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«Il corpo è una grande ragione»

Venerdì 16 settembre nel Parco Archeologico di Giardini-Naxos dalle 16.30 si terrà un pomeriggio di riflessione sul tema della corporeità nell’ambito delle iniziative di «Naxoslegge». L’evento ha come titolo Scritto sul corpo.
La prima conversazione si svolgerà con Danilo Breschi sul tema del Corpo elettrico.
La seconda consisterà in una passeggiata archeo-filosofica condotta da me. Il titolo è «Corpo io sono in tutto e per tutto», un’affermazione che si legge nella I parte di Also sprach Zarathustra: «Leib bin ich ganz und gar, und Nichts ausserdem». Nella traduzione di Mazzino Montinari: «Corpo io sono in tutto e per tutto, e null’altro». Nietzsche continua scrivendo che «il corpo è una grande ragione. […] Dietro i tuoi pensieri e sentimenti, fratello, sta un possente sovrano, un saggio ignoto –che si chiama Sé. Abita nel tuo corpo, è il tuo corpo» («Opere», Adelphi, vol. VI/1, I parte, “Von den Verächtern des Leibes” – “Dei dispregiatori del corpo”, p. 34).

L’essere umano è assai più che un Körperhaben, l’avere un corpo, e diventa un Leibsein, l’essere una corporeità situata in un ambiente anche culturale e sociale. Il corpo è  una struttura isotropa, dalla quale inizia e si espande l’intero mondo della persona.
-Il corpo è corporeità vivente nel tempo e abitante un mondo.
-Il corpo è il nodo ontologico nel quale si raccolgono il mondo, il tempo e l’intenzionalità dei significati.
-Il corpo è un insieme di strutture materiali e nello stesso tempo è una regione semantica.
Il corpo è quindi l’elemento percettivo, fenomenologico, precategoriale e primario da cui tutto nasce, del quale è intessuta ogni esperienza e nella cui dissoluzione finiscono per l’individuo il tempo, il bios e, con essi, ogni possibile significato.
Anche per questo l’umano è una macchina naturale che si articola in tre espressioni principali.
Siamo corpi comprendenti e quindi semantici
Siamo corpi intramati di desideri
Siamo corpi pulsanti nel tempo e di tempo intessuti.

Europae / Segno

Europae
Associazione Lyceum – Scuola delle Cose  – Oliveri (Messina)
A cura di Davide Di Maggio e Nino Sottile Zumbo
Sino al 19 dicembre 2021

