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Platone, il pugile

Simone Regazzoni
La palestra di Platone
Filosofia come allenamento
Ponte alle Grazie, Milano 2020
Pagine 204

Aristocle era il nome di un giovane ateniese del V-IV secolo membro di una delle famiglie più potenti della città, dotato di una intelligenza profonda e ramificata, fisicamente assai prestante, tanto da vincere gare di lotta nei giochi istmici (e forse anche olimpici), proprietario di una palestra frequentata da giovani, ragazze, schiavi.
Il nome con il quale quest’uomo è diventato famoso è però Platone. Soprannome che gli venne dato da Aristone, suo maestro di lotta, proprio per la sua complessione fisica, per il suo vigore di atleta. È deviante ed equivoca, dunque, la rappresentazione che di questo filosofo diede Raffaello nel suo pur magnifico affresco della Scuola di Atene. L’uomo raffigurato al centro della composizione è Leonardo da Vinci. Una realistica testimonianza della figura di Platone è invece l’erma del 125 che si trova a Berkeley, la quale rappresenta appunto un atleta con la tipica fascia nei capelli; postura confermata dal bellissimo busto del I secolo che si trova nel Museo archeologico nazionale di Napoli (immagine di apertura).
Quest’uomo non avrebbe dunque mai potuto disprezzare il corpo e fondare una metafisica dualistica. Elementi questi che sono presenti in Plotino e nel neoplatonismo ma non in Platone. Basta leggere i dialoghi per rendersene conto, con l’eccezione del Fedone, che si spiega anche con gli specifici obiettivi di quel testo, con la sua volontà di considerare ancora e sempre vivo il maestro Socrate.
In realtà, «l’attenzione per il corpo da parte di Platone è totale» (p. 94) ed emerge in una molteplicità di espressioni e forme. Tra queste la vicenda biografica di un filosofo che fu appunto atleta e lottatore, forse anche di pancrazio, la lotta cruenta, senza esclusione di colpi. E poi soprattutto una concezione della filosofia come ‘corpo a corpo’, colpi che si danno e colpi che si ricevono, competizione costante e lotta all’ultima verità. L’unità corpomentale è così profonda da rendere «impossibile pensare la filosofia platonica senza pensare la lotta: si pensano e si praticano l’una attraverso l’altra» (52-53); ἄσκησις è un termine greco che è venuto a connotare l’ascesi come rinuncia ma esso significa anche e soprattutto esercizio, allenamento fisico in vista di un risultato, di una vittoria; ascesi significa mettere alla prova se stessi, vuol dire esistenza impegnata nella lotta. La dialettica è questo, è un esercizio continuo del corpomente, un allenamento alla vita, un «dare forma alla vita, è una forma di vita» (84).
Vita che sempre e ovunque, e dunque anche negli umani, è rapporto e confronto quotidiano con il buio che siamo, con l’aggressività che ci pervade e ci difende, con la violenza intrinseca al vivente. La lotta della quale Platone fu un maestro, la lotta fisica, è segnale e forma di questo confronto e di una tensione rivolta a utilizzare la forza senza però distruggere, volta a dare una forma al male. La lotta è, nella sua radice profonda, un confronto non con altri umani ma una relazione con la morte, con il limite ultimo che ci costituisce. «Si tratta di rendere più potente, più intensa, più affermativa la vita in un confronto continuo con la morte» (67). Confronto che pervade anche e soprattutto il Fedone. Quella filosofica è «una vita che fa corpo, fin dentro la morte, con la filosofia» (187).
L’altro filosofo che concepisce l’esistenza sempre come Strebung, sforzo, aspirazione, lotta, corporeità, è Friedrich Nietzsche, che infatti viene citato assai di frequente e con ammirazione da Regazzoni in questo libro originale anche perché chiaramente tendenzioso nell’attribuire a Platone e ai Greci una centralità della ‘palestra’ che mi sembra fortemente contemporanea. In ogni caso, la lotta platonica e la corporeità nietzscheana costituiscono anche direzioni e itinerari volti a comprendere davvero ciò che siamo, a «divenire animale», a esercitare il «pensiero animale», come recitano i titoli dei capitoli 26 e 27 del libro. Lo Übermensch, «l’oltre-umano [va] inteso come divenire animale» (167), quell’«animale che siamo» (19) poiché l’animalità è l’evidenza del corpo e del tempo, della corporeità temporale che ci costituisce.
L’animale è flusso, è differenza, ed è semplicemente corpo. L’animale può davvero dire «Leib bin ich ganz und gar, und Nichts ausserdem; ‘Corpo io sono in tutto e per tutto e nient’altro’» (Also sprach Zarathustra, I parte, “Von den Verächtern des Leibes” – “Dei dispregiatori del corpo”).
L’animalità è a sua volta parte dell’intero, della materia, dell’inorganico di cui la vita organica rappresenta soltanto una ramificazione, «una varietà dell’inanimato e una varietà alquanto rara», come afferma ancora una volta Nietzsche  (La gaia scienza, af. 109) e come emerge dalle parole belle e vere di Roger Caillois, ricordate da Regazzoni: «Parlo delle pietre che c’erano prima della vita e che restano dopo di essa sui pianeti raffreddati. Parlo delle pietre  che non devono neanche attendere la morte e che non hanno null’altro da fare che lasciarsi scivolare su di sé la sabbia, la pioggia o la risacca, la tempesta, il tempo» (Pietre, a cura di G. Zuccarino, Graphos 1988, p. 9).
Non stupisce dunque che il pensiero platonico possa essere riletto nella direzione di una metafisica della materia, per la quale le forme ideali sono inseparabili dalle forme dei corpi.

