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Postcontemporaneo / Carmelo Bene

Nell’ambito della Terza edizione del Catania Book Festival venerdì 6 maggio 2022 alle 11,30 presenterò Nuvole sul Grattacielo. Saggio sull’apocalisse estetica di Giuseppe Frazzetto (Quodlibet 2022). La sede è la Sala Minerva delle Ciminiere.
Postcontemporaneo è uno dei numerosi dispositivi concettuali e analitici con i quali Frazzetto conduce il suo itinerario nei gangli del presente, nelle strutture della comunicazione, nei corridoi della Rete, dentro quelle che una volta erano le gallerie d’arte e oggi sono l’ovunque della pratica estetica: il digitale, il televisivo, gli eventi, i dispositivi molteplici dell’intrattenimento, del lavoro, delle relazioni umane.

Sempre alle Ciminiere sabato 7 maggio alle 18,30 parlerò del libro che Jean-Paul Manganaro ha dedicato a Carmelo Bene: Oratorio Carmelo Bene (il Saggiatore 2022).
Carmelo Bene è stato una lunga e lenta dissipatio. Dissoluzione del corpo del teatro, dissoluzione del corpo dell’attore. «Il suo corpo, alla fine, era devastato, senza spazio, senza tempo. L’inorganico». L’Oratorio di Manganaro è musica ed è preghiera, è una fenomenologia di Carmelo Bene che ne scolpisce il manierismo dell’assenza, l’ironia esercitata su ogni eroismo romantico proprio mentre il soggetto romantico sembra nei suoi concerti trionfare.

«Di nuovo scuro nella mia modesta vita»

Un uomo è la sua lingua. Un uomo sono le sue parole. Le parole che trova in se stesso e nel mondo per raccontare a se stesso e al mondo il tempo che ha vissuto, il tempo che è stato. La lingua di Filippo Scuderi è un idioma plebeo, a volte sgrammaticato ma sempre intriso di uno stupore che si trasmette al lettore facendo di ogni pagina una scoperta della allegra e tragica insensatezza del vivere.
Lunedì 2 maggio 2022 alle 16,00 al Centro Studi di via Plebiscito a Catania parleremo di questa lingua e degli scacchi, gioco che per Scuderi trova una puntuale corrispondenza nelle relazioni umane. L’evento è organizzato dalla Associazione Studenti di Filosofia Unict (ASFU).

Il giorno successivo alle 17,30 nell’Aula Minutoli della Scuola Superiore di Catania introdurrò un corso specialistico dedicato al tema del male e della morte. Il corso proseguirà mercoledì 4 maggio con le lezioni di Giulia Sfameni Gasparro, alle quali seguiranno quelle di Monica Centanni, Marcello Massenzio e mie.

Studiare

Martin Eden
di Pietro Marcello
Con: Luca Marinelli (Martin Eden), Jessica Cressy (Elena Orsini), Kathy Bates (Bobi Jewell), Carmen Pommella (Maria), Carlo Cecchi (Brissenden), Chiara Francini (Nora), Maurizio Donadoni (Renato), Gaetano Bruno (Giudice Mattei)
Italia, 2019
Trailer del film

