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«Che l’uomo non sia carnivoro per natura»

Plutarco
Del mangiare carne
Trattati sugli animali
(Plutarchi Moralia selecta: De esu carnium; Bruta animalia ragione uti; De sollertia animalium)
Introduzione di Dario Del Corno
Traduzione e note di Donatella Magini
Adelphi, 2001
Pagine 296

Una delle ipotesi più accreditate sulle origini del Coronavirus è che si sia sviluppato nei mercati di carne animale, viva e morta. Può dunque essere utile leggere quanto un antico saggio ha argomentato contro la pratica umana di mangiare la carne di altri animali.
Il volume – ben tradotto e arricchito da due feconde introduzioni e da un imponente apparato di note – raccoglie infatti tre testi di Plutarco (47-127) dedicati all’animalità: De esu carnium; Bruta animalia ragione uti; De sollertia animalium, vale a dire Del mangiare carne, Gli animali usano la ragione, L’intelligenza degli animali di terra e di mare (questo il vero argomento, al di là del modo in cui viene intitolato in latino il terzo testo). 

Molto più che trattati di zoologia antica, molto più che una godibilissima antologia di centinaia di affascinanti leggende greche e romane sul mondo animale, le pagine di Plutarco mostrano alcune delle ragioni per le quali i due immediati successori di Aristotele alla guida del Peripato – Teofrasto e Stratone di Lampsaco – si allontanarono dalla scala naturae del Maestro, sostenendo invece la presenza di una ψυχή, della mente, in tutti gli animali.
Il paradigma proposto da Teofrasto, Stratone, Plutarco è opposto a quello biblico ben testimoniato dalle parole che Yahweh (הְוֶה) rivolge a Noè all’uscita dall’arca: «Il timore e il terrore di voi sia in tutte le bestie selvatiche e in tutto il bestiame e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono messi in vostro potere. Quanto si muove e ha vita vi servirà di cibo» (Genesi, 9, 2–3; trad. La Bibbia di Gerusalemme, Edizioni Dehoniane 1988, p. 50).

