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Merce, incanto, simboli

Il consumismo? Si può presentare anche come ecosostenibile
il manifesto
1 giugno 2019
pagina 11

Oltre l’economia, i simboli. Il fondamento economico delle strutture sociali è indubitabile ma da solo non basta a comprendere quanto si muove nei labirinti delle vite individuali e collettive. L’incanto della merce diventata social è sempre più pervasivo, illimitato e sovrano, sino a delineare un vero e proprio «totalitarismo simbolico», capace  di assumere aspetti progressisti, umanitari, ‘ecosostenibili’. Discutendo sul manifesto il libro di Gianpiero Vincenzo Starbucks a Milano e l’effetto Don Chisciotte. I rituali sociali contemporanei, cerco di analizzare brevemente condizioni e forme di questa dinamica che intrama il presente.

Libertaria 2018

Sabato 20 ottobre 2018 alle 18,00 a Nicosia (Enna) nell’ambito delle Giornate di DaVì parteciperò alla presentazione di  Libertaria 2018 – Voci e dinamiche dell’altro (a cura di Luciano Lanza, Mimesis 2018) e Anarchici e orgogliosi di esserlo di Amedeo Bertolo (elèuthera 2017).

L’emancipazione è un processo senza fine. Anche questo ci insegna la storia dell’anarchismo. Un processo nel quale ciò che conta non è la meta finale -che non esiste- ma è il divenire della libertà. E questo accade perché anche il dominio è un processo senza fine. Tramontate alcune tradizionali strutture istituzionali, emergono forme sociali apparentemente più impalpabili, virtuali, ma di fatto anch’esse ferree. Tale è il Web, che diventa sempre più «una massiccia macchina di sorveglianza di proporzioni inimmaginabili alle polizie segrete del passato» (Harry Halpin, Libertaria 2018, pp. 46-47) e che esercita il proprio dominio con l’attiva complicità e partecipazione dei dominati. Tale è «il diritto internazionale umanitario, restio a prendere atto dell’egemonia orwelliana a livello linguistico, là dove la guerra è umanitaria, l’ordine ferreo è pace, la dittatura è democrazia, l’oligarchia è pluralismo» (Salvo Vaccaro, ivi, p. 32). Tale è lo squilibrio pervasivo e massiccio tra teorici alleati tra i quali uno -gli Stati Uniti d’America- interviene continuamente nell’immaginario collettivo, nelle condizioni economiche, nelle strutture terroristiche che esso stesso crea, protegge, finanzia. Il caso italiano è paradigmatico, come ben sanno gli anarchici milanesi. La strage di piazza Fontana non sarebbe stata infatti possibile né pensabile senza i ‘Servizi di sicurezza’ statunitensi che conoscevano e tranquillizzavano gli ideologi e i realizzatori del massacro.
La forma più violenta di dominio -quella che di fatto influenza e determina le altre- si attua nell’«abisso del nichilismo finanziario» (Vaccaro, 29), nella «finanziarizzazione predatoria» di cui discutono Yanis Varoufakis e Noam Chomsky. Il Capitale è sin dal principio l’appropriazione privata della ricchezza generata dall’intero corpo sociale. Il Capitale è l’astrattezza matematica della scienza economica che si pone per intero al suo servizio, ignorando nelle proprie equazioni -le equazioni che determinano poi la vita di miliardi di persone- lo spazio e il tempo reali, le fabbriche, i costi di trasporto, i monopoli; una scienza dunque del tutto disincarnata ma che detta le formule che poi la stampa finanziata dallo stesso Capitale rende luogo comune,  verità, decisione giusta e inevitabile.
Il Capitale è la legge del più forte, che nel 2008 salva le banche e le assicurazioni statunitensi che avevano accumulato miliardi di debiti -cancellandoli di botto-, affama la Grecia, per i suoi debiti di gran lunga inferiori, e condiziona la politica di tutte le società europee, compresa l’Italia.
Le istituzioni dell’Unione Europea sono le vere nemiche dell’Europa, dei suoi popoli, dei suoi lavoratori, dei suoi diritti, delle sue libertà. Varoufakis, che ha conosciuto dall’interno le strutture dell’Unione, parla di vera e propria «brutalità» dei banchieri dell’Eurogroup contro i rappresentati eletti degli stati europei.
Rispetto a questo estremismo finanziario le prospettive libertarie mostrano la loro saggezza e il loro potenziale di emancipazione e di pace. Lo fanno a partire dalla lucidità con la quale sanno individuare identità e differenze nelle strutture del potere. Tra coloro che meglio ne hanno individuato la natura c’è Amedeo Bertolo (1941-2016), che non è stato soltanto uno dei più importanti anarchici europei ma  anche e soprattutto uno dei più lucidi pensatori libertari, capace di distinguere con esattezza concetti come potere, autorità, dominio.
Il dominio ha la sua fonte nella trasformazione delle differenze in gerarchie. Il modello originario e fondante del dominio è la relazione dell’animale umano con gli altri viventi. Una relazione che è diventata sempre più a senso unico, che ha assunto le forme dello sterminio e della produzione industriale di viventi generati soltanto per essere destinati alla macellazione: «Negli ultimi due secoli la violenza e lo sfruttamento degli animali hanno cambiato passo non solo per la quantità (miliardi), ma per la qualità. È un’interminabile moltiplicazione per sterminio che ha profondamente trasformato l’animale, da corpo vivente e senziente in pura fungibilità. È il sogno realizzato di ogni dominio, segnatamente quello capitalistico: trasformare il vivente in pura fungibilità» (Filippo Trasatti, p. 184). È anche per questo che l’opzione vegetariana è oggi una delle più efficaci e concrete forme della disobbedienza a un sistema che affama interi continenti per produrre la carne che arriva sulle mense dei Paesi più ricchi. Rispettare, conservare, difendere la differenza animale è conservare, rispettare, difendere «le forme di eguaglianza nella differenza» delle quali parla Vaccaro (27); è attuare una pratica «da cui emerga un’identità umana meno monolitica e al tempo stesso di un’ontologia che metta in primo piano il divenire, la molteplicità, le differenze» (Trasatti, 180).
Perché al centro dell’anarchia, come della vita, c’è sempre la Differenza.

