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London

La rapina perfetta
(The Bank Job)
di Roger Donaldson
USA, 2008
Con: Jason Statham (Terry), Saffron Burrows (Martine), Stephen Campbell Moore (Kevin), Daniel Mays (Dave)
Trailer del film

Nei bassifondi di Londra. Un luogo che è tutto un bassofondo. Anche e soprattutto nei palazzi e nelle sedi dove si riuniscono il Parlamento e vive la cosiddetta ‘famiglia reale’. Il film narra un evento realmente accaduto in questa città.
Nel 1971 in un’agenzia della Lloyd Bank avvenne una rapina durante la quale vennero svuotate le cassette di sicurezza del caveau tramite il tradizionale, ma evidentemente efficace, strumento di un tunnel scavato sotto la banca. Dopo pochi giorni dalla clamorosa notizia non si parlò più della rapina e dei suoi esecutori. Silenzio. Cosa tanto più singolare in quanto i protagonisti del fatto, lo si comprese subito, non erano dei professionisti ma dei banali ladruncoli. La censura mediatica scattò immediatamente. Con il tempo si venne a sapere perché. La ragione stava nel fatto che la rapina era stata attuata da ignari e ignoti personaggi ma era stata ispirata e organizzata dai Servizi Segreti Britannici (MI5) per trafugare da una delle cassette di sicurezza le foto di Sua Altezza Reale Margaret, contessa di Snowdon, sorella della Regina Elisabetta II. Le foto rappresentavano l’Altezza Reale impegnata in un’orgia. Foto scattate e utilizzate da un «attivista dei diritti dei neri», che era un criminale, un pappone e uno spacciatore, il quale però non veniva mai inquisito o se arrivava in tribunale veniva regolarmente assolto. Numerosi poliziotti di Scotland Yard erano ulteriormente messi a tacere tramite donazioni di altri criminali legati allo stesso ambiente. Varie cassette di sicurezza della stessa banca contenevano le foto di ministri e personaggi del Governo Britannico impegnati in pratiche sadomaso, alcuni dei quali si dimisero discretamente dalle loro cariche pubbliche mentre numerosi poliziotti vennero inquisiti per corruzione.
The Bank Job racconta questi eventi con ovvia libertà sui particolari dell’intreccio ma con la chiara consapevolezza politica, e non soltanto spettacolare, di come corrotto e violento sia il potere nello Stato britannico (non solo in esso, ovviamente), di quanto dannosa sia l’esistenza e la presenza dell’istituzione monarchica, i cui membri – lo hanno confermato le vicende della prima moglie e dei figli dell’attuale sovrano Carlo III Windsor – conducono esistenze sfarzose, parassite e spesso depravate. Allo stesso modo, è noto che un figlio dell’attuale presidente Usa è coinvolto in traffici criminali e in pratiche pedofile (le foto si trovano in rete, costoro non si nascondono più di tanto, sicuri dell’impunità).
Il potere anglosassone è un esempio di che cosa siano o siano diventate le cosiddette «democrazie liberali», strutture politiche alle quali il resto dell’Occidente affida la leadership, generando i fenomeni raccontati da questo thriller e già in atto da decenni: controllo sulla vita dei cittadini e sull’informazione; censura completa attuata su eventi, personaggi e situazioni dei quali non si deve sapere nulla; pratiche di corruzione a tutti i livelli, che oggi – 2023 – toccano soprattutto gli ambiti ecologico e sanitario/farmaceutico, oltre quello – tradizionale – dell’industria militare. Ogni tanto anche un’opera pop come The Bank Job svolge il compito che Foscolo attribuisce alla filosofia politica di Machiavelli: «sfrondare» le apparenze filantropiche delle autorità e mostrare invece «di che lagrime grondi e di che sangue» il potere tra gli umani (Dei Sepolcri, vv. 157-158).
Credere che le decisioni e gli ordini delle autorità costituite siano prese per la salvaguardia del corpo sociale è una favola alla quale soltanto dei cittadini-infanti possono continuare a credere. Il cuore dell’autorità è sempre Heart of Darkness.