Il paradigma di questi Greci si può invece riassumere in alcuni punti tanto chiari quanto fondamentali per comprendere le dinamiche dell’οἶκος, della comune abitazione dei viventi:
-tutti gli animali, qualunque sia la loro specie, sono dotati di percezione, ragionamento, comprensione della complessità degli ambienti nei quali vivono. A volte alcuni di essi impazziscono e non si può impazzire se non si possiede la ragione. Essi tutti sono in grado di comprendere i pericoli e di perseguire i vantaggi, in caso contrario semplicemente non esisterebbero; rispetto agli umani, sono anche dotati di un maggiore equilibrio nei comportamenti quotidiani, tanto è vero – afferma Grillo nel Bruta animalia ragione uti – che «le bestie, invece, hanno un animo totalmente inaccessibile e impenetrabile alle passioni di provenienza esterna, e vivono tenendosi lontano da vane illusioni» (cap. 6, 989 C, p. 91). Una superiorità etica alla quale si ispirò Machiavelli per il suo splendido e incompiuto poema L’Asino;
-tra le passioni che li muovono, gli umani nutrono una ferocia smodata, una costante aggressività, un eccesso persino sadico, dal quale le specie carnivore sono invece libere. Se infatti «per loro [serpenti, pantere, leoni] il sangue è un cibo vitale, invece per voi è semplicemente una delizia del gusto» (De esu carnium, 2, 994 B; 58), sino al punto che «per un minuscolo pezzo di carne priviamo un essere vivente della luce del sole e del corso dell’esistenza, per cui esso è nato ed è stato generato» (Ivi, 3, 994 E ; 59-60);
-la struttura anatomo-fisiologica di Homo sapiens è la più evidente prova della sua natura frugivora e non carnivora: «Che l’uomo non sia carnivoro per natura, è provato in primo luogo dalla sua struttura fisica. Il corpo umano infatti non ha affinità con alcuna creatura formata per mangiare la carne: non possiede becco ricurvo, né artigli affilati, né denti aguzzi, né viscere resistenti e umori caldi in grado di digerire e assimilare un pesante pasto a base di carne. Invece, proprio per la levigatezza dei denti, per le dimensioni ridotte della bocca, per la lingua molle e per la debolezza degli umori destinati alla digestione, la natura esclude la nostra disposizione a mangiare la carne. Se però sei convinto di essere naturalmente predisposto a tale alimentazione, prova anzitutto a uccidere tu stesso l’animale che vuoi mangiare. Ma ammazzalo tu in persona, con le tue mani, senza ricorrere a un coltello, a un bastone o a una scure» (Ivi, 3, 994 F -995 A; 60-61);
-l’abitudine al sangue e alla violenza inflitta ad altri animali si trasforma inevitabilmente in crudeltà verso i propri conspecifici, verso gli umani. Lo hanno ribadito, tra gli altri, filosofi come Kant, Schopenhauer, Horkheimer, Adorno, Marcuse e lo afferma con chiarezza anche Plutarco: «Queste pratiche insegnano […] a considerare il sangue, la morte di esseri umani, le ferite e i combattimenti il più raffinato degli spettacoli» (Ivi, 2, 997 C, 67); «Una volta che ebbero così gradualmente temprato la propria insaziabilità, gli uomini si volsero alle stragi dei loro simili, ai delitti e alle guerre» (Ivi, 4, 998 C; 70); «La caccia sia responsabile del diffondersi fra gli uomini dell’insensibilità e della ferocia» poiché essa corrobora «la componente sanguinaria e ferina, che è insita in loro [gli umani] per natura, e la resero inflessibile alla pietà […] Infatti l’abitudine è straordinariamente efficace nel far progredire l’uomo con il graduale insinuarsi degli affetti» (De sollertia animalium, 2, 959 D-F, 106-107);
-nutrirsi della carne di altri animali è, di fatto, un nutrirsi di cadaveri. Plutarco è su questo punto del tutto chiaro: «Io mi domando con stupore in quale circostanza e con quale disposizione spirituale l’uomo toccò per la prima volta con la bocca il sangue e sfiorò con le labbra la carne di un animale morto; e imbandendo mense di corpi morti e corrotti, diede altresì il nome di manicaretti e di delicatezze a quelle membra che poco prima muggivano e gridavano, si muovevano e vivevano. […] Come mai quella lordura non stornò il senso del gusto, che veniva a contatto con le piaghe di altre creature e che sorbiva umori e sieri essudati da ferite mortali?» (De esu carnium, 1, 993 B; p. 55).

L’ultimo trattato è il più lieve e curioso. In esso infatti due interlocutori, Aristotimo e Fedimo, difendono con convinzione rispettivamente l’intelligenza profonda degli animali di terra e di aria e quella degli animali marini. Una lode che arriva sino all’ammirazione e al sacro. Una lode così convinta che Soclaro, che li ha ascoltati, conclude che «collegando i vostri discorsi contrapposti, entrambi lotterete insieme validamente contro chi priva gli animali di ragione e di intelligenza» (De sollertia animalium, 37, 985 C, 188). Emerge in questo modo evidente la contraddizione logica e retorica che intride tutto il dialogo e che consiste nel fatto che gli animali così efficacemente descritti, dei quali si dimostra la sensibilità, l’intelligenza, la nobiltà dei comportamenti, vengano lodati da coloro che però difendono poi la caccia che a loro viene data, la morte che a loro viene inferta.
Credo si tratti di un effetto voluto da Plutarco, il quale – per bocca di Fedimo – riconosce l’universalità della lotta, della violenza e della morte che intridono il mondo dei viventi, di tutti gli animali: «E la natura ha creato per loro tale ciclo e tale avvicendarsi di reciproci inseguimenti e fughe come esercizio e pratica di competizione per l’abilità e l’intelligenza» (Ivi, 27, 979 A, 168). E però l’intelligenza è capace di allontanarci, per le ragioni da Plutarco ben argomentate, da una pratica tanto insensata quanto feroce come il mangiar carne.