La disponibilità della Fondazione Mudima di Milano e la tenacia di Nino Sottile Zumbo hanno prodotto un piccolo miracolo, hanno fatto sì che in un paesino della riviera tirrenica della Sicilia convergessero ventotto tra i più importanti artisti del Novecento e del XXI secolo, tra i quali Francis Bacon, Christo, Marcel Duchamp, Lucio Fontana, Mimmo Rotella, Daniel Spoerri.
La poetica Dada e il gruppo Fluxus dominano la mostra di di Oliveri che è «la prima di una serie di mostre sull’Arte moltiplicata: serigrafie, grafiche, multipli, libri  d’artista dei maggiori artisti europei» (D. Di Maggio, La Scuola delle Cose, p. 1). Il titolo della mostra nasce dal fatto che «secondo alcuni linguisti il termine Europa risale all’etimo eurus (ampio) e ops (occhio): l’Europa è continente dall’ampia visione» e uno dei suoi obiettivi è contribuire a «un’Europa non di cartapesta, ma comunità di destino», scrive Sottile Zumbo con accenti heideggeriani (La Scuola delle Cose, p. 2)
Quella di Oliveri è un’antologia del Contemporaneo permeata dai simboli in bronzo di Spoerri, posti quasi a difesa e a significato dell’intero evento, che accoglie invenzioni cinematiche, corpi contratti e insieme dilatati, simboli arcaici, poesie grafiche, il sangue, l’oro, la luce, le linee, i segni, le geometrie, l’astratto e il materico. Che accoglie insomma alcune delle espressioni e dei capisaldi di un’arte la cui tensione verso la purezza della forma svicola, converge e si compie nella centralità ed essenzialità di ogni segno, anche del più piccolo, periferico, apparente; converge nel gioco tra Gegenstand e Bedeutung, tra il dato e il significato, poiché ogni segno è un oggetto/evento composto di significante, significato e riferimento. E questo accade perché l’umano «is a sign; so, that every thought is an external sign. That is to say, the man and the external sign are identical, in the same sense in which the words homo and man are identical. Thus my language is the sum total of myself; for the man is the thought» (Peirce, Collected Papers, 5. 314). Il segno significa in un tessuto di relazioni e regole combinatorie inserite in un mondo più ampio di azioni ed eventi, un mondo che è sempre temporale.
«Ein Zeichen sind wir, deutungslos» (Hölderlin, Mnemosyne, v. 1), siamo un segno che nulla indica. Nulla, al di là di se stesso, del proprio indicare, della vita come segno, parola, concetto, significato che abita in noi e non certo nelle cose e nella materia, che bisogno di senso non hanno. Anche per questo le forme contemporanee significano sempre tutto e non hanno bisogno di significare nulla di specifico, limitato e particolare. Anche per questo l’arte contemporanea, qualunque cosa si indichi con tale espressione, è un’ermeneutica della materia. Poiché  «qualcosa è segno solo perché viene interpretato come segno di qualcosa da qualche interprete» (C.W. Morris, Lineamenti di una teoria dei segni, Paravia 1955, p. 31). La natura più profonda del segno consiste in questo suo legame con la verità molteplice del mondo, nel suo saperla dire, indicare, custodire.
Ed è esattamente questo che le invenzioni molteplici, diverse, enigmatiche e avvolgenti di Europae operano nello spazio: dicono, indicano, custodiscono.

Segno / Forma

Arte e ibridazione
in Scienzarte. Arte e Tecnologia
A cura di Rosaria Guccione
Giuseppe Maimone Editore, 2020, pp. 115
Pagine 63-71

Indice del mio contributo
1. Ibridazione  / Arte
2. Il Postumano
3. Quattro esempi
-Il Nouveau Réalisme
-Igor Mitoraj e Ivan Theimer
-Arnaldo Pomodoro
-Studio Azzurro
4. Conclusioni

«Un itinerario che ha condotto l’opera d’arte a non significare nulla al di là del proprio stesso significare. Il segno si è infine dissolto, non indicando altro che il significante. La forza semantica del bello è diventata la potenza della forma. Questo non vuol dire, però, che l’arte sia soltanto un gioco. È anche un gioco ma nel suo carattere ludico diventa la sostanza stessa delle società e degli umani. Sta qui il nucleo delle avanguardie, la loro perenne fecondità».

Chomsky

Is the Man who is Tall Happy? An Animated Conversation With Noam Chomsky
di Michel Gondry
Francia 2013
Con: Noam Chomsky, Michel Gondry
Trailer del film