[Devo la lettura di questo libro alla segnalazione del mio allievo Marco Iuliano, che ringrazio]

«Il corpo è una grande ragione»

Venerdì 16 settembre nel Parco Archeologico di Giardini-Naxos dalle 16.30 si terrà un pomeriggio di riflessione sul tema della corporeità nell’ambito delle iniziative di «Naxoslegge». L’evento ha come titolo Scritto sul corpo.
La prima conversazione si svolgerà con Danilo Breschi sul tema del Corpo elettrico.
La seconda consisterà in una passeggiata archeo-filosofica condotta da me. Il titolo è «Corpo io sono in tutto e per tutto», un’affermazione che si legge nella I parte di Also sprach Zarathustra: «Leib bin ich ganz und gar, und Nichts ausserdem». Nella traduzione di Mazzino Montinari: «Corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro». Nietzsche continua scrivendo che «il corpo è una grande ragione. […] Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto –che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo» («Opere», Adelphi, vol. VI/1, I parte, “Von den Verächtern des Leibes” – “Dei dispregiatori del corpo”, p. 34).

L’essere umano è assai più che un Körperhaben, l’avere un corpo, e diventa un Leibsein, l’essere una corporeità situata in un ambiente anche culturale e sociale. Il corpo è  una struttura isotropa, dalla quale inizia e si espande l’intero mondo della persona.
-Il corpo è corporeità vivente nel tempo e abitante un mondo.
-Il corpo è il nodo ontologico nel quale si raccolgono il mondo, il tempo e l’intenzionalità dei significati.
-Il corpo è un insieme di strutture materiali e nello stesso tempo è una regione semantica.
Il corpo è quindi l’elemento percettivo, fenomenologico, precategoriale e primario da cui tutto nasce, del quale è intessuta ogni esperienza e nella cui dissoluzione finiscono per l’individuo il tempo, il bios e, con essi, ogni possibile significato.
Anche per questo l’umano è una macchina naturale che si articola in tre espressioni principali.
Siamo corpi comprendenti e quindi semantici
Siamo corpi intramati di desideri
Siamo corpi pulsanti nel tempo e di tempo intessuti.