The Godfather

The Godfather
(Il Padrino)
Parte I (1972) – Parte II (1974)
di Francis Ford Coppola
Con: Marlon Brando (Vito Corleone), Al Pacino (Michele Corleone), Robert De Niro (Vito Corleone da giovane), Robert Duvall (Tom Hagen), James Caan (Sonny Corleone), Diane Keaton (Kay Adams), John Cazale (Fredo Corleone), Talia Shire (Connie Corleone), Al Lettieri (Virgil, ‘il Turco’, Sollozzo), Corrado Gaipa (Tommasino), Lee Strasberg (Hyman Roth), Michael V. Gazzo (Frankie Pentangeli), Gastone Moschin (Fanucci), Maria Carta (la madre di Vito), Morgana King (mamma Corleone)

«Perciò tutto ciò che è conseguente al tempo di guerra in cui ogni uomo è nemico ad ogni uomo, è anche conseguente al tempo in cui gli uomini vivono senz’altra sicurezza di quella che la propria forza e la propria inventiva potrà fornire loro. […] E quel che è peggio di tutto, vi è continuo timore e pericolo di morte violenta, e la vita dell’uomo è solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve» (Thomas Hobbes, Leviatano [1651], La Nuova Italia 1976, cap. XIII, p. 120).
Tale fu sin dall’inizio l’esistenza di Vito Andolini, diventato all’anagrafe statunitense Vito Corleone dopo essere sfuggito alla morte che il capomafia di Corleone, appunto, aveva inferto a padre, madre, fratello.
Onesto era Vito ma a Little Italy aveva dovuto imparare l’arroganza, l’umiliazione, la violenza. Ed era diventato Don Vito. Lo troviamo, ormai ricco, nel giorno del matrimonio della figlia; le cerimonie costellano infatti di sé l’intero film, lo scandiscono. Proprio quel giorno è venuto un uomo a chiedergli giustizia per la violenza subita da sua figlia e che i tribunali dello Stato gli hanno negato. Il film inizia con le parole di questo padre: «Io credo nell’America».
La stessa fede nutrita dal figlio minore e amatissimo di Don Vito, Michele, decorato al valore durante la Seconda Guerra mondiale e che al suo ritorno trova un’altra guerra costante, pervasiva, totale; trova il bellum omnium contra omnes e ne diventa il signore: malinconico, freddo, determinato, feroce. Sino alle scene conclusive delle due parti dell’opera: nella prima Michele riceve l’omaggio dei suoi uomini dopo essere diventato il capofamiglia; nella seconda ha ottenuto vendetta su tutti i suoi nemici, tra i quali anche un fratello, anche la moglie allontanata, anche un vecchio e potente ebreo che gli aveva portato la guerra in casa.

Lo sguardo di Michele è lontano, rassegnato, triste, interrogativo, silente. È lo sguardo del potente che domina su un regno di morti e lo sa: «Chi stermina tutti i nemici non ha più alcun nemico, e inoltre gode la vista dei loro mucchi ora inermi» (Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi 1981, p. 543).
È lo sguardo di Cesare Borgia, unito a quello di Machiavelli: «È molto più sicuro essere temuto che amato, quando si abbia a mancare dell’uno de’ dua»; «Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede [la parola data], quando tale osservanzia li torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E, se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma perché sono tristi [malvagi], e non la osservarebbano a te, tu etiam non l’hai ad osservare a loro» (Il Principe, capp. 17 e 18).