La bella e profonda voce di Noam Chomsky, probabilmente il maggior filosofo vivente, dispiega concetti che la matita di Michel Gondry anima rendendoli ancora più trasparenti. Rispondendo alle domande del regista, Chomsky parla delle proprie infanzia, formazione, cultura, famiglia. Accenna all’impegno politico – il filosofo è un anarchico – e fa emergere la saggezza alla quale ogni mente sensata perviene: «Polvere siamo e ritorneremo e la vita non ha senso alcuno. Ma gli esseri umani hanno bisogno di credere che non sia così».
Soprattutto, Chomsky spiega in modo semplice la sua ipotesi di Grammatica Generativa, vale a dire l’infinità semantica della mente umana che permette di combinare pochi segni – lettere, fonemi, parole – in modi potenzialmente illimitati in tutte le lingue conosciute. Una struttura che il filosofo ritiene dunque e giustamente innata, contro le ipotesi comportamentistiche e cognitivistiche della tabula rasa. È quanto in un suo testo Chomsky esprime in questo modo: «Grammatiche generative che “fanno un uso infinito di mezzi finiti” e che esprimono la ‘forma organica’ del linguaggio umano, “questa meravigliosa invenzione – secondo le parole della Grammaire di Port-Royal – di comporre con venticinque o trenta suoni questa infinita varietà di parole, che, pur non avendo in se stesse niente di simile a ciò che accade nel nostro spirito, tuttavia non mancano di svelarne agli altri ogni segreto e di far capire a quelli che non possono penetrarlo tutto ciò che concepiamo e tutti i diversi moti della nostra anima”» (Il linguaggio e la mente [Language and Mind. Third Edition], trad. di A. De Palma, Bollati Boringhieri 2010, p. 50).
La persona che ha la padronanza di una lingua, infatti, è capace non soltanto di comprendere ogni nuova combinazione di lettere, sillabe e termini ma anche di generarne a sua volta un numero indefinito. E questo accade nonostante non si dia alcun legame prefissato e rigido tra i suoni delle parole e il loro significato. Non si tratta infatti semplicemente di associare dei suoni a dei significati, di possedere una corretta competence sintattico-semantica; la performance di una lingua nei parlanti comporta la relazione costante con l’intero mondo nel quale colui che parla è immerso.
Ho apprezzato molto la pacatezza e la forza con le quali vengono enunciate e argomentate altre tesi assai importanti come il rifiuto di ogni riduzionismo – «Il mondo fisico è solo una componente tra gli altri» – e la conseguente spiegazione del rompicapo platonico della ‘nave di Teseo’ (Fedone 58A), questione che mostra come il mondo non sia fatto soltanto di elementi materici (i dati) ma di elementi materici più il significato che il linguaggio umano loro attribuisce (la semantica). In gergo tecnico: gli enti sono senso e non soltanto riferimento, connotazione e non solo denotazione. La «continuità cognitiva» della quale parla Chomsky nel film è ciò che in Temporalità e Differenza ho cercato di riassumere in questo modo: «Navi, carri, mattoncini sono entità temporali, sono quark, atomi, molecole, macrostrutture in continuo dinamismo, sono entità/eventi ai quali è l’osservatore a conferire un’identità sempre provvisoria, cangiante e insieme perdurante; temporale, quindi» (§ 3, p. 13).
Le animazioni di Gondry, apparentemente infantili ma assai raffinate, costruiscono un film teoretico, drammatico e divertente.

Memoria e oblio

Paul Ricoeur
Ricordare, dimenticare, perdonare
L’enigma del passato
(Das Rätsel der Vergangenheit. Erinnern – Vergessen – Verzeihen, Wallstein, Göttingen 1998)
Trad. di Nicoletta Salomon
il Mulino,  2012
Pagine XVII-124

La persona umana è una memoria viva che si muove nello spaziotempo costituito dai ricordi che abitano il suo corpo e dagli eventi che si susseguono nel mondo. Entrambi -ricordi ed eventi- non possiedono la struttura massiccia e uniforme di una strada e del muro che la delimita, non sono uniformi e continui ma somigliano alla complessità delle isole di un arcipelago, che emergono dal mare profondo del tempo.
Il corpomente è costituito dalla molteplicità delle possibili relazioni con questo arcipelago. In primo luogo dalla differenza tra μνήμη e ἀνάμνησις, già fondamentale e assai chiara in Aristotele, per il quale la staticità del μνήμη è inseparabile dal dinamismo dell’ἀνάμνησις, poiché il ricordo è sempre anche rimemorazione ora di ciò che è avvenuto prima. E questo fa del ricordare un’attività del presente rivolta all’azione nell’adesso e nel poi.
L’aristotelico Heidegger ha tenuto ben presente questa distinzione quando ha posto a fondamento di molte analisi di Sein und Zeit la differenza tra il passato come Vergangenheit e il passato come Gewesen-Gewesenheit, la differenza tra ciò che non è più e ciò che è ancora nel suo essente-stato. Quanto Ricoeur  definisce passéité, passeità, non è l’essere-stato che non è più ma è l’essente-stato che è ancora. È, ad esempio, l’oggetto d’amore perduto dal singolo ma ancora presente nel suo essere stato perduto. È l’evento accaduto a una comunità, evento che come struttura eveniente è passato ma che determina ora e ancora l’identità e i drammi del gruppo.