[Foto di GR Stocks su Unsplash]

Potere

Oppenheimer
di Christopher Nolan
USA, 2023
Con: Cillian Murphy (Robert Oppenheimer), Robert Downey Jr. (Lewis Strauss), Emily Blunt (Katherine Oppenheimer), Matt Damon (Leslie Groves), Florence Pugh (Jean Tatlock), Benny Safdie (Edward Teller), Kenneth Branagh (Niels Bohr), Jason Clarke (inquisitore)
Trailer del film

Shakespeare (in particolare Riccardo III e Macbeth), Machiavelli (Il Principe), Canetti (Massa e potere) ci hanno mostrato che il potere è un fatto pervasivo e stratificato, evidente e complesso. Ma la sua sostanza non è difficile da cogliere: il potere è espressione e forma della dissoluzione, è radice sempre attuale dei bisogni animali della nostra specie, è raffinata giustificazione della violenza, è la brutale e penultima parola sugli eventi. Penultima perché l’ultima è la conoscenza che indaga sugli esiti del potere, come appunto in Skakespeare, Machiavelli, Canetti e in altri.

Nel Novecento c’è stato un momento (in verità assai lungo) nel quale il potere della filosofia/scienza, nella forma della fisica teorica, e quello politico conversero nella progettazione, realizzazione e utilizzo di un fuoco mai visto, devastante, accecante. Il fuoco generato dalla manipolazione umana del nucleo dell’atomo, fuoco che come onda inarrestabile e totale brucia, dissolve, cancella tutto ciò che incontra. E trasforma quanto di biologico gli sopravvive in un grumo senza fine di piaghe e di dolore.
L’unica potenza che sinora – 2023 – ha utilizzato contro altri stati e contro gli umani e i viventi tale fuoco sono gli Stati Uniti d’America, il 6 agosto 1945 dissolvendo Hiroshima, il 9 agosto cancellando Nagasaki.
Christopher Nolan racconta le origini di questa vicenda, il suo svilupparsi dentro un intrico fatto di carriere universitarie, di procedure e risultati scientifici, di innovazioni tecnologiche, di scommesse e di azzardi, di ambizioni politiche, di dismisura storica. Il presidente USA Harry Truman (del Partito Democratico, interpretato per pochi ma sufficienti minuti da uno straordinario e cinico Gary Oldman) al fisico Oppenheimer che afferma di sentire le mani grondanti di sangue, offre il suo fazzoletto per pulirsele e giustamente gli dice che «lei ha utilizzato la bomba a Los Alamos, non c’entra nulla con Hiroshima e Nagasaki. Le bombe le ho sganciate io».

Los Alamos (New Mexico) fu la sede principale del Progetto Manhattan, che ideò e realizzo gli ordigni nucleari. A guidare il progetto fu appunto Robert Oppenheimer (1904-1967), uno tra i maggiori fisici del Novecento, protagonista del primo esperimento atomico avvenuto il 16 luglio 1945, esplosione alla quale venne data una denominazione religiosa: Trinity.
Di questa persona e personaggio dalla natura complessa, riservata e narcisista, sfuggente, ambiziosa, sostanzialmente malata come quella di tutti i grandi criminali, il film narra la vicenda dagli esordi di studente ai successi scientifici, all’impegno strenuo per realizzare la bomba atomica, ai sospetti di militanza comunista che gli valsero un’umiliante inchiesta, alla collaborazione prima e all’odio implacabile poi da parte di Lewis Strauss, un altro ebreo e Presidente della Commissione per l’energia atomica degli Stati Uniti d’America. Gran parte del film è giocata sul canto/controcanto delle udienze dal cui esito a Oppenheimer venne revocata «l’autorizzazione di sicurezza», e dunque la possibilità di continuare a lavorare ai progetti scientifico-militari degli USA, e a Lewis venne negato di entrare come ministro nel governo del Presidente Eisenhower. La contrapposizione tra i due protagonisti è un’autentica lezione di ciò che di solito si intende con  «machiavellismo».
Oppenheimer è un’opera sul potere ed è un’opera sulla morte. Un’opera epica nello stile, frenetica nel racconto (tre ore che scorrono senza che ci si renda conto), dinamica e complessa nella temporalità, come sempre in Nolan, a partire da Following (1998) e Memento (2000) sino a Tenet (2020). Un’opera radicale nell’indicare le origini di quello che sarà probabilmente il destino di gran parte del pianeta, forse in tempi non troppo lunghi: la distruzione per opera dell’energia atomica, della potenza inarrestabile della materia manipolata nel suo nucleo, degli ordigni termonucleari di cui sono pieni gli arsenali delle maggiori potenze politiche del presente.