Le libertà

È il senso dei giorni, è la condizione delle scienze, è l’eredità degli eventi e delle idee che hanno reso luminosa l’Europa, è il desiderio, l’impegno, la lotta per le libertà del corpo sociale e di conseguenza degli individui che ne fanno parte. A questo patrimonio stiamo rinunciando con miopia, incoscienza, stanchezza, rassegnazione, irresponsabilità.
Anche per questo il numero 27 (settembre 2022) di Vita pensata dedica alle libertà una riflessione molteplice e unitaria, che ruota intorno ad alcuni grandi pensieri della filosofia europea: Kant, Foucault, Fichte, Nietzsche, Rousseau, Proust; che difende la scuola e l’università in quanto luoghi nei quali può e deve svilupparsi un atteggiamento critico verso l’informazione e il potere. Se non lo fanno scuola e università, chi potrà mai garantire la libertà dai dogmi dell’autorità politica, religiosa, mediatica, finanziaria?
Al dominio e alle sue tentazioni di morte opponiamo il nostro essere pervasi di un amore spericolato e insieme lucido verso il vivere liberi. Un amore che ci fa vedere quanto e come le tendenze dispotiche che attraversano il corpo politico collettivo sono in questi anni talmente vaste e profonde da far sì che la libertà che riusciremo a conquistarci non sarà mai troppa.

Stefano Piazzese su Disvelamento

Stefano Piazzese
Recensione a Disvelamento. Nella luce di un virus
in Discipline Filosofiche (4 luglio 2022)

«La prospettiva ermeneutica da cui l’autore guarda il presente è plurale, mai univoca; infatti, come può una sola dimensione, e/o indirizzo del sapere, avere il primato ermeneutico su un evento costituito da una molteplicità di dimensioni?
Il rigore dello sguardo filosofico è dato sempre dal metodo – non si dà filosofia senza di esso –, che Biuso delinea nel seguente modo: “si tratta di capire la complessità di ciò che accade e di affrontarlo con coraggio e lucidità, sine ira et studio, con equilibrio esistenziale e scientifico” (p. 13). L’onestà intellettuale dello studioso, nonché la sua missione all’interno della comunità, consiste, in primo luogo, nel fornire delle chiavi di lettura valide per interpretare gli enti, gli eventi e i processi che del mondo costituiscono l’incessante accadere. La validità delle chiavi di lettura fornite da Biuso risiede non solo nella formulazione degli interrogativi fondamentali che la pandemia, come evento globale, ha fatto riemergere, ma pure nelle risposte storicamente fondate che rafforzano la tesi principale del libro, così enunciata da Davide Miccione: “l’epidemia e il suo uso politico hanno messo in luce le viltà e le debolezze di interi settori, le fragilità di quella democrazia che diamo per acquisita e, soprattutto, la miseria teoretica e morale di coloro che dovrebbero analizzare e spiegare il mondo”. […]
Biuso invita ad avere uno sguardo ampio e comprendente, dunque, la complessità dell’evento in questione, poiché ogni singolo aspetto isolato non è sufficiente a coglierne i vasti connotati sociali, storici, individuali. […]
Tra i diversi filosofi citati, un particolare posto spetta a Nietzsche, a cui è dedicato il quindicesimo capitolo. In che modo il filosofo di Röcken può aiutarci a comprendere la pandemia? Biuso ricorre al cosiddetto metodo genealogico per evidenziare “ciò che sempre sta e opera sotto le forme, lo si sappia o no” (p. 113). […]
L’analisi di Biuso, lungi dall’essere un lamento pessimistico, comprende anche una pars construens che risponde alla domanda: cosa fare? Ripensare l’epidemia vuol dire costruire un pensiero che non sia riduttivo, affrettato, mediatico e neppure antropocentrico, puramente sanitario (pp. 139-140). Si tratta di saper andare oltre la tragica e liberticida contingenza dell’epidemia, vuol dire, ancora, cogliere la follia del presente e saperne tracciare un rimedio, un pharmakos».