In quest’opera la morte arriva coniugata ai riti cattolici, lo sterminio si accompagna e si alterna alle professioni di fede, alla musica celeste, alla solennità della soteriologia cristiana. L’apice è raggiunto durante la cerimonia del battesimo, nella quale Michele fa da padrino al figlio di sua sorella, dichiarando che «rinuncia a Satana e alle sue opere» proprio mentre i suoi uomini uccidono uno a uno e in luoghi diversi i capi delle altre famiglie. Un montaggio magistrale, ironico e disperato. La cui efficacia si percepisce assai meglio vedendo i due film (come ho avuto di recente la possibilità di fare) nella versione originale con i sottotitoli, e potendo quindi apprezzare il continuo passaggio linguistico dall’inglese americano all’anglosiculo. Un originale linguisticamente e concettualmente più sobrio rispetto alla traduzione e al doppiaggio spesso ‘folcloristici’ della versione in italiano.
La seconda parte dell’opera è apertamente e fecondamente politica, con la Cuba del dittatore Fulgencio Batista finanziata sia dalle istituzioni sia dalla criminalità degli Stati Uniti d’America e con una commissione d’inchiesta contro la mafia nella quale i senatori americani sono in mano alle diverse famiglie mafiose, che li usano per reciproche accuse e vendette. Credo che solo il grande successo della prima parte abbia permesso a Coppola di poter essere così esplicito e libero nelle accuse rivolte al proprio Paese, che ne emerge per quello che è: una sentina di corruzione.
Su tutta l’opera domina, naturalmente, Shakespeare, del quale The Godfather è l’ennesima espressione. Riccardo III ma non solo. Il film è pervaso dall’antropologia di Hobbes, Machiavelli e Shakespeare.

Un’antropologia che in Sicilia conosciamo bene. La conosciamo bene a Catania, città dove forze non dissimili da quelle descritte nel Padrino vanno da tempo all’attacco dell’istituzione -l’Università- che pur con tutti i suoi limiti, anche territoriali e antropologici, può insegnare e praticare uno sguardo diverso rispetto a quello della legge del più forte; dove un’informazione comprata e venduta presenta il mondo e i suoi eventi in una chiave espressionistica e perennemente distorta; dove massonerie di tutti i generi stanno dentro le istituzioni che dovrebbero garantire i diritti, i doveri e l’eguaglianza dei cittadini; dove i più lontani dalla legge e dalle sue garanzie invocano continuamente la legge e le sue garanzie, ricevendo ascolto; dove un numero in fondo decisamente minoritario di soggetti riceve la stolta complicità, l’acquiescenza, l’ingenuità di coloro contro i quali operano: i giovani soprattutto.
In quest’ultimo caso la responsabilità è anche nostra: non abbiamo saputo fornire in modo adeguato ai nostri studenti gli strumenti per decifrare la realtà, comprenderne il male, guardarsi dai pericoli che si celano nella superficialità, nell’ignoranza, nei media tradizionali e digitali, nell’inganno ogni giorno perpetrato da molti, troppi, soggetti sociali. Non esiste, naturalmente, il Padrino. Esiste un oscuro tessuto di relazioni palesi e nascoste, istituzionali e private, locali e nazionali, individuali e di gruppo. Un tessuto rosso del sangue del futuro che i nostri giovani non avranno perché non hanno saputo e non abbiamo saputo liberarci dai Corleone che con altri nomi sono ancora i padrini di Catania.

Nati morti

Certo, «die Stunde ihrer Geburt ist die Stunde ihres Todes», ‘l’ora della loro nascita è l’ora della loro morte’1, è una verità che vale per ogni ente, evento e processo che si dà in natura. Compresi gli eventi politici. E tuttavia il Governo italiano che si è appena insediato è una manifestazione evidente del fatto che alcuni eventi mostrano il loro morire appena accadono. E dico questo non solo e non tanto nel senso che tale Governo sarà di breve durata. No, potrà  anche durare anni o l’intera legislatura (lo escludo, comunque) ma anche e soprattutto nel senso che è un Governo di morti.
Quando infatti uno zombie abbraccia un vivente, lo uccide. Il poco che del Movimento 5 Stelle era ancora vivo dopo la sottomissione alla Lega è già stato trasformato dal Partito Democratico in cosa morta. I capisaldi del Movimento, quelli che lo hanno condotto a ottenere la maggioranza relativa nell’attuale Parlamento italiano, erano costituiti:
-dalla difesa della plurale identità europea contro il colonialismo finanziario dell’Unione Europea e degli Stati Uniti d’America (è questo, in sintesi, il cosiddetto sovranismo);
-dalla difesa dell’ambiente, che in concreto vuol dire rifiuto categorico delle opere che devastano il territorio, prima tra tutte il Treno ad Alta Velocità, questione insieme economica, antropologica e simbolica;
-dall’affrancamento del Parlamento e delle Pubbliche Amministrazioni rispetto alle forze e ai gruppi che agiscono per l’interesse economico di pochi contro la Res Pubblica (ciò che in una formula si chiama lotta alla corruzione);
-dalla difesa dei diritti sociali e collettivi, al di là dell’enfasi liberale e liberista sui diritti individuali;
-dalla salvaguardia e dall’incremento dei posti di lavoro;
-dall’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, contro i privilegi che pervadono la società italiana.

