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Universi

Lee Smolin insegna all’Università di Toronto ed è uno dei fisici teorici più importanti al mondo. In La rinascita del tempo. Dalla crisi della fisica al futuro dell’universo (Einaudi 2014) scrive che «non solo il tempo è reale, ma nulla di ciò che sappiamo e di cui facciamo esperienza ci avvicina al cuore della natura più della realtà del tempo. […] Il tempo e il suo passaggio sono fondamentali e reali e le speranze e le credenze relative a verità e regni atemporali non sono altro che miti. Accettare il tempo significa essere convinti che la realtà consiste soltanto di ciò che è reale in ciascun momento del tempo» (pp. VIII-X).
La realtà del tempo sta a fondamento anche di quanto ho scritto sul numero 179 (novembre 2017) del mensile Nocturno. Insieme a un testo teorico sul tempo nella realtà e nella Science fiction, la rivista ha pubblicato tre sintetiche analisi -dialoganti con Mario Gazzola- dedicate ai film Interstellar (Christopher Nolan, 2014), Arrival (Denis Villeneuve, 2016), Lucy (Luc Besson, 2014).
Si trovano alle pagine 58, 71 e 76; metto qui a disposizione il testo in pdf.

[L’immagine raffigura la Nube di Rho Ophiuchi fotografata da Artem Mironov]

Corpotempo

Lucy
di Luc Besson
USA – Francia, 2014
Con Scarlett Johansson (Lucy), Morgan Freeman (Professor Norman), Choi Min-sik (Kang), Amr Waked (Pierre Del Rio)
Trailer del film

CPH4 è una nuova droga che viene impiantata con la forza nello stomaco di Lucy, per costringerla a trasportarla da Taiwan in  Europa. Il sacchetto però si apre e la potentissima sostanza le si diffonde in tutto il corpo, aumentando esponenzialmente le capacità cerebrali della ragazza. Che -come il Funes di Borges- non dimentica più nulla, comincia a ricordare i primi mesi di vita e il sapore del latte materno, sente parole pronunciate da lontano, vede la vita brulicare nelle piante, viaggia nel tempo sino a incontrare l’antica Lucy, l’australopiteco. In tutto questo è aiutata da Norman, un famoso professore di neurologia, al quale si rivolge per capire che cosa le stia succedendo ma ben presto diventando assai più sapiente di lui. E però è sempre inseguita dai feroci criminali ai quali ha sottratto la sostanza blu. Questo il plot, da integrare senz’altro con l’appassionante recensione di Mario Gazzola su posthuman.it, capace sia di dare conto di ciò che accade nel film sia di come leggerlo (il titolo, significativo, è Lucy – odissea nel cervello).
Lucy è un esempio di spettacolare fantascienza neurologica fondata sulla tesi che l’umanità attuale utilizzi soltanto una parte -il 10% si dice spesso- delle capacità del nostro cervello. Questa ipotesi è poco più di una leggenda metropolitana, priva di fondamento e assai rozza nelle sue ragionieristiche percentuali. E tuttavia il vero film sta altrove. Sta nella profonda unione di biologia e tecnologia, nella consapevolezza che la mente è un fenomeno del tutto radicato nella materia, che ciò che è esiste soltanto perché i nostri neuroni ne decifrano con la loro potenza il significato e lo volgono in azione, sta nella ibridazione tra natura e artificio, sta nel trasformarsi dell’umano in una comprensione totale dell’eventuarsi del mondo.
Nel suo linguaggio iperbolico e fumettistico, negli occhi della sua eroina, nel fracasso delle pistole e dei coltelli, nelle immagini roteanti delle cellule e delle galassie, nelle sue citazioni dall’odissea di 2001 e dalla meditazione di Home, Lucy è un’illustrazione della tesi aristotelica secondo cui «la mente è, in qualche modo, tutte le cose» (psyché tà onta pós estin, De anima, III, 431 b). Ciò che succede alla ragazza consiste infatti nella metamorfosi del mondo dentro di lei, nel suo progressivo allontanarsi dall’umano fatto di finitudine e di limite. E lo dice con chiarezza: «Non sento più dolore, non temo più la morte. Sto perdendo la mia umanità». Perché l’umano è finitudine consapevole di sé, è una «contingenza avveduta, contingenza che si avvede di sé» (E. Mazzarella, Vie d’uscita. L’identità umana come programma stazionario metafisico, il melangolo, 2004, p. 9).
Il punto più vero e più profondo è raggiunto dal film nel momento in cui Lucy aggiunge che dunque l’umano è tempo. Quando Norman le chiede perché ne sia così convinta, lei risponde proiettando l’andare di un’auto sulla strada: «Vede, se aumento la sua velocità all’infinito l’auto non si vede più, scompare. La materia è questo ritmo, questo andare. La materia è tempo, soltanto tempo. Noi siamo tempo». Musica per i miei occhi di cinefilo e per la mia mente di filosofo, per il corpomente che ora è questo raggrumarsi della materia in divenire che sono stato, che sono, che sarò.

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