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Lavoro / schiavitù

After Work
di Erik Gandini
Svezia, 2023
Trailer del film

Quasi clandestini sono in Italia i film di Erik Gandini. Pochi hanno visto Videocracy. Basta apparire (2009), dedicato all’immonda finzione berlusconiana, al suo fondamento antropologico, ai suoi effetti devastanti. La RAI rifiutò di mandarlo in onda con tre motivazioni censorie.
Anche After Work si colloca nel nucleo attivo della contemporaneità, con una indagine sulla realtà del lavoro ma soprattutto sulla sua idea, sulla concezione che le persone se ne fanno, su come lo vivono. Il cuore dell’indagine sono naturalmente gli Stati Uniti d’America, la loro origine dal Calvinismo (i puritani, i Padri Pellegrini) il quale ha inventato un’«etica del lavoro» che produce ritmi tali da indurre un corriere di Amazon a consegnare ogni giorno 300 pacchi, a mangiare mentre guida e a urinare in una bottiglia «per non perdere tempo». Etica che si è ampliata ai luoghi dell’impero americano, primo dei quali la Corea del Sud, il cui governo ha persino lanciato delle campagne volte a convincere i cittadini a lavorare di meno – tale è diventata l’ossessione produttivistica – e nelle cui aziende i computer si disattivano alle 18.00 per impedire agli impiegati di rimanere ancora a lavorare.
A questo mondo di ‘macchine umane per produrre’ si contrappone quello di società nelle quali molta parte delle persone nel pieno della loro energia (i «giovani») appartiene alla categoria che i sociologi definiscono NEET: Not [engaged] in Education, Employment or Training, vale a dire che non fanno nulla, proprio nulla, in gran parte per scelta volontaria. Nel 2021 in Italia NEET sarebbero state il 26% delle persone tra i 15 e i 29 anni. Persone che possono (soprav)vivere soltanto perché finanziate dalla famiglia.
Struttura peculiare è quella di un Paese come il Kuwait, la cui (enorme) ricchezza rispetto al numero dei cittadini induce il governo a dare loro impieghi del tutto fittizi; questi ‘lavoratori’ si recano negli uffici tutti i giorni ma non hanno alcun incarico, giocano con i cellulari, guardano film, nei casi migliori leggono.
Dell’ambito del non lavoro fa parte poi una piccolissima cerchia di persone molto ricche, che vivono di grandi rendite – una delle intervistate è presentata con la formula «ereditiera» – e che cercano di inventarsi ogni giorno qualcosa da fare: interessi, hobby, pratiche.
E infine il futuro che è già presente: grandi fabbriche dove non c’è più un operaio e a lavorare non sono gli umani ma dei robot guidati da algoritmi assai perfezionati: hardware e software che vanno sempre più celermente sostituendo lavoratori umani, persone vive.
Il film di Gandini descrive con efficacia queste realtà. I brevi interventi di un filosofo anarchico come Chomsky, di un imprenditore visionario come Musk, dell’ex ministro greco delle finanze Varoufakīs,  di un transumanista come Harari, sembrano piuttosto esornative, non aggiungono molto alla sostanza del documento.
Quale sostanza? Come si può analizzare ciò che questo film descrive?