Se una simile ispirazione era di difficile incarnazione in un Governo condiviso con la Lega, diventa del tutto irrealizzabile in un Governo condiviso con il PD e con le forze tanto piccole ed elitarie quanto asservite alla finanza internazionale, come +Europa e affini. Si può obiettare, certo, che il Movimento 5 Stelle non ha da solo la maggioranza e dunque non può esprimere un proprio Governo. È vero ma la risposta non è difficile: se il Movimento è uno strumento politico e non un fine in sé -come dai suoi esponenti è stato sempre detto– si doveva andare alle elezioni rivendicando ciò che di fecondo l’esperienza di governo aveva ottenuto e chiedendo al corpo elettorale un maggiore sostegno. È accaduto invece che motivazioni evidenti -il potere è dolce a chi lo esercita– e altre probabilmente nascoste hanno portato il Movimento 5 Stelle alla morte politica. Quella elettorale seguirà inevitabilmente.
Osservo di passaggio -ma è circostanza piuttosto grave– che il Governo è ostaggio in Parlamento non soltanto di piccoli gruppi come +Europa e Liberi e uguali ma anche e soprattutto dei senatori fedeli a Renzi; ciò significa che questo senatore del PD avrà in mano il Governo, lo potrà condizionare e ricattare come gli sembrerà più opportuno per i propri interessi.  Che il Movimento 5 Stelle non se ne accorga è implausibile; probabilmente le pressioni (e le promesse) sono tali da dover accettare questa eutanasia del Movimento.
Tramonto che era iniziato già prima della crisi di Governo, con il concorso determinante del M5S all’elezione di Ursula von der Leyen quale Presidente della nuova Commissione Europea, vale a dire del governo dell’UE. Questo esponente politico della CDU tedesca (Unione Cristiano Democratica) rappresenta molto bene la continuità di quelle politiche economiche recessive e inique alle quali il M5S si era dichiarato avverso. Von der Layen è stata eletta con la risicata maggioranza di 383 voti, soltanto 9 in più del numero necessario. Numero al quale i deputati europei del Movimento 5 Stelle hanno dunque fornito un contributo decisivo, del quale -certo- risponderanno storicamente.

Che l’alleanza con il PD sia più grave dell’accordo con la Lega è mostrato da (almeno) altri tre fattori:
–la Lega non controlla l’informazione, il PD sì, anche per l’alleanza con Mediaset, sancita a suo tempo da D’Alema e da Violante e confermata dai successivi capi del Partito;
la Lega è coerente con i propri presupposti, che non ha mai nascosto. Il PD è responsabile in Italia della morte (in ordine cronologico): della prospettiva comunista, della sinistra, dei diritti sociali. È un partito di centro che ha abbracciato in pieno l’ideologia e la pratica neoliberista ma che si presenta ancora come erede anche del Partito Comunista Italiano, affermazione evidentemente insensata ma che fa da presupposto di una formula altrettanto risibile quale «governo giallorosso», il ‘rosso’, infatti, non c’è;
–il PD è abilissimo quando si tratta di conquistare posizioni strategiche; aver regalato a questo partito il commissario europeo (nella persona di Paolo Gentiloni Silveri), cioè un ministro che in ogni caso rimarrà in carica per cinque anni a rappresentare l’Italia nel governo dell’Unione Europea, è solo una prima, grave e significativa tappa del piano inclinato che porterà al declino il M5S. È come per Gertrude, la monaca di Monza: il primo «sì» porta con sé tutti gli altri.