«Studiare, studiare, studiare», ripete per tre volte Elena rivolgendosi a Martin Eden, perdutamente innamorato ma così lontano nella scala sociale -lei erede di un’antica e ricca famiglia, lui marinaio senza un soldo-, così abissalmente ignorante.
La passione di Martin per Elena è talmente grande da indurlo a colmare la distanza del sapere, a leggere tutto, in modo frenetico ma profondo, ad apprendere la scrittura sino a diventare un romanziere, un poeta, un saggista che le case editrici e i circoli culturali si contendono, dopo averne per anni rifiutato i testi e lasciato che Eden facesse la fame. Il riscatto di Martin si intreccia alle lotte socialiste ed operaie, alle quali Eden viene accomunato ma dalle quali è lontanissimo. Il successo editoriale e mondano viene da lui vissuto nel segno della decadenza e dell’angoscia, sino all’allucinazione, sino al nichilismo.
La vicenda in parte autobiografica del romanzo di Jack London (uscito nel 1909) viene da Pietro Marcello trasposta dalla California a Napoli ma nulla cambia della tensione, del sogno, del raggiungimento, del vuoto. Alla finzione cinematografica si affiancano autentici filmati d’epoca i quali -ed è un merito– invece di trasformare il film in un un’opera neorealistica ne accentuano i tratti onirici e interiori. In questo modo la prima parte disegna un personaggio e una vicenda forti e struggenti, la seconda invece cede ai labirinti della psiche diventando confusa e in alcuni passaggi immotivata, forse anche per restituire i contorti cammini del protagonista.
Ed è infatti soprattutto nella prima parte del film che diventa di una chiarezza lancinante la verità per la quale un uomo senza cultura, incapace di decifrare i segni scritti, privo di parole, non è un uomo ma uno schiavo della sorte, della miseria e del nulla. «Un operaio conosce 100 parole, il padrone 1000. Per questo lui è il padrone», la frase attribuita a Lorenzo Milani (dico attribuita perché non riesco a trovarne la fonte; forse Esperienze pastorali) riassume con icasticità la dimensione soteriologica del sapere, il suo costituire la più intima e profonda forma di salvezza.
Senza conoscenza si può essere contenti, certo, come gli ebeti che sorridono al mondo senza sapere perché lo fanno. Soltanto sapendo molte cose, leggendo molti libri, possedendo molte nozioni, coltivando molti pensieri, elaborando molte interpretazioni, conoscendo molte parole, si può trasformare quel sorriso in un canto di vittoria, in un’espressione di luce.
Che questo non accada a Martin Eden è segno che il sapere non è sufficiente e tuttavia la conoscenza rimane necessaria per accostarsi alla vita da signori e non da miserabili.

Meglio

Il mistero Henri Pick
(Le mystère Henri Pick)
di Rémi Bezançon
Con: Fabrice Luchini (Jean Michel Rouche), Camille Cottin (Joséphine Pick), Alice Isaaz (Daphné Despero), Bastien Bouillon (Fred Koskas), Hanna Schygulla (Ludmila Blavitsky)
Francia – Belgio, 2019
Trailer del film

La biblioteca di un paesino della Bretagna ospita una sezione dedicata ai «libri rifiutati dagli editori». Daphné, che lavora per un importante editore parigino, vi scopre un romanzo straordinario, dal titolo Le ultime ore di una storia d’amore. Lo fa pubblicare e il libro diventa un grande successo sia di critica sia di pubblico. L’autore è Henri Pick, pizzaiolo del paesino, morto da un paio d’anni e del quale si ignorava qualunque attitudine letteraria. Il critico Jean-Michel Rouche è convinto che a scrivere il romanzo non possa essere stato Pick. A costo di apparire assai antipatico, ossessivo e cinico, inizia un’indagine minuziosa e complicata, la cui soluzione è –come sempre– tanto vicina quanto imprevedibile.
Che un libro, che dei libri possano costituire ragione di passioni, conflitti, scoperte, gelosie, orizzonti, tornanti, e che questo possa accadere anche al cinema, in un film, è confortante. Significa che la parola scritta, questo «sigillo di tutte le ammirande invenzioni umane», nulla ha perso della sua magia, della incredibile possibilità di «comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo» (Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, Einaudi 1982, p. 130).
Oggetto perfetto è il libro, nel senso tecnico di oggetto non ulteriormente migliorabile, come –altro esempio– è la forchetta. Oggetti che possono essere costruiti con materiali di lusso o comuni, possono differenziarsi in molti particolari ma la cui struttura ha raggiunto il vertice della funzionalità, semplicità, eleganza. È questa una delle più importanti motivazioni che rendono impossibile agli ebook e ai pdf sostituire il libro fisico, cartaceo, materiale. I libri digitali sono assai utili per la consultazione e per delle ricerche mirate ma la lettura è un piacere che soltanto la carta riesce a dare.
La lettura, certo. La lettura che è una delle poche, reali, oggettive ragioni di differenza tra l’animale umano e gli altri animali, tanto che si può dubitare dell’umanità di chi non legga mai un libro. La lettura è l’attività che trasforma un oggetto in pensieri, immaginazione, concetto, fantasia, vita, tempo, mondo.
Una casa piena di libri è una casa colma di senso, ricca della differenza che il sapere segna rispetto alle morte cose. È una casa bella, calda, radicata nel passato e spalancata sul futuro. Saggia del presente perché capace di ricondurlo alla parzialità dell’infinito.
Ai libri devo gran parte della mia gioia. Se molti umani, infatti, mi hanno rattristato e deluso; se da alcuni di loro mi sono dovuto allontanare con rassegnazione e disprezzo, i libri non mi hanno tradito, mai. E ogni volta che un velo di malinconia trafigge i giorni, la loro vista, la loro materialità, il poter riprendere ogni volta che lo desidero il dialogo con il meglio che la specie alla quale appartengo abbia saputo generare, mi restituisce sorriso, forza, luce.
In Les Thanatonautes lo scrittore Bernard Werber fa dire a Raoul che «le monde se divise en deux catégories de gens : ceux qui lisent des livres et ceux qui écoutent ceux qui ont lu des livres. Mieux vaut appartenir à la première catégorie» (Albin Michel 1994, p. 12), «il mondo si divide in due categorie di persone: quelle che leggono i libri e quelle che ascoltano coloro che i libri li hanno letti. Meglio appartenere alla prima categoria». Meglio.