[L’immagine è di Pietro Spica]

La democrazia e i suoi nemici

Sia in ambito politologico sia nella quotidiana e concreta organizzazione dei governi, il tramonto di ciò che viene ancora e per inerzia chiamato democrazia è ormai evidente. Tra le tante prove e testimonianze possibili, si possono scegliere due dati elettorali, il caso catalano e la struttura dell’Unione Europea, vale a dire il vero e proprio tradimento -ogni altra parola appare eufemistica- attuato dalle sinistre europee nei confronti della loro identità storica e politica.

Il primo dato elettorale è quello che emerge dall’elezione di Emmanuel Jean-Michel Frédéric Macron alla presidenza della Repubblica francese. Non mi riferisco a programmi, intenzioni, azioni di governo ma al semplice dato numerico per il quale questo presidente è stato eletto al ballottaggio del 2017 da molto meno della metà dei francesi aventi diritto di voto, esattamente da 20.703.631 elettori su 47.552.183. Quasi due terzi del popolo francese non ha dunque espresso la volontà di avere questa persona come presidente. E si tratta della Francia, vale a dire di una nazione che ha sempre espresso percentuali di voto assai alte.
Il secondo dato elettorale concerne quanto sta avvenendo in Italia, dove una variegata coalizione formata da Partito Democratico, Forza Italia, seguaci di Angelino Alfano e Lega Nord, con l’attiva complicità del governo Gentiloni e della presidente della Camera Boldrini, impone una legge elettorale che ha l’esplicito e antidemocratico obiettivo di neutralizzare la forza del Movimento 5 Stelle e di eliminare ciò che resta della sinistra. Una legge elettorale imposta con il voto di fiducia da e a un Parlamento eletto con una legge dichiarata dalla Consulta incostituzionale è il fascismo del XXI secolo.

