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Teza

di Haile Gerima
Etiopia, 2008
Con: Aron Arefe (Anberber), Abiye Tedla (Tesfaye), Takelech Beyene, Teje Tesfahun
Trailer del film

teza

Anni Settanta del Novecento. Anberber vive in Germania dove studia medicina e fa parte di un gruppo di etiopi oppositori del regime di Hailé Selassié. Alla caduta dell’imperatore, torna in patria insieme ad altri amici, pieno di speranze e di progetti che la guerra civile e la dittatura leninista di Menghistu dissolvono ben presto. Inviato dal nuovo regime in Germania Est subisce, dopo la caduta del Muro, un attentato razzista. Tornato nel suo villaggio etiope, segnato dalle esperienze vissute, racconta da qui la propria vicenda. L’incontro con una donna creduta strega, e per questo ai margini della vita sociale, sembra aprire una nuova vita.

Autobiografia di un uomo e della sua terra, Teza (Rugiada) -Premio speciale della giuria a Venezia 2008- vuol creare uno spazio sospeso tra la storia e il mito, fra le ideologie europee e l’arcaismo magico dell’Etiopia. Spesso ripetitivo nel montaggio e lento nei ritmi, il film riesce comunque a esprimere un completo disincanto sulla grettezza delle comunità di villaggio e sul fanatismo dei regimi liberatori. Che guardino al sedicente progresso comunista o alla presunta saggezza contadina, in entrambi dominano la meschinità, la violenza, il rifiuto dell’altro, l’ignoranza di quanto complesso sia il mondo.

Che – L'argentino

di Steven Soderbergh
(Che – Part One)
USA-Francia-Spagna, 2008
Con: Benicio Del Toro (Ernesto Guevara), Demiàn Bichir (Fidel Castro)
Trailer del film

che_argentino

Dall’incontro del medico argentino Ernesto Guevara con Fidel Castro a Mexico City alla guerriglia nella Sierra Maestra e da lì verso la capitale cubana. È il percorso della prima parte di un film che è stato pensato in modo unitario (4 ore e mezza) e che soltanto esigenze di distribuzione hanno indotto a dividere in due tronconi.
Sin da ora, comunque, si può dire che il Che di Soderbergh è un personaggio malinconico e minimale, duro per esigenze di ufficio e più a suo agio nella cura dei campesinos. Un uomo che vive la rivoluzione come un dovere, che rifiuta di assurgere a simbolo di alcunché e che invece il destino e il merchandising hanno trasformato in una merce buona per tutte le stagioni, generazioni e classi sociali. Nel film l’icona è abbattuta a favore dell’utopia di giustizia e della sua impossibilità.
La regia è funzionale a questo progetto. Nessun primo piano se non per frammenti del volto di Guevara durante l’intervista concessa a una giornalista statunitense in occasione del discorso che tenne all’ONU come ministro cubano dell’industria; l’alternarsi nel montaggio di scene in bianco e nero quando il Che si trova negli USA e a colori quando combatte nella giungla; un taglio dell’immagine che la rende sempre incompleta, a dire l’incompiutezza di ogni progetto umano di riscattare il proprio male.

La banda Baader Meinhof

di Uli Edel (Der Baader Meinhof Komplex) Germania, 2008 Con: Martina Gedeck (Ulriche Meinhof), Moritz Bleibtreu (Andreas Baader), Alexandra Maria Johanna Wokalek (Gudrun Ensslin), Bruno Ganz (Horst Herold) Trailer del film baadermeinhof

Germania, decennio 1967-1976. Dalle feste in spiaggia alla morte nel carcere di Stammheim si consuma la parabola della giornalista Ulriche Meinhof, che dopo aver aiutato Andreas Baader a fuggire dal carcere entra insieme a lui e ad altri compagni in clandestinità, trascorre un periodo di addestramento in Giordania e compie una serie di rapine e attentati prima di essere definitivamente arrestata. Fu lei l’autrice della più parte dei testi teorici e dei manifesti della Rote Armee Fraktion ed è soprattutto sulla sua vicenda che il film incentra la propria attenzione.