Il piacere, l’inganno

Mademoiselle
di Chan-wook Park
Con: Tae-ri Kim (Sookee), Min-hee Kim (Lady Hideko), Ha Jung-woo (il Conte Fujiwara), Jin-woong Cho (lo zio Kouzuki)
Corea del Sud, 2016
Trailer del film

Una narrazione è, alla fine, la vita degli umani. Di questi animali che parlano, parlano e non la finiscono più. Che scrivono, scrivono e non la finiscono più. Che nutrono quindi il patetico e magnifico desiderio di comprendere il mondo del quale sono parte mediante il fluire delle parole e dei concetti.
Concetti anche iconici, visuali, pittorici. Il cinema è questo narrare, che in alcuni film emerge con una chiarezza didascalica la quale in Mademoiselle diventa anche ironica. La vicenda è ispirata a un romanzo di Sarah Waters –Ladra– che però viene trasposta dall’Inghilterra vittoriana alla Corea occupata dal Giappone negli anni Trenta del Novecento. La perversione dei puritani inglesi diventa così la raffinatezza dei pervertiti asiatici, di un ricco signore che possiede una grande biblioteca di testi erotici e insegna alla nipote a leggerli con voce suadente davanti a un gruppo di uomini tanto distinti quanto frementi ma la cui brama si esprime solo nel racconto, nel suono, nelle lettere/ideogrammi dei libri. La nipote/lettrice è una ricca ereditiera. Uno degli uomini decide di sedurla, sottrarla ai progetti di matrimonio dello zio, sposarla e appropriarsi dei suoi beni. Per questo ha bisogno dell’aiuto di una ragazza sua complice in altre truffe, che diventa dama di compagnia della giovane Hideko. La quale sembra inesperta, ingenua, pura. Ma anche la complice Sookee sembra ignorante e sprovveduta. L’uomo sembra un conte assai furbo, cinico, determinato.
Le tre parti in cui il film è diviso raccontano questa storia alla maniera del Rashomon di Kurosawa, da prospettive che si sovrappongono in parte ma che si dilatano poi a una differenza che si muove sul confine fra tenerezza, sadismo, inganno, crudeltà, follia, desiderio.
La pelle bianca e delicata delle due donne si alterna a un immenso polipo che abita il sotterraneo; l’eleganza degli uomini, dei giardini, della biblioteca si dissolve in un eros raccontato alla maniera del marchese de Sade; la stolta arroganza dei maschi si disvela nel sorriso vittorioso delle femmine.
È sempre la vendetta il tema dell’immaginazione di Chan-wook Park, come in Sympathy for Mr. Vengeance (2002), Old Boy (2003), Sympathy for Lady Vengeance (2005), Stoker (2013). Un’immaginazione che però appare qui come superficializzata in uno stile assai più patinato che terribile.
Rimane il piacere di raccontare l’inganno.