Struttura e funzionamento dell’Unione Europea sono affidate a un’oligarchia di funzionari, tecnocrati e banchieri che nessuno ha mai eletto ma che impongono la loro ideologia ultraliberista e le loro decisioni tecnico-amministrative a tutti i governi dell’Unione. Il processo di integrazione europea mostra in tal modo la propria natura antidemocratica e antieuropea, tanto che Pierre Dardot e Christian Laval in Guerra alla democrazia. L’offensiva dell’oligarchia neoliberista (DeriveApprodi, Roma 2016) affermano con chiarezza che è necessario dissolvere la cornice dell’Unione europea per salvare l’Europa politica. Un caso emblematico è quanto sta accadendo nella Spagna/Catalogna, dove l’insofferenza verso i poteri che rispondono soltanto al centralismo finanziario mostra allo stesso tempo le difficoltà di una cornice obsoleta quale è ormai lo Stato-nazione e la determinazione di quest’ultimo a sopravvivere a qualunque costo. Per quanto diversi siano nel tempo, nello spazio e nelle fondamenta, sembra che il crollo dell’Impero Austro-Ungarico e quello dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche abbiano insegnato poco ai decisori politici. In ogni caso, il libro di Dardot e Laval enuncia tesi fondamentali sul tradimento della democrazia operato da governi che non rispondono più ai popoli ma alle aristocrazie tecnocratiche.
Riassumendo e commentando le loro tesi, Massimo Virgilio (Diorama letterario, n. 338) scrive parole chiare e del tutto condivisibili: «A sostenere gli enormi costi della crisi, in particolare quelli relativi al salvataggio del sistema bancario, sono stati chiamati esclusivamente i lavoratori dipendenti e i pensionati. In questo modo il sistema capitalistico ha fatto della crisi un vero e proprio modo di governo, che sfrutta ‘le armi disciplinari dei mercati finanziari’ per punire severamente chiunque respinga il programma neoliberista di riduzione dei salari, liberalizzazione del mercato del lavoro, privatizzazione delle imprese pubbliche e tagli al welfare. […] L’obiettivo di questo potere è uno, l’accumulazione illimitata della ricchezza» (pp. 36-37).

Tra i non molti intellettuali di sinistra capaci di formulare analisi realistiche e non edulcorate sul sistema economico vigente, Dardot e Laval sostengono che «se il capitale e il blocco oligarchico neoliberale che lo rappresenta hanno potuto affermare la loro volontà con tanta facilità, la responsabilità è per intero della sinistra di governo. Quest’ultima da diversi anni ha fatto sua la teoria di una fine della storia che si risolve in un capitalismo senza fine, senza regole e senza confini. Ha accettato l’idea che in un mondo dalle risorse limitate e in via di esaurimento, la crescita illimitata della produzione di beni e servizi sia indispensabile ad assicurare benessere e felicità all’umanità. […] Evidentemente, sovvertire il sistema capitalistico non è più l’obiettivo di una sinistra che ormai si limita solo a proporre un capitalismo dal volto umano che nella realtà non esiste né potrà mai esistere. Come può avere un volto umano un sistema che consente a soli 62 individui in tutto il pianeta di possedere la stessa ricchezza di 3,6 miliardi di persone, ossia la metà più povera della popolazione mondiale?» (pp. 37-38).
Democrazia non vuol dire soltanto andare a votare ogni 4-5 anni per delegare qualcuno che amministri la cosa pubblica. Democrazia significa effettiva divisione dei poteri, che oggi sono invece subordinati a quello finanziario; significa la libertà di scrivere e manifestare il proprio pensiero, sempre più limitata da censure ideologico-governative e dal flagello del politicamente corretto che sottomette al diritto penale persino le opinioni storiche e filosofiche; significa libertà dal bisogno economico e non soltanto la libertà di dei diritti civili.
È dunque evidente come il neoliberismo sia «ormai così compenetrato nello Stato che chiunque abbia davvero a cuore la sovranità del popolo non può fare altro che agire contro lo Stato esistente, contro tutto ciò che nello Stato sorregge la dimensione oligarchica» (p. 38).

Vi presento il Capitale

Vi presento Toni Erdmann
(Toni Erdmann)
di Maren Ade
Germania-Austria 2016
Con: Peter Simonischek (Winfried / Toni Erdmann), Sandra Hüller (Ines), Thomas Loibl (Gerald), Trystan Pütter (Tim), Michael Wittenborn (Hennenberg), Vlad Ivanov (Iliescu)
Trailer del film