Un’opera che coniuga la morte all’amore. Mentre si accoppia con lui, la giovane amante Jean chiede a Oppenheimer di leggerle alcuni versi di un libro in sanscrito che il fisico sta studiando. E le parole dicono: «Sono diventato morte, il distruttore di mondi». Frase che ritorna durante l’esplosione sperimentale del luglio 1945 a Los Alamos. Questo è il momento sublime del film, anche in senso kantiano: per circa due-tre minuti tace ogni suono e ogni musica (che accompagna invece in modo ossessivo tutta la vicenda), si fa improvviso silenzio, si vede di colpo e poi lentamente ampliarsi la scintilla del fuoco, salire, diventare fungo atomico, espandersi, illuminare, accecare, splendere. Tutto nel più assoluto silenzio e con i volti e i corpi dei fisici e dei militari stupefatti di fronte a tanta perturbante meraviglia.
Amore, potere, morte. Aver potuto sentire tutto questo recitato nella lingua originale di alcuni grandi interpreti ha dato ulteriore profondità alla visione di un’opera inquietante e omerica. Opera che è anche un altro omaggio di Nolan al suo modello Kubrick, il quale affermò che «la distruzione di questo pianeta sarebbe insignificante in prospettiva cosmica. […] Non ci sarà nessuno a piangere una razza che usò il potere che avrebbe potuto mandare un segnale di luce verso le stelle per illuminare la sua pira di morte»1.
Non ci sarà nessuno.

Nota
1. In Enrico Ghezzi, Stanley Kubrick, Il Castoro Cinema 1995, p. 12.

«Che l’uomo non sia carnivoro per natura»

Plutarco
Del mangiare carne
Trattati sugli animali
(Plutarchi Moralia selecta: De esu carnium; Bruta animalia ragione uti; De sollertia animalium)
Introduzione di Dario Del Corno
Traduzione e note di Donatella Magini
Adelphi, 2001
Pagine 296

Una delle ipotesi più accreditate sulle origini del Coronavirus è che si sia sviluppato nei mercati di carne animale, viva e morta. Può dunque essere utile leggere quanto un antico saggio ha argomentato contro la pratica umana di mangiare la carne di altri animali.
Il volume – ben tradotto e arricchito da due feconde introduzioni e da un imponente apparato di note – raccoglie infatti tre testi di Plutarco (47-127) dedicati all’animalità: De esu carnium; Bruta animalia ragione uti; De sollertia animalium, vale a dire Del mangiare carne, Gli animali usano la ragione, L’intelligenza degli animali di terra e di mare (questo il vero argomento, al di là del modo in cui viene intitolato in latino il terzo testo). 

Molto più che trattati di zoologia antica, molto più che una godibilissima antologia di centinaia di affascinanti leggende greche e romane sul mondo animale, le pagine di Plutarco mostrano alcune delle ragioni per le quali i due immediati successori di Aristotele alla guida del Peripato – Teofrasto e Stratone di Lampsaco – si allontanarono dalla scala naturae del Maestro, sostenendo invece la presenza di una ψυχή, della mente, in tutti gli animali.
Il paradigma proposto da Teofrasto, Stratone, Plutarco è opposto a quello biblico ben testimoniato dalle parole che Yahweh (הְוֶה) rivolge a Noè all’uscita dall’arca: «Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere. Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo» (Genesi, 9, 2–3; trad. La Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane 1988, p. 50).