Il punto di partenza è, come sempre, la nostra natura animale. Come tutti gli altri mammiferi, Homo sapiens ha bisogno di mangiare, di coprirsi, di avere un rifugio. Per questo tutti gli animali ‘lavorano’, vale a dire cercano il cibo e il benessere quotidiano. Dopo aver raggiunto l’obiettivo, gli altri animali non fanno più niente, in attesa di avere di nuovo fame. Ma non solo gli altri animali. Gli studi di Marshall Sahlins e di Pierre Clastres sulle «società selvagge» mostrano come il modo di produzione domestico (Mpd) «assicuri in realtà una completa soddisfazione dei bisogni materiali della società, a fronte di un tempo limitato dedicato alle attività di produzione e della bassa intensità con cui sono espletate. […] Le società primitive, sia di cacciatori nomadi sia di agricoltori stanziali, sono in realtà, considerando il poco tempo destinato alla produzione, vere e proprie società del tempo libero” e “società dell’abbondanza”» (Clastres, L’anarchia selvaggia. Le società senza stato, senza fede, senza legge, senza re, Elèuthera 2013, pp. 46 e 97).
Lo sguardo va dunque radicalmente mutato: le società ‘primitive’ sia nel tempo sia nello spazio sono di fatto più ricche di quelle successive. Ricche anche di tempo da dedicare ad attività non direttamente legate alla produzione. Nelle società protestanti-capitalistiche (da questo punto di vista i due aggettivi indicano lo stesso fenomeno), vale a dire in tutto l’Occidente contemporaneo – comprese molte società asiatiche – ‘non lavorare’ instilla un profondo senso di colpa o una evidente riprovazione sociale.
Nel mondo non cristiano, e segnatamente tra i Greci e i Romani, una delle caratteristiche dell’uomo libero è invece esattamente il non lavorare, il non averne bisogno. E potersi così dedicare ad altre attività, tra le quali rientrano anche e specialmente l’attività politica e quella creativa, la vita intellettuale, ciò che noi definiamo oggi «cultura». Diversamente dalle società selvagge, nel mondo antico tutto questo era possibile perché altri producevano. E sta qui il fondamento della proposta platonica della Repubblica che distingue i produttori, i soldati e i governanti/filosofi. Essere liberi dalle esigenze immediatamente produttive è condizione necessaria per ritenersi ed essere liberi. Il resto è schiavitù.
Alla fine di After Work viene chiesto ad alcuni dei lavoratori di rispondere a un’ultima domanda: che cosa farebbero se si offrisse loro uno stipendio senza che debbano fare più nulla? È un interrogativo ovviamente legato alla automazione che si estende ed estenderà sempre più, rendendo inutile la presenza umana rispetto a macchine ed algoritmi capaci di lavorare senza posa 24 su 24, sempre. Gli sguardi e le non-risposte degli intervistati dicono che da molti secoli ormai la più parte delle società umane sono composte da persone che fuori dal lavoro «produttivo di qualcosa» non sanno concepirsi; persone per le quali vivere è immergersi nell’etica del lavoro; persone che – nella prospettiva delle società mediterranee sino alla caduta dell’Impero Romano – sono semplicemente degli «schiavi».
Una schiavitù che conferma l’ipotesi di Pascal per la quale gli umani hanno bisogno di impiegare il loro tempo in qualche attività, anche perché questo li aiuta a non pensare alla loro miserabile condizione.
La grandezza di una vita dedicata allo studio, ai libri, al sapere consiste invece nell’impiegare il tempo avendo sempre davanti la condizione assai triste dell’umano e tuttavia essendo capaci di gioia, la gioia della conoscenza.

