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Scienza e Covid

Scienza e Covid
in Vita pensata
n. 28, aprile 2023
pagine 15-20

Indice
-Epistemologie
-Feyerabend
-Scienze e storia
-Miti e razionalità
-In difesa della scienza

In questo saggio ho riassunto alcune delle tesi di Disvelamento. Nella luce di un virus ma ho cercato anche di andare oltre, in particolare nell’analisi del rapporto tra sapere scientifico ed epidemia Covid19.
Le posizioni di vari scienziati, medici, filosofi e storici hanno attinto ai risultati più avanzati dell’epistemologia contemporanea, che è profondamente consapevole della fecondità e dei limiti di ogni approccio al reale, della necessità di avere sempre un atteggiamento critico e prudente ai problemi, ai metodi e ai protocolli, se si vogliono salvaguardare i risultati della conoscenza razionale del mondo. Una conoscenza che non può essere dogmatica, pregiudiziale, superficiale, autoritaria. Vale a dire non deve avere i caratteri del senso comune e delle religioni ma deve mettere in atto una serie di pratiche all’altezza della complessità dei problemi.
Come nel libro del 2022, ho cercato quindi di difendere le scienze e la razionalità dalla loro dissipatio, dal loro svanire nei meandri della politica e dello spettacolo. Paul Feyerabend sostiene che «l’unanimità di opinione può essere adatta per una chiesa, per le vittime atterrite o bramose di qualche mito (antico o moderno), e per i seguaci deboli e pronti di qualche tiranno. Per una conoscenza obiettiva è necessaria la varietà di opinione. E un metodo che incoraggi la varietà è anche l’unico metodo che sia compatibile con una visione umanitaria» (Contro il metodo, pp. 38-39). E questo anche perché le scienze hanno a fondamento:
-il rifiuto di ogni fanatismo
-la diffidenza verso il principio di autorità
-la necessità di verifiche accurate e pubbliche di tutto ciò che si sostiene
-la ripetibilità delle procedure
-il ragionamento oggettivo su dei dati quanto più possibile accurati, estesi, condivisi.
E invece la vicenda dell’epidemia Sars-Cov2 è un esempio di oscurantismo culturale, che ha cercato di trasformare la scienza in una superstizione, pratica e atteggiamento da sempre utilizzato da parte di chi comanda, capace di trasformare gli scienziati in maghi al servizio dell’autorità politica. Tutto questo costituisce un grave regresso dello spirito scientifico nelle società occidentali, rappresenta la cancellazione o l’oblio delle più raffinate e argomentate tesi dell’epistemologia, alle quali si è sostituito un rozzo positivismo, come se da Auguste Comte al XXI secolo nulla fosse accaduto.
Nei confronti delle scienze (al plurale) non si deve nutrire fede ma argomentazione, critica, falsificazione, superamento, interrogativi. Nei confronti delle scienze si deve esercitare ciò che un dispotico regime ambulatoriale sta cercando di negare. Senza riuscirci, per fortuna, grazie anche all’atteggiamento scientifico di alcuni dei suoi oppositori.
Nello stesso numero 28 di Vita pensata – dedicato appunto alle Scienze con interventi qualificati e rigorosi di filosofi affermati e di giovani studiosi – è stata pubblicata un’analisi assai chiara dell’anarchismo metodologico, formulata da una delle più competenti studiose europee di Feyerabend, Roberta Corvi, professore ordinario di Filosofia teoretica alla Cattolica di Milano. Consiglio senz’altro la lettura del suo testo dal titolo Complessità della conoscenza: spunti da Feyerabend (in rete e alle pagine 21-26 di questo numero della rivista).

Eresie

Menocchio
di Alberto Fasulo
Italia-Romania, 2018
Con: Marcello Martini (Menocchio), Maurizio Fanin (Inquisitore), Carlo Baldracchi (il carceriere), Nilla Patrizio (la moglie), Agnese Fior (la figlia), Mirko Artuso (prete Melchiorri)
Trailer del film

