scandinavo resiste. Il governo tuttavia si dimette. Il re Haakon VII -eletto dopo un referendum popolare nel 1905- respinge le dimissioni, così come rifiuta di avallare il colpo di stato del collaborazionista Vidkun Quisling (nella foto qui sopra con Hitler). L’ambasciatore tedesco Curt Bräuer, pur amico dei norvegesi, comunica al sovrano una proposta di accordo che avrebbe reso la Norvegia uno Stato vassallo della Germania, come era già diventata la Danimarca. Haakon rifiuta la proposta -il titolo originale significa infatti «Il no del re»- e comunica il suo rifiuto a governo e parlamento, i quali concordano con lui. Inizia la guerra, vinta facilmente dalla Germania, alla cui conclusione il re torna sul trono e Quisling viene giustiziato per alto tradimento.
Il film narra i giorni tragici e concitati dell’attacco tedesco e delle trattative. Si incentra soprattutto sulla psiche del sovrano e sulle vicende della famiglia reale. Il buio delle notti e il bianco della neve formano il reciproco controcanto della tenebra che porta a compimento il suicidio dell’Europa, iniziato nel 1914 a Sarajevo. Un re rappresentativo e folcloristico, come gli altri sovrani scandinavi, mostra di aver preso sul serio il fatto di essere stato eletto dal popolo norvegese sulla base di princìpi di partecipazione  e di libertà che soggetti come Quisling disprezzano e negano.
Storia? Certo, anche storia. Le cui strutture permangono nel tempo pur mutando referenti e posizioni. Gli Stati Uniti d’America e i loro più fidi alleati creano infatti di continuo dei governi collaborazionisti in ogni parte del mondo. Non solo nel Vicino Oriente (Amid Karzaj e altri in Afghanistan; Ahmed Chalabio in Irak, ad esempio) o in America Latina (un nome per tutti: Augusto Pinochet) ma anche in Europa e in Italia, con molti governi proni alle volontà del potente ‘alleato’, la cui presenza o ‘ispirazione’ è stata determinante nei momenti più tragici della storia repubblicana: dalla strage di Piazza Fontana all’omicidio di Aldo Moro, dal caso Mattei ai governi presieduti da soggetti mai eletti, come l’attuale Presidente del Consiglio Mario Draghi. Questi Qusling vengono additati come esempi di virtù politica e persino morale, mentre le azioni e le idee di chi si oppone a tali governi fantoccio sono definiti con l’epiteto di terrorista, estremista, comunista, antipatriottico.
Tutto questo conferma come i concetti storici di collaborazionismo e resistenza non solo non rappresentino –come è ovvio- degli assoluti ma siano soggetti a mutare di referente in stretta relazione al punto di vista del vincitore. Ma dato che la storia di cui stiamo parlando è anche quella che stiamo vivendo, sarebbe bene che i collaborazionisti europei del governo statunitense recuperino «l’autonomia di giudizio e di azione alla quale i complessi di inferiorità conseguenti alla seconda guerra mondiale li hanno spinti a rinunciare, sciogliendosi da quell’abbraccio con un alleato di giorno in giorno sempre più simile ad un dispotico padrone che potrebbe di qui a qualche tempo rivelarsi, per loro, mortale» (Marco Tarchi, Diorama Letterario 260, luglio-agosto 2003, p. 5).
Un attempato re norvegese mostrò di possedere maggiore dignità e senso della democrazia rispetto a tanti politici contemporanei, anche italiani, finanziati da un governo straniero, al servizio dei suoi interessi e non di quelli dei popoli che dovrebbero rappresentare.

Resistenza

La dimensione pubblica va dissolvendosi nella supremazia della finanza sulla politica; una trasformazione che è cifra, senso e spiegazione profonda di quanto sta accadendo nel XXI secolo.
Ne discuteremo al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali di Catania venerdì 10 maggio 2019, alle 16,00 in un incontro dal titolo Elementi di resistenza. Io parlerò delle ragioni e dei modi per Resistere all’ultraliberismo.

