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Others. Le Biennali d’arte di Marrakech, Istanbul, Atene a Palermo e Catania

Catania – Fondazione Puglisi Cosentino
Sino al 7 novembre 2010

Molto interessante l’iniziativa realizzata in comune dalle due sedi espositive di Palermo e di Catania dedicate all’arte contemporanea. Palazzo Riso ospita una selezione della Biennale di Marrakech, Palazzo Valle quelle di Istanbul e Atene.

L’alterità delle Biennali visitabili a Catania è comunque un po’ troppo identica ad altri luoghi dell’arte contemporanea. Quella turca è piena di video, di fotografie, di installazioni molto simili tra di loro e fortemente votate a un discorso politico: ritratti seriali di Lenin; video girati su alcuni fronti di guerra, soprattutto del Vicino Oriente; metafore drammatiche o ironiche della forma/capitale e del suo rapporto con il lavoro; citazioni da Brecht. Ottima cosa, naturalmente, se non apparisse già vista nelle forme in cui viene espressa. Si salva, ed è significativo, l’opera più minimalista. È di Hans-Peter Feldman, si intitola Bread e consiste in una base del tutto anonima sulla quale poggia una crosta di pane, svuotata al centro della mollica. Nulla di nuovo, naturalmente, ma almeno qui c’è la densità della materia/pane rispetto ai pixel di troppe installazioni video.

Più interessante la selezione delle opere provenienti dalla Biennale di Atene, esattamente da quelle del 2007 –Destroy Athens– e del 2009 –Heaven. Anche qui dominano i video, che però risultano un po’ più originali. Domenico Mangano filma in 8 minuti La storia di Mimmo, un ex pescivendolo palermitano dal peso enorme che racconta della propria follia. Lo stile è vicino a quello di Ciprì e Maresco ma possiede una drammaticità che riesce a coniugare la volgarità pop dell’ambiente e del personaggio con un’ancestrale angoscia di esistere. Il risultato è un puro, candido, orrore. Inquietanti anche gli spazi disabitati e geometrici filmati e zoomati da Gregor Schneider: porte, pareti e cortili che mostrano da soli una razionalità folle, un vuoto metafisico. Le fotografie di Joachim Koester disegnano la continuità tra le rovine urbane e l’intrico della boscaglia. Lydia Dambassina coniuga molto bene suoni e fotografie che descrivono la libertà di una comune rurale. Più di tutto mi ha colpito, comunque, il busto di bronzo scolpito da Em Kei che apre la sezione ateniese. Si intitola Monument for the Unknown Hooligan. La sobria ironia che lo intesse ha qualcosa di classico.

Naturalmente la Fondazione Puglisi Cosentino fa benissimo ad aprire i propri spazi a opere e iniziative che in Sicilia non ci sarebbe occasione di vedere in altre sedi espositive. Nel merito, comunque, la mostra conferma che qualunque modo di fare arte può cadere nel manierismo, anche quelle che erano nate per rompere la tradizione.

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