L’oblio strumentale di ciò che è stato compiuto dai singoli e dai popoli -strumentale al non pagarne le conseguenze- ha il suo contraltare nell’«ostinata politica di commemorazione» che produce «abusi della memoria» (p. 81) il cui inevitabile esito è l’insostenibilità del ricordo, sia per chi è accusato sia per chi accusa.
Se ci sono forme di oblio strumentali, passive e interessate, c’è anche e soprattutto una forma d’oblio necessaria alla vita umana, alla sua continuazione lungo i sentieri delle vicende individuali e collettive. Come ben sapeva Nietzsche, l’oblio è infatti necessario alla «conquista della distanza temporale» (68) e quindi alla risignificazione che permette di accogliere quanto è accaduto nelle strutture dell’adesso. Se «i fatti sono incancellabili, se non si può più disfare ciò che è stato fatto, né fare in modo che ciò che è accaduto non lo sia, in compenso, il senso di ciò che è accaduto non è fissato una volta per tutte» (41 e 92 ).
Un vero perdono è difficile poiché non cancella i fatti accaduti, cancellazione impossibile, ma muta il loro significato, accettando che il debito non venga saldato e che il debitore rimanga insolvente senza per questo rimanere per sempre colpevole. Un perdono di questa natura, portata ed effetti è possibile soltanto perché i fatti storici non coincidono con l’oggettività dell’accaduto, non sono strutture date una volta per tutte ma costituiscono una costellazione semantica che presentifica il passato in modo ogni volta diverso in relazione alla differenza che è il futuro.

La riflessione heideggeriana sulla Schuld, sulla colpevolezza intrinseca all’essere, è feconda anche nell’ambito psichico e storico, oltre che metafisico. Comprendere la colpa, accoglierla come struttura  ontologica e non morale, è una condizione di intendimento del limite che accomuna ogni evento e della differenza tra gli eventi che confermano la colpa e altri che invece da essa affrancano.
Gli esistenziali di Sein und Zeit mostrano in questo modo la loro continuità con il platonismo, con l’immemorabile da sempre obliato e la cui ἀνάμνησις rappresenta il lavoro della mente che conosce «ciò che non abbiamo mai veramente appreso, e che tuttavia ci fa essere ciò che siamo: forze di vita, forze creatrici di storia, ‘origine’, Ursprung» (100-101). È questo il fondamento dell’apprendimento platonico, che rende  «possibile imparare ciò che in un certo senso non si è mai smesso di sapere» (101).
Come si vede, bisogna affrancarsi da ogni prospettiva semplicemente etica per cogliere quanto si muove nel fondo dell’umano e del suo tormento.

Interpretans

Giovedì 7.6.2018 alle 15,15 terrò una relazione nell’ambito della «Giornata dei Dottorati Italiani di Scienze del Testo e dell’Interpretazione». L’evento ha per argomento Leggere, tradurre, pensare e si svolgerà il 7 e l’8 giugno nell’Auditorium del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Unict.
Il titolo della mia relazione è Animal Interpretans.

Il cuore dell’ermeneutica è costituito dal gioco tra il dato e il significato. Pervasività, varietà e universalità del segno sono state da sempre oggetto del discorso filosofico. Il segno significa in un tessuto di relazioni e regole combinatorie inserite in un mondo più ampio di azioni ed eventi.
Heidegger e Gadamer hanno trasformato l’ermeneutica da metodica delle scienze dello spirito a ontologia. Un’ontologia che affonda nella temporalità; nell’insieme di rimandi fra il passato della tradizione e il presente della comprensione; nella Wirkungsgeschichte, la «storia degli effetti» che l’opera ha generato e nella quale consiste il suo significato più pieno; nella Horizontverschmelzung, la «fusione di orizzonti» che accade sia fra gli interlocutori del dialogo sia tra loro e il testo che proviene dal passato e parla nell’adesso.
L’essere degli umani è sempre storico, temporale, linguistico. Il che equivale a dire che l’essere degli umani è costitutivamente ermeneutico.

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