Sul virtuale

Presenza e realtà
Sul virtuale

in Dialoghi Mediterranei
n. 62, luglio-agosto 2023
pagine 27-33


Indice

-Una premessa metafisica 
-La presenza
-Realtà e documanità
-Una «biopolitica progressista»
-Simulacri 

Dopo una breve premessa a sostegno del realismo metafisico – vale a dire che il mondo esista indipendentemente da qualunque entità che lo percepisca – ho cercato di descrivere le diverse prospettive sul virtuale proposte da due recenti libri di filosofi italiani: Contro Metaverso. Salvare la presenza (Mimesis, 2022) di Eugenio Mazzarella e Documanità. Filosofia del mondo nuovo (Laterza, 2021) di Maurizio Ferraris. Ho concluso con un accenno al concetto di «simulacro» proposto da Jean Baudrillard, il quale difende la presenza rispetto alla società dello spettacolo diventata l’«estasi della comunicazione», che si è trasformata a sua volta nella pervasiva potenza di un virtuale il cui esito ultimo è la rimozione della presenza, la dissipatio della realtà.

Le riviste

Il respiro delle riviste
in Dialoghi Mediterranei
n. 61, maggio-giugno 2023
pagine 156-161


Indice

-L’utilità e il danno del digitale per le riviste
-Riviste universitarie, il caso del CORIFI
-La valutazione (anche) delle riviste
-La valutazione come dispositivo politico
-Conclusione: il respiro del labirinto 

Il numero 61 di Dialoghi Mediterranei ha dedicato una sezione alle riviste scientifiche e di cultura, alla funzione che esse svolgono nel presente, ai rischi che scompaiano, alla possibilità che invece rafforzino il loro statuto di indispensabile luogo di dialogo, scienza e libertà.
Ho partecipato molto volentieri a questa discussione, con un testo nel quale ho cercato di indicare, appunto, «l’utilità e il danno del digitale per le riviste»; di accennare alla loro vicenda dal Settecento a oggi; di approfondire il caso delle riviste di area filosofica in Italia; di discutere della funzione che le riviste e la loro classificazione – scientifiche/non scientifiche; normali/di classe A – svolgono nell’attribuzione dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN), vale a dire del requisito da alcuni anni indispensabile per accedere ai concorsi per diventare professore universitario.
Ho concluso citando un grande bibliotecario, Jorge Luis Borges, e ribadendo la convinzione che qualunque cosa accada, qualunque sia l’evoluzione, il destino, la metamorfosi dei libri e delle riviste nelle quali da secoli trova spazio, si esprime e si condensa la conoscenza che tentiamo del mondo e di noi stessi, in ogni caso la parola scritta, la parola pensata, rimane il respiro dell’umano, la sua condizione di vita, la sua nobiltà. 

Gnosi / Nietzsche / Metaverso / Poesia

Da martedì 18 a giovedì 20 aprile 2023 il filosofo e poeta Eugenio Mazzarella parteciperà ad alcuni eventi che si svolgono a Catania, a due dei quali collaborerò anch’io.
Li riassumo sinteticamente qui:

-martedì 18 aprile, ore 16.00, Dipartimento di Scienze Umanistiche, Sala Rotonda del Coro di Notte, presentazione del volume di Lucrezia Fava Heidegger e la Gnosi (Mimesis 2022);
-mercoledì 19 aprile, ore 10.00, Dipartimento di Scienze Umanistiche, aula 252 (e non aula A4 come indicato nella locandina) lezione per gli studenti di Filosofia teoretica (e per chiunque fosse interessato) su Nietzsche / Metaverso;
-mercoledì 19 aprile, ore 18.00, libreria Feltrinelli, dialogo con Giuseppe Frazzetto e Lucrezia Fava su Contro Metaverso. Salvare la presenza (Mimesis, 2022);
-giovedì 20 aprile, ore 10.30, Dipartimento di Scienze Umanistiche, aula 31, dialogo sulla più recente raccolta poetica di Mazzarella, Cerimoniale (Crocetti editore 2023)

I primi due eventi sono organizzati dall’ASFU (Associazione Studenti di Filosofia Unict) e dal progetto di ricerca di Ateneo EuRoad (Europa Tràdita).

 

 

 