Il paradigma di questi Greci si può invece riassumere in alcuni punti tanto chiari quanto fondamentali per comprendere le dinamiche dell’οἶκος, della comune abitazione dei viventi:
-tutti gli animali, qualunque sia la loro specie, sono dotati di percezione, ragionamento, comprensione della complessità degli ambienti nei quali vivono. A volte alcuni di essi impazziscono e non si può impazzire se non si possiede la ragione. Essi tutti sono in grado di comprendere i pericoli e di perseguire i vantaggi, in caso contrario semplicemente non esisterebbero; rispetto agli umani, sono anche dotati di un maggiore equilibrio nei comportamenti quotidiani, tanto è vero – afferma Grillo nel Bruta animalia ragione uti – che «le bestie, invece, hanno un animo totalmente inaccessibile e impenetrabile alle passioni di provenienza esterna, e vivono tenendosi lontano da vane illusioni» (cap. 6, 989 C, p. 91). Una superiorità etica alla quale si ispirò Machiavelli per il suo splendido e incompiuto poema L’Asino;
-tra le passioni che li muovono, gli umani nutrono una ferocia smodata, una costante aggressività, un eccesso persino sadico, dal quale le specie carnivore sono invece libere. Se infatti «per loro [serpenti, pantere, leoni] il sangue è un cibo vitale, invece per voi è semplicemente una delizia del gusto» (De esu carnium, 2, 994 B; 58), sino al punto che «per un minuscolo pezzo di carne priviamo un essere vivente della luce del sole e del corso dell’esistenza, per cui esso è nato ed è stato generato» (Ivi, 3, 994 E ; 59-60);
-la struttura anatomo-fisiologica di Homo sapiens è la più evidente prova della sua natura frugivora e non carnivora: «Che l’uomo non sia carnivoro per natura, è provato in primo luogo dalla sua struttura fisica. Il corpo umano infatti non ha affinità con alcuna creatura formata per mangiare la carne: non possiede becco ricurvo, né artigli affilati, né denti aguzzi, né viscere resistenti e umori caldi in grado di digerire e assimilare un pesante pasto a base di carne. Invece, proprio per la levigatezza dei denti, per le dimensioni ridotte della bocca, per la lingua molle e per la debolezza degli umori destinati alla digestione, la natura esclude la nostra disposizione a mangiare la carne. Se però sei convinto di essere naturalmente predisposto a tale alimentazione, prova anzitutto a uccidere tu stesso l’animale che vuoi mangiare. Ma ammazzalo tu in persona, con le tue mani, senza ricorrere a un coltello, a un bastone o a una scure» (Ivi, 3, 994 F -995 A; 60-61);
-l’abitudine al sangue e alla violenza inflitta ad altri animali si trasforma inevitabilmente in crudeltà verso i propri conspecifici, verso gli umani. Lo hanno ribadito, tra gli altri, filosofi come Kant, Schopenhauer, Horkheimer, Adorno, Marcuse e lo afferma con chiarezza anche Plutarco: «Queste pratiche insegnano […] a considerare il sangue, la morte di esseri umani, le ferite e i combattimenti il più raffinato degli spettacoli» (Ivi, 2, 997 C, 67); «Una volta che ebbero così gradualmente temprato la propria insaziabilità, gli uomini si volsero alle stragi dei loro simili, ai delitti e alle guerre» (Ivi, 4, 998 C; 70); «La caccia sia responsabile del diffondersi fra gli uomini dell’insensibilità e della ferocia» poiché essa corrobora «la componente sanguinaria e ferina, che è insita in loro [gli umani] per natura, e la resero inflessibile alla pietà […] Infatti l’abitudine è straordinariamente efficace nel far progredire l’uomo con il graduale insinuarsi degli affetti» (De sollertia animalium, 2, 959 D-F, 106-107);
-nutrirsi della carne di altri animali è, di fatto, un nutrirsi di cadaveri. Plutarco è su questo punto del tutto chiaro: «Io mi domando con stupore in quale circostanza e con quale disposizione spirituale l’uomo toccò per la prima volta con la bocca il sangue e sfiorò con le labbra la carne di un animale morto; e imbandendo mense di corpi morti e corrotti, diede altresì il nome di manicaretti e di delicatezze a quelle membra che poco prima muggivano e gridavano, si muovevano e vivevano. […] Come mai quella lordura non stornò il senso del gusto, che veniva a contatto con le piaghe di altre creature e che sorbiva umori e sieri essudati da ferite mortali?» (De esu carnium, 1, 993 B; p. 55).

L’ultimo trattato è il più lieve e curioso. In esso infatti due interlocutori, Aristotimo e Fedimo, difendono con convinzione rispettivamente l’intelligenza profonda degli animali di terra e di aria e quella degli animali marini. Una lode che arriva sino all’ammirazione e al sacro. Una lode così convinta che Soclaro, che li ha ascoltati, conclude che «collegando i vostri discorsi contrapposti, entrambi lotterete insieme validamente contro chi priva gli animali di ragione e di intelligenza» (De sollertia animalium, 37, 985 C, 188). Emerge in questo modo evidente la contraddizione logica e retorica che intride tutto il dialogo e che consiste nel fatto che gli animali così efficacemente descritti, dei quali si dimostra la sensibilità, l’intelligenza, la nobiltà dei comportamenti, vengano lodati da coloro che però difendono poi la caccia che a loro viene data, la morte che a loro viene inferta.
Credo si tratti di un effetto voluto da Plutarco, il quale – per bocca di Fedimo – riconosce l’universalità della lotta, della violenza e della morte che intridono il mondo dei viventi, di tutti gli animali: «E la natura ha creato per loro tale ciclo e tale avvicendarsi di reciproci inseguimenti e fughe come esercizio e pratica di competizione per l’abilità e l’intelligenza» (Ivi, 27, 979 A, 168). E però l’intelligenza è capace di allontanarci, per le ragioni da Plutarco ben argomentate, da una pratica tanto insensata quanto feroce come il mangiar carne.