Qualunque tema sia indicato nel Programma concordato con Conte, l’interesse del Partito Democratico è stato tornare al governo e da lì poter logorare il Movimento 5 Stelle sino a quando quest’ultimo o romperà l’alleanza -e sarà quindi tacciato di ‘inaffidabilità’, se per la seconda volta (dopo la Lega) l’alleanza con esso stipulata non funziona- o cancellerà la propria identità. Anche un Machiavelli di sei anni lo capirebbe, figuriamoci uno adulto. Nella mia vita ho imparato -sia, appunto, dallo studio di Machiavelli, sia dall’esperienza- che un politico può avere molte qualità e molti limiti anche diversi ma non può essere ingenuo. In politica questo è un peccato mortale. Che infatti sta portando alla morte il M5S.
Se avessi previsto un’alleanza del Movimento 5 Stelle con il Partito Democratico non gli avrei naturalmente dato il mio voto. E infatti non lo darò più. E tuttavia ho fatto bene nel marzo 2018 a compiere tale scelta. Ha rappresentato l’ultima possibilità parlamentare di liberare l’Italia dal malaffare, dai privilegi e dal destino di miseria e subordinazione che l’obbedienza totale all’Unione Europea comporta. Così non è stato. Pazienza. La politica si fa anche in altri modi. Questo piccolo sito, ad esempio, è un’espressione politica anche quando parla di arte, di cinema, di libri, di filosofia. E qui coloro che hanno ucciso la sinistra, gli zombie del Partito Democratico, non mettono piede. Questo è un luogo vivo :–)

Nota
1. Hegel, Wissenschaft der Logik I, «Sämtliche Werke», Frommann 1965, Band IV, p. 147.

Democratici?

Tra i tanti commenti dedicati ai risultati delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, tenutesi lo scorso 26 maggio, ne ho letto uno che mi è parso emblematico. Questo:

 

(Fonte: Twitter)

Il testo è stato scritto da un soggetto che su twitter ha come avatar una foto di Enrico Berlinguer e che in altri interventi accusa l’attuale governo italiano di ‘assassinare la democrazia’. E poi scrive questa frase contro il suffragio universale.
Non si tratta di un caso di confusione ideologica da parte di una singola persona. Affermazioni come queste esprimono con efficacia il fondamento antidemocratico del politicamente corretto e, in generale, di chi oggi si crede di sinistra ma vive in sé impulsi decisamente autoritari. Avevo già letto molte affermazioni di questo tenore -formulate anche da persone che conosco- dopo la vittoria dei sostenitori della Brexit nel Regno Unito. Si tratta, lo sappiano o meno, di posizioni vicine a quelle sostenute dal lussemburghese Jean-Claude Juncker -Presidente della Commissione Europea- quando con esemplare chiarezza afferma che «il ne peut pas y avoir de choix démocratique contre les traités européens», ‘non può esserci scelta democratica contro i trattati europei’ (Fonte: Europe : une élection contre la démocratie, di Adlene Mohammedi, «Philitt», 26 maggio 2019).
Negli anni Dieci del XXI secolo semplici cittadini e potenti burocrati europeisti invocano dunque la fine o la neutralizzazione di una conquista di civiltà politica come il diritto di voto garantito a tutti i cittadini. E questo perché i risultati del voto non sono a loro graditi. Sta qui uno dei nuclei di ogni politica autoritaria, classista, tecnocratica. Elementi, questi, che pervadono in modo ormai patologico i sostenitori di una ‘sinistra’ che apprezza la democrazia soltanto quando le elezioni vengono vinte dai suoi esponenti e la rifiuta quando a prevalere sono altri.
Potrei tuttavia essere in fondo d’accordo con l’autore di quel tweet. Con qualche integrazione però: «Vuoi votare? Sostieni un esame nel quale dimostri di aver letto e compreso la Repubblica di Platone, Il Principe di Machiavelli, Il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno. Soltanto sulla base (almeno) di questi testi puoi infatti davvero intendere la politica». Siamo d’accordo, amici democratici che disprezzate il suffragio universale allorché i vostri ‘valori’ non prevalgono?