Servitù digitale

Sul Metaverso
Aldous, 23 marzo 2023

Aldous ha pubblicato una versione più ampia della riflessione che sul Manifesto ho dedicato al libro di Eugenio Mazzarella Contro Metaverso. Salvare la presenza (Mimesis 2022, pp. 142).
L’integrazione riguarda in particolare le affermazioni che riporto qui sotto.
Se si guardano le modalità concrete nelle quali sinora si è tradotto questo progetto, emerge appunto la sua somiglianza con forme di dominio assai tradizionali, un «uso oligarchico e lucrativo della rete da parte di uomini su altri uomini» che si manifesta, tra l’altro, in «concretissimi processi di alienazione sociale, esistenziali e finanche percettivi […]. Non ci si rende conto che il web è la nuova gleba a cui siamo asserviti, paradossalmente ancora più stanziale della vecchia gleba, perché è racchiusa nel fazzoletto di terra di uno schermo che ci viene fornito a ‘casa’, senza neppure necessità che si esca ‘in campagna’».
Lungi dall’essere smart, intelligente e agile, il telelavoro è una «truffa che rischia di aggiornare online il cottimo della manifattura domiciliare senza fabbrica». E dunque la decantata da troppi (Luciano Floridi, ad esempio) ’quarta rivoluzione’ dell’infosfera si rivela un ulteriore «passaggio epocale nella storia dell’alienazione intrinseca all’umano nel rapporto con i suoi mezzi». Un’alienazione proprio nel senso marxiano, una rinuncia all’autonomia e all’emancipazione per sottomettersi invece senza neppure averne coscienza a una «oligarchia dei padroni pubblici e privati del web nel Deep State  del potere dell’infosfera».

Metaverso

Quel «Metaverso» e la complessità dell’essere umano
il manifesto / alias
25 febbraio 2023
pagina 11

I fenomeni più ‘all’avanguardia’ della nostra ipermodernità, le tecnologie che appaiono più avanzate e innovative, conservano, presentano e manifestano in realtà dei tratti arcaici. Il progetto del Metaverso intende fare di Facebook non una piattaforma di incontri e interazioni; non un immenso database di parole, nomi, immagini, suoni; non un’impresa commerciale ma una vera e propria nuova realtà. Metaverso è il sogno di diventare dio e ha come fondamento «un animismo digitale» di forte impronta matematica (‘digitale’ appunto) che disprezza la realtà dei corpi, della materia e della presenza per sostituirla con un «effetto gorgo, un buco nero dell’online» che «fagocita sempre più la realtà offline, la vita come tale» (Eugenio Mazzarella).

«Il proprio tempo appreso nel pensiero»

È vero: «die Philosophie ihre Zeit in Gedanken erfaßt» (Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, prefazione), la filosofia (è) il proprio tempo appreso e colto nel pensiero, o almeno è anche questo. E dunque il breve e denso disegno che Davide Miccione traccia del nostro tempo è del tutto filosofico. Intelligenza del presente e chiarezza analitica descrivono infatti esattamente ciò che accade e la direzione che si sta cercando di imprimere alla vita collettiva, ovunque.
Il testo è uscito su Aldous il 10.9.2022, con il titolo Il nominabile attuale.

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Qualora fosse umanamente possibile, la campagna elettorale aumenta la confusione. Questioni gravi e questioni irrilevanti, problemi reali e capziosità, paure vere e chiamate alle armi di sessant’anni fa ritirate fuori oggi alla bisogna, si accavallano senza sosta. “L’innominabile attuale”, il presente incomprensibile entro cui seguiamo o persino pretendiamo di guidare gli altri (come nella bruegeliana parabola dei ciechi) si fa ancora più confuso, aumentano gli slogan e i distinguo, le false bandiere e i distrattori. Diventa allora necessario, accettando preventivamente il giudizio di superficialità e di indebita semplificazione che sempre ci si attira, provare a definire gli elementi essenziali del nostro (lungo e perdurante) presente politico. Posto in bell’ordine il catalogo è questo:

  1. I ricchi diventano e devono diventare sempre più ricchi.
  2. I ricchi devono “potere” sempre più, dunque sempre meno devono essere gli aspetti della vita sulla terra non riducibili nella sua interezza al valore e al potere del denaro (per farsi un’idea degli aspetti descrittivi si vedano i lavori di Michael Sandel).
  3. Lo Stato si può impoverire o indebolire se ciò è utile al punto 1 o può acquisire importanza se ciò è utile al punto 1. Si veda a tal proposito la demolizione del welfare in questi decenni e viceversa il potentissimo Stato ambulatoriale di questi tre anni.
  4. Le procedure democratiche devono diventare irrilevanti in modo da non disturbare lo sviluppo dei punti 1, 2 e 3.
  5. Le procedure democratiche possono essere momentaneamente enfatizzate se servono allo sviluppo dei punti 1, 2 e 3.
  6. Quasi tutti i prodotti ideologici o culturali passati (dai sumeri al Novecento), fatto salvo qualche sparuto aspetto della ragione liberale, si pongono, anche senza volerlo o saperlo, come forme di resistenza allo sviluppo dei punti 1 e 2 perlopiù per un loro implicito non mettersi pienamente a disposizione. Dunque vanno sottoposti a character assasination (Islam, comunismo ad esempio), o a indebolimento, svuotamento eccetera, con moto uniformemente accelerato.
  7. Il processo dei punti 1 e 2 viene chiamato capitalismo, mercatismo, finanzcapitalismo, turboliberismo eccetera sebbene a volte si incarni in grandi organismi internazionali (ovviamente non eletti) o Stati.
  8. Quando alcuni attori che perseguono il punto 1 e il punto 2 hanno necessità di agire attraverso i governi o vi si identificano momentaneamente ciò viene chiamato geopolitica.
  9. Il processo dei punti 1 e 2 è necessario venga visto come irreversibile da tutti e come l’unico pensabile e non sostituibile da altro (vedi il compianto Mark Fisher).
  10. Per mantenere inimmaginabile qualsiasi altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la storicità come categoria di giudizio del reale e la conoscenza del passato. L’operazione (già a buon punto) viene portata avanti per omissione (indebolimento dell’insegnamento della storia e degli aspetti storici di ogni disciplina) e attivamente con la promozione di quell’aborto concettuale che è la cancel culture, concezione che dell’alterità fa un medesimo difettoso da emendare e da condannare in quanto non uguale a noi.
  11. Per mantenere inimmaginabile un altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la filosofia o va sostituita con una filosofia settoriale e procedurale (ben si attaglia dunque la filosofica analitica) che non pensi di poter descrivere e valutare l’interezza del reale.
  12. Per mantenere inimmaginabile un altro tipo di mondo non basato su 1 e 2 va eliminata la Grande Letteratura e la sua capacità di violare la “moralina” che ogni presente pensa di incarnare pienamente.
  13. Il politicamente corretto, la cultura woke, creando una perenne preoccupazione per le offese arrecabili a individui, è un ottimo “spengipensiero” e devia l’attenzione di chi dovrebbe essere di sinistra (dunque contrario ai punti 1 e 2) verso questioni meramente linguistiche e di dettaglio. Essendo fondata sulla libera decisione dei soggetti di sentirsi offesa, la cultura woke può riprodursi ed espandersi all’infinito.
  14. Le forme attuali dell’arricchimento del punto 1 abbisognano di un uomo sempre più sbilanciato verso una pseudovita telematica e sempre meno in grado di vivere esperienze libere, corporee, amicali. Per questo la digitalizzazione è diventata sempre un bene, anche contro ogni evidenza sociologica.

Addendum: una grandissima parte delle parole e degli slogan che sentirete in questa campagna elettorale è solo una forma di subspeciazione artificialmente creata per simulare una differenza e una dialettica tra forze egualmente devote all’obbedienza dei primi due punti dell’elenco. A meno che il lettore non faccia parte dei ricchissimi o di coloro che ragionevolmente pensano di poterli parassitare per un tempo sufficientemente lungo (giornalisti, operatori finanziari, apparatčik di organismi internazionali, deputati) votare per partiti che non avversano lo sviluppo dei punti 1 e 2 (e degli altri 12 di supporto) potrebbe non essere la cosa più razionale da fare, né per sé né per il mondo.

[L’articolo è stato ripubblicato anche da Sinistrainrete]

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