The Godfather

The Godfather
(Il Padrino)
Parte I (1972) – Parte II (1974)
di Francis Ford Coppola
Con: Marlon Brando (Vito Corleone), Al Pacino (Michele Corleone), Robert De Niro (Vito Corleone da giovane), Robert Duvall (Tom Hagen), James Caan (Sonny Corleone), Diane Keaton (Kay Adams), John Cazale (Fredo Corleone), Talia Shire (Connie Corleone), Al Lettieri (Virgil, ‘il Turco’, Sollozzo), Corrado Gaipa (Tommasino), Lee Strasberg (Hyman Roth), Michael V. Gazzo (Frankie Pentangeli), Gastone Moschin (Fanucci), Maria Carta (la madre di Vito), Morgana King (mamma Corleone)

«Perciò tutto ciò che è conseguente al tempo di guerra in cui ogni uomo è nemico ad ogni uomo, è anche conseguente al tempo in cui gli uomini vivono senz’altra sicurezza di quella che la propria forza e la propria inventiva potrà fornire loro. […] E quel che è peggio di tutto, vi è continuo timore e pericolo di morte violenta, e la vita dell’uomo è solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve» (Thomas Hobbes, Leviatano [1651], La Nuova Italia 1976, cap. XIII, p. 120).
Tale fu sin dall’inizio l’esistenza di Vito Andolini, diventato all’anagrafe statunitense Vito Corleone dopo essere sfuggito alla morte che il capomafia di Corleone, appunto, aveva inferto a padre, madre, fratello.
Onesto era Vito ma a Little Italy aveva dovuto imparare l’arroganza, l’umiliazione, la violenza. Ed era diventato Don Vito. Lo troviamo, ormai ricco, nel giorno del matrimonio della figlia; le cerimonie costellano infatti di sé l’intero film, lo scandiscono. Proprio quel giorno è venuto un uomo a chiedergli giustizia per la violenza subita da sua figlia e che i tribunali dello Stato gli hanno negato. Il film inizia con le parole di questo padre: «Io credo nell’America».
La stessa fede nutrita dal figlio minore e amatissimo di Don Vito, Michele, decorato al valore durante la Seconda Guerra mondiale e che al suo ritorno trova un’altra guerra costante, pervasiva, totale; trova il bellum omnium contra omnes e ne diventa il signore: malinconico, freddo, determinato, feroce. Sino alle scene conclusive delle due parti dell’opera: nella prima Michele riceve l’omaggio dei suoi uomini dopo essere diventato il capofamiglia; nella seconda ha ottenuto vendetta su tutti i suoi nemici, tra i quali anche un fratello, anche la moglie allontanata, anche un vecchio e potente ebreo che gli aveva portato la guerra in casa.

Lo sguardo di Michele è lontano, rassegnato, triste, interrogativo, silente. È lo sguardo del potente che domina su un regno di morti e lo sa: «Chi stermina tutti i nemici non ha più alcun nemico, e inoltre gode la vista dei loro mucchi ora inermi» (Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi 1981, p. 543).
È lo sguardo di Cesare Borgia, unito a quello di Machiavelli: «È molto più sicuro essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell’uno de’ dua»; «Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede [la parola data], quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E, se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma perché sono tristi [malvagi], e non la osservarebbano a te, tu etiam non l’hai ad osservare a loro» (Il Principe, capp. 17 e 18).