Palma e Piazzese su Vita pensata 18

Sul numero 18 (Febbraio 2019) di Vita pensata sono stati pubblicati i testi di due miei studenti del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania: Stefano Piazzese, del corso triennale in Filosofia, ed Enrico Palma, del corso magistrale in Scienze filosofiche. Inserisco qui i pdf dei due articoli, insieme all’indice e all’editoriale, scritto da me e da Giusy Randazzo. Il numero è dedicato ai Paganesimi; oltre agli studenti vi hanno collaborato vari docenti del Dipartimento, che ringrazio per il rigore e la vivacità dei loro contributi.

Un’ostinata libertà

Libertà e animalità
in La libertà ostinata. Machiavelli e i confini del potere
A cura di Attilio Scuderi
Mimesis 2018
Pagine 37-55

È da poco uscito il volume -a cura di Attilio Scuderi- che raccoglie le relazioni svolte in occasione di un convegno dedicato al concetto e alla pratica della libertà nel pensiero di Machiavelli. Il convegno si tenne nel maggio 2017 presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania. Metto a disposizione di chiunque voglia leggerlo il testo -naturalmente qui ampliato- della mia relazione, che è divisa in cinque paragrafi:
-La questione del potere
-La questione animale
-Al di là di umanismo e teocentrismo
-L’animalità di Machiavelli
-Libertà e animalità
Nel pdf si trova anche l’indice completo del libro.

«Per favore non aiutateci più!»

Mi è stato segnalato da Dario Sammartino questo articolo di Massimo Fini, uscito su il Fatto Quotidiano. Lo riporto per intero, con una postilla. Le evidenziazioni sono mie.

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Aiutiamo l’Africa andandocene via

«Il debito è la nuova forma di colonialismo. I vecchi colonizzatori si sono trasformati in tecnici dell’aiuto umanitario, ma sarebbe meglio chiamarli tecnici dell’assassinio. Sono stati loro a proporci i canali di finanziamento, i finanziatori, dicendoci che erano le cose giuste da fare per far decollare lo sviluppo del nostro Paese, la crescita del nostro popolo e il suo benessere…Hanno fatto in modo che l’Africa, il suo sviluppo e la sua crescita obbediscano a delle norme, a degli interessi che le sono totalmente estranee. Hanno fatto in modo che ciascuno di noi sia, oggi e domani, uno schiavo finanziario».

Questo discorso fu tenuto nel 1987 da Thomas Sankara all’ ‘assemblea dei Paesi non allineati’, OUA. Fu assassinato due mesi dopo.
Debbo la conoscenza di questo straordinario discorso, ampiamente dimenticato, a un mio giovane amico, Matteo Carta, che lo aveva ripreso da un servizio di Silvestro Montanaro per il programma di Rai3 “C’era una volta” andato in onda alle undici di sera il 18 gennaio 2013. E questa fu anche l’ultima puntata di quel programma.
Thomas Sankara arrivò al potere con un colpo di Stato che rovesciò la pseudo e corrottissima democrazia. Nei quattro anni del suo governo fece parecchie cose positive per il Burkina: si impegnò molto per eliminare la povertà attraverso il taglio degli sprechi statali e la soppressione dei privilegi delle classi agiate, finanziò un ampio sistema di riforme sociali incentrato sulla costruzione di scuole, ospedali e case per la popolazione estremamente povera, fece un’importante lotta alla desertificazione con il piantamento di milioni di alberi nel Sahel, cercò di svincolare il Paese dalle importazioni forzate. Inoltre si rifiutò di pagare i debiti coloniali. Ma non fu questo rifiuto a perderlo, Francia e Inghilterra sapevano benissimo che quei debiti non potevano essere pagati. A perderlo fu il contenuto sociale della sua opera che i Paesi occidentali non potevano tollerare. Tanto è vero che nel controcolpo di Stato che portò all’assassinio di Sankara, all’età di 38 anni come il Che, furono coinvolti oltre a Francia e Inghilterra anche gli Stati Uniti che ‘coloniali’ in senso stretto non erano stati. Sankara doveva quindi morire. Non approfittò mai del suo potere. Alla sua morte gli unici beni in suo possesso erano un piccolo conto in banca di circa 150 dollari, una chitarra e la casa in cui era cresciuto.
Questo discorso di Sankara è più importante di quello che Gheddafi avrebbe tenuto all’Onu nel settembre del 2009 e che gli sarebbe costato a sua volta la pelle. Gheddafi, in un linguaggio assolutamente laico, come laico era quello di Sankara, si limitò, in buona sostanza, a denunciare le sperequazioni istituzionali e legislative fra i paesi del Primo e del cosiddetto ‘Terzo Mondo’ (questa immonda e razzista definizione ha un’origine abbastanza recente, fu coniata dall’economista Alfred Sauvy nel 1952 – Poca terra nel 2000). Sankara, a differenza di Gheddafi, centra l’autentico nocciolo della questione: le devastazioni economiche, sociali, ambientali provocate dall’introduzione in Africa Nera, spesso con il pretesto di aiutarla, del nostro modello di sviluppo. Ecco perché bisogna stare molto attenti quando, con parole pietistiche, si parla di “aiuti all’Africa”. Non per nulla parecchi anni fa durante un summit del G7 i sette Paesi più poveri del mondo, con alla testa l’africano Benin (Sankara era già stato ucciso) organizzarono un controsummit al grido di “Per favore non aiutateci più!” (mi pareva una notizia ma si guadagnò solo un trafiletto su Repubblica). Per questo tutti i discorsi che girano intorno al “aiutiamoli a casa loro”, che non appartengono solo a Salvini, sono pelosi. Noi questi Paesi con la nostra presenza, anche qualora, raramente, sia in buonafede, non li aiutiamo affatto. Li aiutiamo a strangolarsi meglio, a nostro uso e consumo.