Narciso

Piccolo Teatro Studio – Milano
Carbonio
Scritto e diretto da Pier Lorenzo Pisano
Con Federica Fracassi e Mario Pirrello
Scene di Marco Rossi
Sino al 3 luglio 2022

Il carbonio – C – si trova dappertutto nell’universo ma qui è assunto come sinonimo di vita terrestre. La vita degli animali, la vita delle piante, la vita degli elementi atmosferici, la vita insomma. Ma per la prima volta un essere umano ha un contatto (di due minuti ma ce l’ha) con qualcosa che non è fatto di carbonio. E diventa quindi impossibile spiegare che cosa sia «perché non abbiamo termini di paragone». Un’esperta -non si sa se psicologa, chimica, spia, magistrato- gli pone domande su domande per tentare di comprendere di che cosa si sia trattato e quali potrebbero essere le conseguenze di quell’incontro, che pure è stato ripreso da moltissimi video. Ma nulla si riesce a capire e a sapere.
Scavando scavando tuttavia emergono possibilità e spiegazioni chiaramente ispirate all’ipotesi del multiverso formulata dal fisico Hugh Everett, della quale un altro fisico, Lee Smolin, dice giustamente che «non potrà mai essere verificata o falsificata, il che pone questa fantasia al di là dei confini della scienza. Ciò nonostante, non pochi fisici e matematici stimati difendono questa idea» (La rivoluzione incompiuta di Einstein. La ricerca di ciò che c’è al di là dei quanti, trad. di S. Frediani, Einaudi 2020, p. XVII). Si tratta infatti di una «interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica» per la quale gli eventi hanno tutti dei sviluppi diversi e alternativi rispetto a quelli che vediamo nella nostra realtà, e tali sviluppi creano un numero infinito di mondi; «affinché la cosa funzioni, ciascuna versione di un osservatore non deve avere modo di comunicare con gli altri: i rami devono essere autonomi» (Ivi, p. 122). Il desiderio del protagonista che un preciso evento abbia avuto sviluppi e conseguenze diverse da quelle che ha avuto sembra coniugarsi all’incontro con l’alieno, producendo una frattura nel reale che è l’inevitabile premessa dell’assurdo. Scrive infatti ancora Smolin che «la conseguenza più provocatoria e, per me, sgradevole dell’ipotesi di Everett è che dobbiamo credere che ognuno di noi abbia un numero infinito di copie, ciascuna viva e cosciente esattamente come noi. Fa pensare alla fantascienza più che alla scienza, ma sembra proprio che sia una conseguenza diretta dell’ipotesi di Everett» (Ivi, p. 144). In questo modo infatti siamo noi a nostra volta una delle tante copie. La realtà si dissolve.
A tale insensatezza fisico-chimica, Pier Lorenzo Pisano aggiunge riferimenti politici (uno, che tra qualche tempo diventerà incomprensibile, anche a Trump), drammi familiari, tracimazioni psicologiche. Insomma un minestrone drammaturgico che alla fine rende non soltanto incoerente il risultato ma a tratti lo fa anche noioso.
Lo spettacolo ha una struttura duplice: al dialogo serrato tra Lui e Lei si alterna la presenza dello stesso autore che fa vedere e spiega alcune delle immagini e dei simboli inviati nello spazio interplanetario (e  si prevede poi anche oltre) con le due sonde Voyager nel 1977. Pisano fa giustamente notare con ironia la bruttezza e l’incomprensibilità di molte di queste immagini, il cui scopo dovrebbe consistere nel comunicare a una ipotetica civiltà aliena il modo in cui siamo fatti ed esistiamo. Ancora una volta presupponendo che a tali civiltà importi sapere qualcosa di noi e che adottino dei codici compatibili con i nostri. «Vanitas vanitatum homo» (Nietzsche, Umano, troppo umano II, «Opere» IV/3, Adelphi 1967, af. 12, p. 141). Si potrebbe definire così Homo sapiens: mammifero di grossa taglia, quasi interamente glabro, caratterizzato da un complesso apparato fonatorio-linguistico e con tendenze fortemente narcisistiche.
Per cercare di temperare il narcisismo del ‘carbonio’ umano – un poco patetico e un poco patologico – si può ricordare un’altra saggia osservazione nietzscheana, secondo la quale «Hüten wir uns, zu sagen, dass Tod dem Leben entgegengesetzt sei. Das Lebende ist nur eine Art des Todten, und eine sehr seltene Art (Guardiamoci dal dire che morte sarebbe quel che si contrappone alla vita. Il vivente è soltanto una varietà dell’inanimato e una varietà alquanto rara)» (La gaia scienza, trad. di F. Masini, «Opere» V/2, af. 109, p. 118).
Si può aggiungere, una varietà alquanto malaticcia.