In quest’opera la morte arriva coniugata ai riti cattolici, lo sterminio si accompagna e si alterna alle professioni di fede, alla musica celeste, alla solennità della soteriologia cristiana. L’apice è raggiunto durante la cerimonia del battesimo, nella quale Michele fa da padrino al figlio di sua sorella, dichiarando che «rinuncia a Satana e alle sue opere» proprio mentre i suoi uomini uccidono uno a uno e in luoghi diversi i capi delle altre famiglie. Un montaggio magistrale, ironico e disperato. La cui efficacia si percepisce assai meglio vedendo i due film (come ho avuto di recente la possibilità di fare) nella versione originale con i sottotitoli, e potendo quindi apprezzare il continuo passaggio linguistico dall’inglese americano all’anglosiculo. Un originale linguisticamente e concettualmente più sobrio rispetto alla traduzione e al doppiaggio spesso ‘folcloristici’ della versione in italiano.
La seconda parte dell’opera è apertamente e fecondamente politica, con la Cuba del dittatore Fulgencio Batista finanziata sia dalle istituzioni sia dalla criminalità degli Stati Uniti d’America e con una commissione d’inchiesta contro la mafia nella quale i senatori americani sono in mano alle diverse famiglie mafiose, che li usano per reciproche accuse e vendette. Credo che solo il grande successo della prima parte abbia permesso a Coppola di poter essere così esplicito e libero nelle accuse rivolte al proprio Paese, che ne emerge per quello che è: una sentina di corruzione.
Su tutta l’opera domina, naturalmente, Shakespeare, del quale The Godfather è l’ennesima espressione. Riccardo III ma non solo. Il film è pervaso dall’antropologia di Hobbes, Machiavelli e Shakespeare.

Un’antropologia che in Sicilia conosciamo bene. La conosciamo bene a Catania, città dove forze non dissimili da quelle descritte nel Padrino vanno da tempo all’attacco dell’istituzione -l’Università- che pur con tutti i suoi limiti, anche territoriali e antropologici, può insegnare e praticare uno sguardo diverso rispetto a quello della legge del più forte; dove un’informazione comprata e venduta presenta il mondo e i suoi eventi in una chiave espressionistica e perennemente distorta; dove massonerie di tutti i generi stanno dentro le istituzioni che dovrebbero garantire i diritti, i doveri e l’eguaglianza dei cittadini; dove i più lontani dalla legge e dalle sue garanzie invocano continuamente la legge e le sue garanzie, ricevendo ascolto; dove un numero in fondo decisamente minoritario di soggetti riceve la stolta complicità, l’acquiescenza, l’ingenuità di coloro contro i quali operano: i giovani soprattutto.
In quest’ultimo caso la responsabilità è anche nostra: non abbiamo saputo fornire in modo adeguato ai nostri studenti gli strumenti per decifrare la realtà, comprenderne il male, guardarsi dai pericoli che si celano nella superficialità, nell’ignoranza, nei media tradizionali e digitali, nell’inganno ogni giorno perpetrato da molti, troppi, soggetti sociali. Non esiste, naturalmente, il Padrino. Esiste un oscuro tessuto di relazioni palesi e nascoste, istituzionali e private, locali e nazionali, individuali e di gruppo. Un tessuto rosso del sangue del futuro che i nostri giovani non avranno perché non hanno saputo e non abbiamo saputo liberarci dai Corleone che con altri nomi sono ancora i padrini di Catania.

Nati morti

Certo, «die Stunde ihrer Geburt ist die Stunde ihres Todes», ‘l’ora della loro nascita è l’ora della loro morte’1, è una verità che vale per ogni ente, evento e processo che si dà in natura. Compresi gli eventi politici. E tuttavia il Governo italiano che si è appena insediato è una manifestazione evidente del fatto che alcuni eventi mostrano il loro morire appena accadono. E dico questo non solo e non tanto nel senso che tale Governo sarà di breve durata. No, potrà  anche durare anni o l’intera legislatura (lo escludo, comunque) ma anche e soprattutto nel senso che è un Governo di morti.
Quando infatti uno zombie abbraccia un vivente, lo uccide. Il poco che del Movimento 5 Stelle era ancora vivo dopo la sottomissione alla Lega è già stato trasformato dal Partito Democratico in cosa morta. I capisaldi del Movimento, quelli che lo hanno condotto a ottenere la maggioranza relativa nell’attuale Parlamento italiano, erano costituiti:
-dalla difesa della plurale identità europea contro il colonialismo finanziario dell’Unione Europea e degli Stati Uniti d’America (è questo, in sintesi, il cosiddetto sovranismo);
-dalla difesa dell’ambiente, che in concreto vuol dire rifiuto categorico delle opere che devastano il territorio, prima tra tutte il Treno ad Alta Velocità, questione insieme economica, antropologica e simbolica;
-dall’affrancamento del Parlamento e delle Pubbliche Amministrazioni rispetto alle forze e ai gruppi che agiscono per l’interesse economico di pochi contro la Res Pubblica (ciò che in una formula si chiama lotta alla corruzione);
-dalla difesa dei diritti sociali e collettivi, al di là dell’enfasi liberale e liberista sui diritti individuali;
-dalla salvaguardia e dall’incremento dei posti di lavoro;
-dall’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, contro i privilegi che pervadono la società italiana.