Il solo modo per aiutare l’Africa Nera è che noi ci togliamo dai piedi. E dai piedi devono levarsi anche quelle onlus come l’Africa Milele per cui lavora, o lavorava, Silvia Romano, attualmente prigioniera nelle boscaglie del Kenya, formate da pericolosi ‘dilettanti allo sbaraglio’. Pericolosi perché -e almeno questo dovrebbe far rizzare le orecchie al nostro governo- sono facili obbiettivi di ogni sorta di banditi o di islamisti radicali a cui poi lo Stato italiano, per ottenerne la liberazione, deve pagare cospicui riscatti. È stato il caso, vergognoso, delle “due Simone” e dell’inviata dilettante del Manifesto Giuliana Sgrena la cui liberazione costò, oltre al denaro che abbiamo sborsato, la vita a Nicola Calipari. In quest’ultimo caso il soldato americano Lozano, del tutto legittimamente perché avevamo fatto le cose di soppiatto senza avvertire la filiera militare statunitense, a un check-point sparò alla macchina che si avvicinava e uccise uno dei nostri migliori agenti segreti.

Massimo Fini
Il Fatto Quotidiano, 29 novembre 2018
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Il colonialismo è una realtà camaleontica. È transitato dai missionari con la buona novella agli scienziati e ingegneri con le trivelle, dal nazionalismo terzomondista agli aiuti finanziari. Sempre in nome della civiltà, dell’umanità e del progresso. Anche per questo studio e amo filosofie incivili, antiumanistiche e barbariche come quelle di Schopenhauer, di Spinoza, di Heidegger, di Nietzsche, il quale raccomandava di guardarsi dai «Gutmüthigen Mitleidigen» (Frammenti postumi 1884, 25[296]), dai buoni e compassionevoli, come da persone pericolose. Aveva naturalmente ragione.
L’intero frammento è molto interessante perché Nietzsche auspica un «nuovo illuminismo» che si opponga «come Machiavelli» all’ipocrisia delle chiese, dei politici, dei preti, dei buoni, dei civilizzati. Ecco il testo: «Die neue Aufklärung.  / Gegen die Kirchen und Priester / gegen die Staatsmänner / gegen die Gutmüthigen Mitleidigen / gegen die Gebildeten und den Luxus / in summa gegen die Tartüfferie. / gleich Macchiavell». Il colonialismo occidentalista è in ogni sua forma una delle massime espressioni della «Tartüfferie».

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