Winfried Conradi non è più giovane ma ama scherzare come un ragazzino, con parrucche, denti finti e aggeggi vari. Bada anche all’anziana madre e a un cane ancor più vecchio. La figlia Ines è una consulente aziendale, sempre in giro per il mondo e totalmente concentrata sul proprio lavoro, che sostanzialmente consiste nel preparare le condizioni per delocalizzare le aziende e licenziare delle persone. Adesso si trova a Bucarest. Winfried le si presenta all’improvviso, con la motivazione del compleanno di lei. Il padre osserva Ines, i suoi ritmi, gli sguardi, il lavoro, la fragilità e la ferocia. Dopo pochi giorni sembra ripartire e invece ricompare nelle vesti di Toni Erdmann, un bizzarro consulente-coach. Ines è costretta a presentarlo in questa veste ai suoi colleghi e amici. La travolgente e amara allegria di Toni Erdmann non servirà forse a ricomporre il legame tra padre e figlia ma sarà utile a indurre finalmente Ines a guardare davvero il tessuto dei propri giorni, il significato della vita.
Riassunto così, sembra un film psicologico e intimista. E invece è -soprattutto nella prima parte- una attenta ed esatta descrizione della brutalità del Capitale. I soggetti che lavorano alla liquidazione delle aziende utilizzano la lingua dell’anglofinanza, ben adatta a mascherare dietro termini asettici la rovina del corpo sociale. I soggetti che lavorano alla liquidazione delle aziende guardano soltanto al profitto come stella polare dei loro pensieri e delle azioni. I soggetti che lavorano alla liquidazione delle aziende si comportano al modo dei software: programmati, prevedibili, freddi. Gettato in tale mondo, il calore triste di Toni Erdmann osserva con stupore, ne comprende alcune forme se non proprio i significati, reagisce con l’istinto della vita rispetto alla morte.
Quando il padre accenna a tutto questo, Ines risponde con sarcasmo, rifiutando parole come «senso, felicità, esistenza». E a un certo punto si ascolta una domanda che non pensavo il cinema potesse ancora porre al capitale finanziario: «Ma tu sei un essere umano?».
La radicalità dell’interrogativo esprime con l’efficacia della sintesi la struttura reificata dell’economia contemporanea, la sua natura alienata (sì, i termini marxiani sono ancora attuali). Alla ricerca dei propri corpi cancellati dall’ossessione finanziaria, i personaggi cadono inevitabilmente nella volgarità di forme trasgressive assai banali, dalle quali escono più storditi di prima. L’evolversi dell’intreccio narrativo conferma quanto difficile sia rimanere svegli dentro il sonno del denaro.
Lo è stato anche per il pubblico dell’arena Adua di Catania, il quale sorpreso, sconcertato e irritato ha cominciato ad andarsene. Probabilmente ci si aspettava un film familiar-sentimentale e ci si è ritrovati davanti a un’opera politica. Toni Erdmann è certamente anche un film sentimentale, lo è però nel significato completo della parola. Ed è anche pieno di divertimento. Lo stile è quello del gruppo Dogma di Lars von Trier, anche se molto temperato. In ogni caso un film lento -anche questo ho sentito- rispetto alla banale frenesia del cinema statunitense.
Il corpo sociale (il pubblico medio) è talmente anestetizzato dalla bidimensionalità, frammentarietà e velocità degli schermi facebookiani e della pubblicità televisiva da non riuscire a sostenere opere che abbiano un minimo di profondità stilistica e analitica.

Sottoproletariato

Non essere cattivo
di Claudio Caligari
Italia, 2015
Con: Luca Marinelli (Cesare), Alessandro Borghi (Vittorio), Roberta Mattei (Linda), Silvia D’Amico (Viviana)
Trailer del film