Se una simile ispirazione era di difficile incarnazione in un Governo condiviso con la Lega, diventa del tutto irrealizzabile in un Governo condiviso con il PD e con le forze tanto piccole ed elitarie quanto asservite alla finanza internazionale, come +Europa e affini. Si può obiettare, certo, che il Movimento 5 Stelle non ha da solo la maggioranza e dunque non può esprimere un proprio Governo. È vero ma la risposta non è difficile: se il Movimento è uno strumento politico e non un fine in sé -come dai suoi esponenti è stato sempre detto– si doveva andare alle elezioni rivendicando ciò che di fecondo l’esperienza di governo aveva ottenuto e chiedendo al corpo elettorale un maggiore sostegno. È accaduto invece che motivazioni evidenti -il potere è dolce a chi lo esercita– e altre probabilmente nascoste hanno portato il Movimento 5 Stelle alla morte politica. Quella elettorale seguirà inevitabilmente.
Osservo di passaggio -ma è circostanza piuttosto grave– che il Governo è ostaggio in Parlamento non soltanto di piccoli gruppi come +Europa e Liberi e uguali ma anche e soprattutto dei senatori fedeli a Renzi; ciò significa che questo senatore del PD avrà in mano il Governo, lo potrà condizionare e ricattare come gli sembrerà più opportuno per i propri interessi.  Che il Movimento 5 Stelle non se ne accorga è implausibile; probabilmente le pressioni (e le promesse) sono tali da dover accettare questa eutanasia del Movimento.
Tramonto che era iniziato già prima della crisi di Governo, con il concorso determinante del M5S all’elezione di Ursula von der Leyen quale Presidente della nuova Commissione Europea, vale a dire del governo dell’UE. Questo esponente politico della CDU tedesca (Unione Cristiano Democratica) rappresenta molto bene la continuità di quelle politiche economiche recessive e inique alle quali il M5S si era dichiarato avverso. Von der Layen è stata eletta con la risicata maggioranza di 383 voti, soltanto 9 in più del numero necessario. Numero al quale i deputati europei del Movimento 5 Stelle hanno dunque fornito un contributo decisivo, del quale -certo- risponderanno storicamente.

Che l’alleanza con il PD sia più grave dell’accordo con la Lega è mostrato da (almeno) altri tre fattori:
–la Lega non controlla l’informazione, il PD sì, anche per l’alleanza con Mediaset, sancita a suo tempo da D’Alema e da Violante e confermata dai successivi capi del Partito;
la Lega è coerente con i propri presupposti, che non ha mai nascosto. Il PD è responsabile in Italia della morte (in ordine cronologico): della prospettiva comunista, della sinistra, dei diritti sociali. È un partito di centro che ha abbracciato in pieno l’ideologia e la pratica neoliberista ma che si presenta ancora come erede anche del Partito Comunista Italiano, affermazione evidentemente insensata ma che fa da presupposto di una formula altrettanto risibile quale «governo giallorosso», il ‘rosso’, infatti, non c’è;
–il PD è abilissimo quando si tratta di conquistare posizioni strategiche; aver regalato a questo partito il commissario europeo (nella persona di Paolo Gentiloni Silveri), cioè un ministro che in ogni caso rimarrà in carica per cinque anni a rappresentare l’Italia nel governo dell’Unione Europea, è solo una prima, grave e significativa tappa del piano inclinato che porterà al declino il M5S. È come per Gertrude, la monaca di Monza: il primo «sì» porta con sé tutti gli altri.

