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Possesso

L’impero dei sensi
(Ai no Korīda – L’Empire des sens)
di Nagisa Oshima
Giappone, Francia 1976
Con: Eiko Matsuda (Sada Abe) Fuji (Kichizo Ishida)

Sada Abe lavora in una pensione, si lega al padrone in un rapporto erotico totale che li condurrà a esiti estremi. La vicenda accadde realmente in Giappone.
Molte scene sono esplicite: i corpi, le bocche, i membri, le vagine si intrecciano; i gesti, le posizioni, i movimenti dell’uno esigono e rispondono a quelli dell’altro, stabilendo una dipendenza e possesso perfetti. E tuttavia è un film gelido, nel quale a dominare è il Körper, l’organismo, più che il Leib, il corpo vissuto; è una tecnica di godimento e non una storia.
Il desiderio dell’altro implica certamente anche il desiderio del piacere che l’altro può offrirci, ma bisogna sopportare ciò che di effimero e inafferrabile è in gioco per saper riconoscere all’altro il suo proprio senso, irriducibile al nostro. Qui Sada non ammette interruzioni al loro inesauribile piacere, cerca sempre più e soltanto il membro del suo amante, per portarlo costantemente con sé. Kichi san, dal suo canto, si lascia possedere con totale abbandono, quasi a preferire la morte a una boccata d’aria tra gli orgasmi.
L’impero dei sensi è un elegante esercizio dello sguardo; è una illustrazione persino didascalica del legame tra Eros e Thanatos; è la disperazione proustiana dell’inoltrepassabile solitudine degli amanti, preferibile a tutto.
Non c’è erotismo ma c’è eleganza in quest’opera, l’eleganza di una civiltà avvezza a esprimere in forme misurate la ferocia. Come se il Sole che sorge sull’Oriente illuminasse ogni volta una Notte destinata a non finire. L’Eros è un’altra cosa. È scambio, sorriso, gioia.

Ludens

Homo ludens
di Johan Huizinga
(1938-1940)
Traduzione di Corinna von Schendel
Il Saggiatore, 1983
Pagine 304

huizingaPiù antico di ogni sapere, il gioco è l’elemento generatore di gran parte della vita individuale e collettiva. Questo significa, più o meno, il sottotitolo originale dell’opera: «Saggio sull’origine delle civiltà dal gioco». Huizinga mostra attraverso quali vie l’elemento ludico abbia generato e continui a nutrire la conoscenza, l’arte, la poesia, il diritto, la guerra, il mito, le scienze, la filosofia. Il gioco «è un’azione, o un’occupazione volontaria, compiuta entro certi limiti definiti di tempo e di spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha un fine in se stessa; accompagnata da un senso di tensione e di gioia, e dalla coscienza di ‘essere diversi’ dalla ‘vita ordinaria’» (p. 55). Senza tale elemento ludico non possono esistere la cultura e la società. Huizinga lo mostra con splendida erudizione. Tra i tanti esempi, due mi sembrano particolarmente chiari.
Nella lingua giapponese ogni attività delle classi superiori è legata al gioco, tanto che «il samurai stimava che ciò che è cosa seria per gli uomini comuni deve essere un gioco per l’uomo di valore» (153; cfr. anche 63). Ciò significa che il gioco è una delle azioni che meglio distinguono l’Homo sapiens dall’umano come esclusivo oggetto di bisogni primari; il giocare è pertanto un’attività estremamente importante con la quale «la vita sociale si riveste di forme sopra-biologiche che le conferiscono maggior valore» (78).
Riferendosi a Platone, Huizinga osserva che per lui «la filosofia, comunque approfondita, rimase un nobile gioco» (219) e l’umano stesso è un giocattolo in mano agli dèi -cioè alla necessità-, degno di ben poca considerazione.
L’esistenza si mantiene così in una dimensione leggera e insieme tragica. Una dimensione che dopo il Settecento la civiltà europea sembra aver progressivamente smarrito, sostituita da un ‘puerilismo’ che è stolto e sterile capriccio. Huizinga osserva che lo stesso sport professionistico conferma questo venir meno dell’unità fra gioco e cultura.
Homo ludens fa ben comprendere quanto l’esistenza umana abbia di apparenza, maschera, parata, rito. Prendere la vita come un gioco è il contrario di ogni volgare superficialità; significa piuttosto capire che le nostre azioni non possiedono alcun destino eterno e che racchiudono in se stesse il loro senso. Proprio per questo sono serissime e devono rispettare le regole del gioco. Altrimenti il dominio sarà dei (pre)potenti che non sanno giocare e sono soltanto dei guastafeste.