Una luce inquieta

Recensione a:
Eugenio Mazzarella
Nietzsche e la storia
Storicità e ontologia della vita
Carocci Editore, 2022
Pagine 212
in Discipline Filosofiche, 20 maggio 2022

Cercare di comprendere l’inquieta luce che il pensiero di Nietzsche è per tutti noi implica la forza metodologica di applicare anche a lui l’energia decostruttiva con la quale questo filosofo legge il mondo e ogni sua manifestazione. E dunque «prendere posizione con Nietzsche contro Nietzsche» (p. 22), come fa Eugenio Mazzarella. Posta tale condizione sarà possibile intendere «la costellazione Nietzsche» come «compimento zarathustriano del pessimismo della forza prospettico» (p. 133), che ritorna all’originaria matrice del pessimismo romantico dal quale era partito dopo aver però attraversato con lucidità la finitudine umana e averne inteso l’inoltrepassabilità. Dal Dioniso greco al Dioniso zarathustriano attraverso una decostruzione dell’umano – e del vivente in genere – che ne mostra il limite costitutivo sia ontologico sia gnoseologico. La parola nietzscheana per questo limite è «prospettivismo».

[Sulla stessa rivista sono state pubblicate nel 2022 alcune interessanti recensioni di due miei allievi.
Enrico Palma: Andrea Pace Giannotta, Fenomenologia enattiva. Mente, coscienza e natura
Enrico Palma: Marco Maggi (a cura di), Walter Benjamin e la cultura italiana
Stefano Piazzese: Ágnes Heller, Tragedia e Filosofia. Una storia parallela ]

Comunità scientifica

Teoria e prassi della comunità scientifica
in Koinè, anno XXVIII – 2021
«Ideali di Comunità»
pagine 99-114

Pdf del saggio

  • Indice del saggio
    -Che cos’è una comunità scientifica
    -Due teorie della pratica scientifica: Spinoza e Gentile
    -I Greci come comunità scientifica
    -Un caso empirico: Atene
    -La comunità scientifica come comunità libertaria
    -La comunità scolastica
    -La comunità universitaria
    -Canetti e Nietzsche: una gaia scienza

Una comunità scientifica è parte, forma ed espressione di una più ampia comunità politica, della πόλις, della storia e delle strutture collettive dalle quali germina e che la rendono possibile. A costituire in particolare una comunità scientifica sono alcune condizioni ed elementi che è possibile unificare e riassumere in questo modo: si dà comunità scientifica dove la curiosità prevale sul conformismo, dove la ricerca prevale sul dogma, dove la libertà prevale sull’obbedienza, dove la conoscenza diventa un fine in se stessa (autonomia) e non è rivolta ad altro da sé (eteronomia).
Rispetto all’attuale dominio dell’etica in ogni aspetto della vicenda umana e naturale -bioetica, deontologie, proliferare di etiche normative– i Greci ritengono che sia la filosofia stessa, la sua sostanza comunitaria e dialogica, la più efficace guida dei comportamenti, delle esistenze, dei conflitti.
La prassi quotidiana delle comunità scientifiche – intese specialmente come comunità accademiche – è inevitabilmente segnata dagli elementi che guidano tutte le comunità umane, da un misto di collaborazione, competizione, invidia, malevolenza, amicizia, legami che si creano e legami che si rompono. Gli elementi più problematici sono stati aggravati, in Italia ma non solo, dagli ordini dei decisori politici i quali da almeno un paio di decenni accentuano gli elementi della normativa che impongono competizioni, esclusioni, guerre interne.
Si tratta di modalità arcaiche e forse inevitabili della relazione, che nessuna modernità o postmodernismo può cancellare. Sarebbe però importante mantenere sempre la misura. 

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