Qualunque tema sia indicato nel Programma concordato con Conte, l’interesse del Partito Democratico è stato tornare al governo e da lì poter logorare il Movimento 5 Stelle sino a quando quest’ultimo o romperà l’alleanza -e sarà quindi tacciato di ‘inaffidabilità’, se per la seconda volta (dopo la Lega) l’alleanza con esso stipulata non funziona- o cancellerà la propria identità. Anche un Machiavelli di sei anni lo capirebbe, figuriamoci uno adulto. Nella mia vita ho imparato -sia, appunto, dallo studio di Machiavelli, sia dall’esperienza- che un politico può avere molte qualità e molti limiti anche diversi ma non può essere ingenuo. In politica questo è un peccato mortale. Che infatti sta portando alla morte il M5S.
Se avessi previsto un’alleanza del Movimento 5 Stelle con il Partito Democratico non gli avrei naturalmente dato il mio voto. E infatti non lo darò più. E tuttavia ho fatto bene nel marzo 2018 a compiere tale scelta. Ha rappresentato l’ultima possibilità parlamentare di liberare l’Italia dal malaffare, dai privilegi e dal destino di miseria e subordinazione che l’obbedienza totale all’Unione Europea comporta. Così non è stato. Pazienza. La politica si fa anche in altri modi. Questo piccolo sito, ad esempio, è un’espressione politica anche quando parla di arte, di cinema, di libri, di filosofia. E qui coloro che hanno ucciso la sinistra, gli zombie del Partito Democratico, non mettono piede. Questo è un luogo vivo :–)

Nota
1. Hegel, Wissenschaft der Logik I, «Sämtliche Werke», Frommann 1965, Band IV, p. 147.

Democratici?

Tra i tanti commenti dedicati ai risultati delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, tenutesi lo scorso 26 maggio, ne ho letto uno che mi è parso emblematico. Questo:

 

(Fonte: Twitter)

Il testo è stato scritto da un soggetto che su twitter ha come avatar una foto di Enrico Berlinguer e che in altri interventi accusa l’attuale governo italiano di ‘assassinare la democrazia’. E poi scrive questa frase contro il suffragio universale.
Non si tratta di un caso di confusione ideologica da parte di una singola persona. Affermazioni come queste esprimono con efficacia il fondamento antidemocratico del politicamente corretto e, in generale, di chi oggi si crede di sinistra ma vive in sé impulsi decisamente autoritari. Avevo già letto molte affermazioni di questo tenore -formulate anche da persone che conosco- dopo la vittoria dei sostenitori della Brexit nel Regno Unito. Si tratta, lo sappiano o meno, di posizioni vicine a quelle sostenute dal lussemburghese Jean-Claude Juncker -Presidente della Commissione Europea- quando con esemplare chiarezza afferma che «il ne peut pas y avoir de choix démocratique contre les traités européens», ‘non può esserci scelta democratica contro i trattati europei’ (Fonte: Europe : une élection contre la démocratie, di Adlene Mohammedi, «Philitt», 26 maggio 2019).
Negli anni Dieci del XXI secolo semplici cittadini e potenti burocrati europeisti invocano dunque la fine o la neutralizzazione di una conquista di civiltà politica come il diritto di voto garantito a tutti i cittadini. E questo perché i risultati del voto non sono a loro graditi. Sta qui uno dei nuclei di ogni politica autoritaria, classista, tecnocratica. Elementi, questi, che pervadono in modo ormai patologico i sostenitori di una ‘sinistra’ che apprezza la democrazia soltanto quando le elezioni vengono vinte dai suoi esponenti e la rifiuta quando a prevalere sono altri.
Potrei tuttavia essere in fondo d’accordo con l’autore di quel tweet. Con qualche integrazione però: «Vuoi votare? Sostieni un esame nel quale dimostri di aver letto e compreso la Repubblica di Platone, Il Principe di Machiavelli, Il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno. Soltanto sulla base (almeno) di questi testi puoi infatti davvero intendere la politica». Siamo d’accordo, amici democratici che disprezzate il suffragio universale allorché i vostri ‘valori’ non prevalgono?

Palma e Piazzese su Vita pensata 18

Sul numero 18 (Febbraio 2019) di Vita pensata sono stati pubblicati i testi di due miei studenti del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania: Stefano Piazzese, del corso triennale in Filosofia, ed Enrico Palma, del corso magistrale in Scienze filosofiche. Inserisco qui i pdf dei due articoli, insieme all’indice e all’editoriale, scritto da me e da Giusy Randazzo. Il numero è dedicato ai Paganesimi; oltre agli studenti vi hanno collaborato vari docenti del Dipartimento, che ringrazio per il rigore e la vivacità dei loro contributi.

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