 

Nebbia

Una questione privata
di Paolo e Vittorio Taviani
Italia – Francia, 2017
Con: Luca Marinelli (Milton), Valentina Bellè (Fulvia), Lorenzo Richelmy (Giorgio), Andrea Di Maria (prigioniero fascista)
Trailer del film

Il romanzo di Beppe Fenoglio diventa una serie di frammenti sulla guerra partigiana, sull’odio, sulla gelosia, sul rincorrersi vano e feroce degli umani alla ricerca dell’amore perduto. L’amore di una donna, certo. Ma soprattutto l’amore dei propri simili, anche quando la guerra devasta e il conflitto mostra il suo ruggito di niente.
Tutto accade attraverso gli occhi di Milton, il partigiano innamorato della scostante (è un eufemismo) Fulvia, una sirena pronta a illuderlo e altrettanto pronta ad abbracciare anche Giorgio, il migliore amico di Milton. Quando Giorgio è catturato dai fascisti, i tentativi di Milton di liberarlo somigliano più ad atti di suicidio che a gesti di fratellanza.
Come sempre, Amore e Morte vivono insieme e compongono la nebbia che in Omero avvolge i guerrieri quando un dio li vuole fermare, la stessa nebbia che sin dall’inizio scandisce i movimenti dei giovani idealisti e feroci che si massacrarono per il Duce o per gli angloamericani, i cui aerei vengono addirittura ‘benedetti’ in una delle scene meno sensate di un film privo del tocco epico e poetico di altre opere dei Taviani.
Due momenti lo segnano, belli, struggenti e crudeli. La bambina che si alza, va a bere e poi torna a stendersi abbracciata al cadavere della madre uccisa. Il fascista prigioniero che imita un’intera orchestra di percussioni jazz prima che il suono di un altro strumento faccia silenzio in lui e dentro il mondo.

Agire

Lettere da Berlino
(Jeder stirbt für sich allein)
di Vincent Pérez
Germania, 2015
Con: Brendan Gleeson (Otto Quangel), Emma Thompson (Anna Quangel), Daniel Brühl (Escherich)
Trailer del film

«Ogni umano muore da solo» recita il titolo originale di questo film, che inizia con il giovanissimo soldato Hans Quangel ucciso sul fronte francese. I suoi genitori, due operai di Berlino, reagiscono alla notizia in modo insieme composto e disperato. E poi agiscono. Cominciano a scrivere cartoline nelle quali accusano il regime nazionalsocialista di menzogna, di assassinio, di volere la distruzione degli operai e del popolo tedesco. Lasciano queste cartoline nei palazzi privati, negli uffici, nelle scuole. Quando saranno catturati, il potere potrà ucciderli ma non renderli servi.
Ispirato a una vicenda realmente accaduta, classico nella struttura, sobrio nella sceneggiatura e nella recitazione, un po’ consueto nel delineare il male nazista, Jeder stirbt für sich allein testimonia di quanto sia difficile rimanere liberi là dove il corpo sociale sembra permeato e intriso di sottomissione. E tuttavia testimonia anche di come ribellarsi sia possibile, sempre. Non importa quanti leggeranno e avranno il coraggio di conservare quelle cartoline -sembra soltanto 18 su più di 260-, conta il gesto di rivolta contro il conformismo dell’autorità, la violenza della guerra, la stupidità del Narciso al potere.
Tre caratteristiche -conformismo, violenza, stupidità- che non sono certo limitabili al Führer germanico ma valgono anche per chi oggi comanda l’Impero, l’Italia, l’Europa. Ai quali sembrerebbe più facile -rispetto a quanto lo fosse di fronte al regime nazionalsocialista- opporre ragione e autonomia e che invece hanno a disposizione strumenti mediatici capaci di conseguire ciò che il peso della repressione totalitaria non riuscì a raggiungere: trasformare il comando nel pensiero illusoriamente spontaneo dei servi. Anche per questo sono un anarchico.

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