Vittorio e Cesare sono due dei tanti sottoproletari che fra Ostia e Roma tentano di fare soldi comprando e vendendo droghe. Il primo cerca ogni tanto di cambiare vita, di trovare un lavoro, di creare legami. Il secondo è spesso strafatto, sempre in bilico tra violenza e fragilità. Tutto intorno a loro si agita un’umanità senza luce.
La narrazione di Caligari è asciutta, gli eventi sembrano accadere al di là della volontà stessa dei personaggi ma nello stesso tempo con la loro piena partecipazione. Lo sporco, il degrado, la miseria esistenziali sono profondi, anche se di tanto in tanto illuminati da qualche barlume di consapevolezza.
Nell’osservare queste vite, il loro fondamento, le loro scelte e i loro esiti, si comprende meglio con quanta ragione Karl Marx definisce il sottoproletariato in termini politicamente sprezzanti, come strumento di ogni possibile potere reazionario. E si comprende anche come il fallimento delle scelte internazionali sul mercato delle droghe sia probabilmente voluto. La ragione sta nel fatto che se interi gruppi sociali disagiati vengono imbottiti di stupefacenti, la loro capacità di rivolta e di coscienza politica sarà annullata e i governi potranno stare tranquilli nel perseguire i propri interessi anche di classe.
Ogni cedimento alla commiserazione verso il Lumpenproletariat (proletariato straccione), sia esso autoctono o migrante, è un cedimento al Capitale. Una delle più profonde ragioni della fine della sinistra in Europa è l’aver dimenticato questa semplice tesi marxiana. So bene che quanto dico può apparire molto duro o persino ‘reazionario’ ma mi sembra evidente che i complici della reazione sono coloro che sostengono gli interessi della finanza e del capitalismo. Tra tali interessi rientrano le politiche proibizionistiche sulle droghe -e quindi l’enorme loro diffusione all’interno di ampi strati della popolazione giovanile e non solo- e le politiche di accoglienza indiscriminata dei migranti. Quest’ultima opzione è certamente cristiana ma non è comunista. Il vero leader della sinistra ‘umanitaria’ è il Pontefice Romano.
Sino a che quanti si credono sinceramente ‘di sinistra’ non comprenderanno che molte delle loro tesi e opzioni politiche non hanno nulla a che vedere con il marxismo, il Capitale finanziario potrà non soltanto stare tranquillo ma continuare la propria opera di distruzione del Corpo sociale e dell’ambiente naturale.
A leggerli bene, anche film come Non essere cattivo, con i suoi ottimi e credibili interpreti, mostrano ciò che dovrebbe essere chiaro a chiunque abbia delle conoscenze storico-sociali di base e non venga accecato dai sentimentalismi.

«A un tale grado»

Money Monster. L’altra faccia del denaro
di Jodie Foster
USA, 2016
Con: George Clooney (Lee Gates), Jack O’Connel (Kyle Budwell), Julia Roberts (Patty Fenn), Caitriona Balfe (Diane Lester), Dominic West (Walt Camby)
Trailer del film

Lee Gates è il conduttore di un programma finanziario/trash, nel quale dà informazioni sulla Borsa, spiega la finanza e soprattutto consiglia su come investire i propri soldi. Kyle Budwell ha seguito i suoi consigli e ha perso tutto ciò che aveva. Budwell riesce a entrare nello studio televisivo e a prendere in ostaggio Gates. Ciò che vuole non sono i soldi ma delle risposte sulle ragioni della rovina propria e di quella di molti altri investitori. A poco a poco Gates si rende conto che l’inganno del quale egli stesso fa parte è assai più esteso  e criminale di quanto immaginasse. Sequestratore e ostaggio cominciano a chiedere insieme delle spiegazioni. Il pubblico televisivo segue in diretta tutta la vicenda.
Perché il cinema, sia italiano, sia soprattutto hollywoodiano comincia a produrre film di denuncia nei confronti del crimine finanziario? Le risposte possono essere molteplici: si tratta di un argomento di grande attualità; anche registi e attori molto affermati possiedono una qualche forma di coscienza civile -Jodie Foster e George Clooney l’hanno mostrata più volte-; Hollywood ha da sempre affiancato ai prodotti di puro intrattenimento pellicole di spessore artistico e sociale.
Tutto vero. È possibile dare un’altra risposta. Essa consiste nel fatto che trasformare in spettacolo una tragedia, un comportamento, una questione, significa anche normalizzarla, farne qualcosa di familiare, renderla accettabile. Credo che questa sia la risposta che meglio spiega come mai un film ad alto costo come questo -attori assai famosi, centinaia di comparse, ambienti ricostruiti in ogni dettaglio- venga finanziato dalle grandi case di produzione -la Warner Bros in questo caso- che alla finanza attingono per i loro investimenti.
Il film è ben girato ed è ovviamente assai spettacolare. Di esso si potrebbe dire che «le spectacle est le capital à un tel degré d’accumulation qu’il devient image» (Debord, La Société du Spectacle, § 34). Lo spettacolo non è un fatto soltanto tecnico o estetico. Lo spettacolo è soprattutto un evento politico. Il Capitale può davvero arrivare a un tale grado di accumulazione di risorse e di idee da diventare esso stesso immagine. È quanto accade anche con Money Monster.

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