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PASSARE IL SEGNO. La forma della contestazione 1968-1977

Milano – Biblioteca di via Senato
Sino al 3 maggio 2009

L’immaginazione (grafica) al potere! Questa interessantissima mostra documenta, infatti, l’evoluzione della forma libro e della miriade di pubblicazioni che costellarono il Sessantotto e gli anni immediatamente successivi.
Il fondo utilizzato è quello della Biblioteca di via Senato a Milano: circa 2.500 materiali tra libri, giornali, riviste, documenti, manifesti, volantini, ciclostilati…Tra i pochi oggetti non librari si possono ammirare dei veri e propri reperti: un megafono, un ciclostile, una macchina da scrivere marca “Contessa” di colore arancione.

Dalla grafica essenziale ed elegante dei primi testi si passa col tempo a una maggiore varietà e ricchezza cromatica, si passa alla riproduzione sulle copertine dei ritratti dei santi protettori -Marx, Lenin, Mao, Che Guevara-, a soluzioni formali spesso di grande livello e originalità.
I periodici, poi, creano un vero e proprio linguaggio dall’impatto molto forte nel quale slogan e immagini si fondono a profetizzare la rivoluzione inevitabile e imminente. Ma insieme ai classici del marxismo-leninismo-maoismo e alle pubblicazioni dei vari gruppi rivoluzionari (indimenticabile Servire il popolo, organo di stampa dell’«Unione dei marxisti-leninisti italiani», il cui leader indiscusso era Aldo Brandirali, poi finito a far l’assessore nelle giunte berlusconiane del comune di Milano) si possono vedere anche alcuni testi di Julius Evola, i primi libri di Comunione e Liberazione, persino un numero della Voce della fogna, periodico semiclandestino che con umorismo rivendicava l’identità di Destra anche attraverso l’uso del fumetto.

Ed è l’ironia anarchica che rimane ancora viva. Il situazionista Vaneigem nel suo Brindisi alla salute dei lavoratori rivoluzionari scriveva -con evidente parodia del Manifesto– «Abbiamo da guadagnare un mondo di piacere. Non abbiamo pertanto altro da perdere che la nostra noia» e Gianfranco Sanguinetti consigliava al capitalismo, per salvarsi, di aderire al PCI. È finita col PCI che ovviamente ha aderito al capitalismo. E non solo il PCI…
La mostra fa un effetto particolare, una mescolanza di nostalgia, sconfitta delle idee, vittoria delle forme narcisistiche delle quali il Sessantotto fu intessuto.

La fattoria degli animali

Teatro Filodrammatici – Milano
da George Orwell
Progetto e regia Bruno Fornasari
Con: Tommaso Amadio, Marco Cacciola, Stefania Pepe, Andrea Lapi, Giulia Viana, Giacomo Ferraù
Produzione eThica?
Sino al 30 novembre 2008

L’apologo di Orwell è dirompente. Mediante la trasformazione degli uomini in animali, la barbarie del comunismo diventa di una chiarezza assurda, di un’evidenza quasi accecante. Si capisce, quindi, perché in Inghilterra, nella liberale Inghilterra, il suo libro fosse stato rifiutato da ben quattro editori che ritenevano inopportuno urtare la suscettibilità di Stalin, in quegli anni (il libro uscì nel 1945) alleato dell’Occidente. L’amore di Orwell per la libertà sempre e comunque, lo induce invece ad asserire che «da una decina d’anni credo che l’attuale regime russo è essenzialmente un male, e vado affermando il diritto di dirlo, nonostante la nostra alleanza con l’URSS in una guerra che voglio vedere vinta» (La fattoria degli animali, Mondadori 1995, p. 114). Infatti, «se libertà vuol dire veramente qualcosa, significa il diritto di dire alla gente quello che la gente non vuol sentire» (115)

La giovane compagnia guidata da Bruno Fornasari ha trasformato la Fattoria in una società cooperativa (ben presto diventata S.p.A.) produttrice di carni in scatola; ha tagliato molto del romanzo ma in compenso lo ha reso assai mobile, intessendolo di musiche e di danze ritmate che scandiscono l’idolo della produzione che mai deve interrompersi. Si vede che gli attori-narratori danno tutto e il risultato è uno spettacolo dinamico, la cui tragicità consiste nella possibilità sempre incombente del dominio. «Tutti gli animali sono eguali ma alcuni animali sono più eguali degli altri» (p. 100), naturalmente.

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