[Foto di Wang Zheng: Across the Sky for History]

La Quercia e la Bestia

Venerdì 27.9.2019 si svolgerà la Notte europea dei ricercatori, di tutte le persone che nelle Università del nostro Continente si dedicano alla ricerca negli ambiti più diversi della conoscenza. Come lo scorso anno, anche l’Ateneo di Catania sarà coinvolto con numerose iniziative.
Tra quelle che si terranno nel mio Dipartimento, una si intitola Scegli un libro al Monastero. Dalle 21,00 alle 23,00 nella Sala di lettura della nostra Biblioteca presenteremo infatti dei libri. Io parlerò di Regno animale, romanzo dello scrittore francese Jean-Baptiste Del Amo, pubblicato nel 2016.

New York

Copia originale
(Can You Ever Forgive Me?)
di Marielle Heller
USA, 2018
Con: Melissa McCarthy (Lee Israel), Richard E. Grant (Jack)
Trailer del film

Lee Israel è esistita veramente. Viveva a New York negli anni Novanta, redigendo biografie di scrittori e lavorando qua e là nei giornali. Aveva un pessimo carattere e amava soltanto la sua gatta. Beveva molto, venne licenziata, aveva debiti consistenti. Quasi per caso, si inventò lettere e biglietti di famosi scrittori che poi vendeva alle librerie antiquarie. Ad aiutarla fu l’unico amico, inconcludente e debosciato, che aveva.
Potrei parlare di questo film dal punto di vista della ricostruzione storica, della vita materiale, le case, gli oggetti, gli abiti. Impeccabile. Potrei parlare anche delle ottime interpretazioni -al punto giusto tra passione e distanza– dei due protagonisti. Potrei parlare del dramma di due vite assai diverse, entrambe perdute ma sempre in cerca di redenzione. Potrei parlare soprattutto della scrittura, l’elemento intorno al quale tutto si muove, le lettere intese sia come missive sia come i segni che ci consentono «di trovar modo di comunicare i suoi più reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo», di «parlare con quelli che son nell’Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e diecimila anni» e tutto questo «con qual facilità? con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta» (Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano, Einaudi 1982, p. 193).
Potrei parlare di tutto questo. E invece no. Preferisco dire qualcosa di politico, qualcosa che riguardi la πόλις contemporanea che si chiama New York, un luogo di lotta di tutti contro tutti, di costante competizione, di assenza di sicurezze sociali, di profonda solitudine, di sporcizia e di degrado, dove l’unico culto condiviso è rivolto al dollaro e alle sue molteplici incarnazioni. Sul numero 423 (marzo 2018) di A Rivista anarchica, Santo Barezini, descrivendo la vita quotidiana in questa città, parla di «una malattia, la mela avvelenata di New York».
Nelle città americane -non soltanto in esse naturalmente ma in esse in modo particolare- il denaro è tutto, è davvero l’«equivalente generale» del valore (Marx), compreso il valore delle vite umane. Vite che dunque, come quella di Lee Israel, danno per naturale il sopruso, il regime della lotta, il senso e il significato incarnati nella merce che consente di ottenere tutte le altre merci e l’illusione della soddisfazione: «Der Amerikanismus ist die historisch feststellbare Erscheinung der unbedingten Verendung der Neuzeit in die Verwüstung. Das Russentum hat in der Eindeutigkeit der Brutalität und Versteifung zugleich ein wurzelhaftes Quellgebiet in seiner Erde, die sich eine Welteindeutigkeit vorbestimmt hat. Dagegen ist der Amerikanismus die Zusammenraffung von Allem, welche Zusammenraffung immer zugleich die Entwurzelung des Gerafften bedeutet».
«L’americanismo è la manifestazione storiograficamente consultabile dell’incondizionato declino dell’epoca moderna nella devastazione. Nell’evidenza della brutalità e rigidezza, il carattere russo gode contemporaneamente di una zona sorgiva piena di radici nella sua terra, la quale si è destinata preliminarmente un’evidenza mondiale. Al contrario, l’americanismo è la raccolta disordinata di tutto, una raccolta che significa sempre, allo stesso tempo, lo sradicamento di ciò che è stato accumulato»
(Martin Heidegger, Schwarze Hefte 1939-1941 [Quaderni neri 1939-1941], Überlegungen XV [8-10], in «Gesamtausgabe», Band 96, Vittorio Klostermann 2014, p. 257; traduzione di Francesco Alfieri).

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