Giappone / Violenza

Shinjuku Mad
di Koji Wakamatsu
Giappone, 1970

shinjuku-madGiappone. Anni Sessanta del Novecento. Un ragazzo bacia la sua compagna e proclama di voler andare verso il futuro. Giungono dei suoi coetanei, lo uccidono, stuprano la ragazza. Il padre, postino di provincia, arriva a Tokyo per scoprire chi gli ha ucciso il figlio e le ragioni della sua morte. Penetra così lentamente in un ambiente di giovani che si proclamano infelici, nichilisti e rivoluzionari. Il coraggio che mostra quando incontra gli assassini disvela tutta la loro pochezza culturale e politica. I proclami si sciolgono al fuoco della controversia.
Le strade di Tokyo, i riferimenti alla storia giapponese, la musica che accompagna tutto il film, l’ossessiva litania della canzone Hare Krishna che scandisce uno dei dialoghi centrali del film, la geometria della violenza iniziale, il cerchio -figurativo e metaforico- nel quale si inscrivono tutte le relazioni, il sonno che pervade i sedicenti rivoluzionari, la pochezza della rivolta giovanile, ben espressa dalla bandiera degli States che campeggia in una delle stanze abitate dai ragazzi. Tutto questo è forse ciò che un europeo può comprendere di un film ambientato sì nel presente storico ma il cui significato affonda nel mito che è il Giappone.

 

Stile / Furia

Qualcuno da amare
(Like Someone in Love)
di Abbas Kiarostami
Con: Rin Takanashi (Akiko), Tadashi Okuno (Takashi), Ryo Kase (Noriaki)
Iran, Francia, Giappone, 2012
Trailer del film

 

Akiko si è trasferita da un paio d’anni dalla provincia giapponese a Tokyo. Studia, ha un fidanzato e si prostituisce. Una sera è ospite di un anziano professore, che il giorno dopo la difende dal fidanzato, del quale Akiko non sopporta più la gelosia. Il ragazzo pensa che il professore sia il nonno di lei. Quando scopre che così non è, la sua reazione è furiosa.
Una trama lineare ed esile per un film giocato sugli intervalli, sui silenzi, sulla camera in soggettiva e sui controcampi, sugli spazi chiusi e sulle strade intrise di solitudine, nonostante la folla. Un esercizio di stile dentro il quale emerge però la forza dei sentimenti umani, che attraverso l’eleganza della forma mostrano la profondità da cui scaturiscono.

 

«Mai sbiadirà»

Enola Gay
da Organisation
(1980)
di Orchestral Manoeuvres in the Dark (OMD)

«Enola Gay, you should have stayed at home yesterday
Oho words can’t describe the feeling and the way you lied
These games you play, they’re gonna end it all in tears someday
[…]
Oho Enola Gay, it shouldn’t fade in our dreams away
It’s 8.15, and that’s the time that it’s always been
[…]
Enola Gay, is mother proud of little boy today
Oho this kiss you give, it’s never ever gonna fade away»

Non sbiadirà mai il più grande crimine contro l’umanità perpetrato nell’età contemporanea.
Nessuna Norimberga, nessun Tribunale dei Diritti Umani lo ha punito, poiché è stato commesso dai vincitori.
Contrariamente a ciò che molti pensano, da quel 6 agosto del 1945 la pace è impossibile, perché Hiroshima è ovunque e può essere sempre.

[audio:Enola_Gay.mp3]

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Terra

Il dolore, per quanto sta accadendo a un popolo di antica eleganza e rigore come il Giappone, è profondo. Tra le immagini più impressionanti quelle del mare inarrestabile che invade di sé la terra con l’implacabilità di una potenza indiscutibile, potenza che soltanto un antropocentrismo ingenuo e patetico può far ancora definire -da non pochi giornalisti, ad esempio- come “irrazionale”. La Terra è il paradigma stesso della razionalità, col suo ordine cosmico dei movimenti di rotazione e di rivoluzione, di moto delle placche geologiche, di trasformazione costante e di entropia. Terremoti, tempeste, piogge, calore, sono assolutamente “razionali”. Irrazionali sono gli esseri umani, le civiltà, le amministrazioni, che costruiscono dighe su terreni franosi, impianti nucleari in zone sismiche, case su case alle falde di vulcani come l’Etna o il Vesuvio. Di tanto in tanto, la nostra grande Madre ci ricorda che siamo una specie come le altre, materia tra la materia, finitudine fatta di pianto e di hybris. Di diverso rispetto alle altre specie viventi abbiamo soprattutto la capacità di affrettare la nostra fine provocando Gaia a scrollarci da sé come quei fastidiosi e arroganti parassiti che siamo. Heidegger, filosofo della Misura, ci ha ricordato che «su questa terra noi rimaniamo insediati nel relativo» (Conferenze di Brema e Friburgo, Adelphi 2002, p. 218).

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