Eresia. Una delle parole fondamentali della religione cristiana: la storia «des guerre de religion, et aussi celle des hérésies (terme qui n’a tout simplement pas de sens dans le paganisme) commence avec le christianisme» (Alain de Benoist, Réflexions critiques sur le Néopaganisme, in «Sagesses païennes», numero speciale di éléments pour la civilisation européenne, giugno 2022, p. 39).
Una parola che ha moltiplicato e diviso tale religione in una miriade di rivoli l’un contro gli altri armati e feroci. Una ferocia che si concentra nella forza dell’istituzione che con tutto il suo peso schiaccia colui e coloro che fanno una αἵρεσις, una «scelta» diversa rispetto a quella della maggioranza. Esistono eresie in ogni ambito della vita collettiva poiché sempre la forza del numero ritiene di stare nella verità e nel bene, cercando di cancellare coloro che decidono di abitare in modo diverso il mondo. Una delle più recenti espressioni di tale dinamica è conseguenza dell’aver trasformato la medicina – un sapere e una pratica empirici, non una scienza esatta – in un dogma, vale a dire nel contrario di una scienza.
Eretico fu anche Domenico Scandella detto Menocchio, vissuto tra il 1532 e il 1599, un mugnaio che sapeva leggere e scrivere e che elaborò una interessante concezione panteistica del cosmo, per la quale il dio è nell’aria, negli alberi, nel vento. Sottoposto a due processi, nel primo fu condannato al carcere a vita dopo aver abiurato, nel secondo fu condannato alla pena che la bontà e la misericordia delle chiese cristiane riservano ai figli che esse amano di più: essere bruciati vivi. Con contorno, ovviamente, di torture, anni trascorsi in fetidi e malsani sotterranei, disperazione e tenebra. Tutto questo in nome dei valori, come sempre, di valori giudicati assoluti, indiscutibili, salvifici.
Neppure un mugnaio che discuteva delle sue concezioni con i pochi suoi compaesani in uno sperduto villaggio del Friuli poteva rimanere al sicuro rispetto alla pervasività dei valori della Grande Chiesa. Che infatti lo condannò per una nutrita serie di ragioni:
«Aver diffuso le sue concezioni a persone semplici e illetterate fu considerata un’aggravante; ‘pertinace nell’eresia’, ‘di animo indurato’, ‘nefando’, anzi ‘nefandissimo’, di ‘lingua maledica’, ‘orribile’, ‘maligno’, ‘perverso’, Menocchio ‘come i giganti aveva tentato di combattere l’ineffabile Trinità’. Nel rifiuto della confessione fu individuata un’eresia luterana; nell’equivalenza di ogni fede si vide un’eresia risalente a Origene; nell’esistenza di un caos primigenio un’affermazione pagana; nell’affermazione per la quale ‘Iddio è autore del bene ma non fa male, il diavolo è autore del male e non fa bene’ si vide un’eresia manichea» (voce Wikipedia: Menocchio) .
Il film di Alberto Fasulo racconta questa vicenda con uno stile a essa consustanziale, con una recitazione intensa e sobria, nel chiaroscuro degli ambienti, nell’asfissia degli spazi, nella sporcizia dei prelati, nella rassegnazione del villaggio, nella figura quasi omerica di Menocchio. Alla cui intelligenza sia reso onore rispetto alla miseria dei suoi carnefici cristiani.

Chiara Zanella su Disvelamento

Chiara Zanella
Di cosa parliamo quando parliamo di virus
A proposito di Disvelamento. Nella luce di un virus
in Aldous, 7 maggio 2022

«Chi si avventura nell’avvincente lettura, sin dalle prime pagine può cogliere la grazia con cui Biuso riesce a comporre le tante vicissitudini pandemiche in un quadro dai colori vivaci, mai scontato, curato senza essere lezioso e troppo ben proporzionato perché si possa accusare l’autore di aver svolto una teoresi manchevole del suo principale attributo, l’equidistanza (la quale non è mai fuga dalla propria posizione, ma dialogo paritetico con tutte le altre posizioni, proprio a partire dalla saldezza del proprio punto prospettico).
Quale disvelamento inaugura la riflessione del nostro autore? Come un sasso gettato nell’acqua di un laghetto di montagna disegna cerchi concentrici via via più ampi, Biuso sceglie di muovere dal terrore inquieto che abita sempre al fondo degli umani ed emerge con tutta la sua forza in particolari circostanze per ricordarci che éthos anthropoi daimon, all’uomo è divinità il proprio éthos, il carattere, l’elemento che lo intride da quando è venuto al mondo [p. 15]».

Ringrazio l’autrice per essere entrata lei con grazia in questo libro, nei suoi sentieri, nel suo dolore, nel suo tentativo di lucidità, di essere e non soltanto di fare filosofia.

Disvelamento

Disvelamento
Nella luce di un virus
Algra Editore, 2022
«Contemporanea, 6»
Pagine 148
€ 12,00

«La verità non si rivela che con le catastrofi»
Ingmar Bergman, Come in uno specchio (1961)

Alcuni mesi fa il Prof. Davide Miccione, Direttore della collana «Contemporanea» dell’Editore Algra (Viagrande-Catania), mi chiese di preparare un libro dedicato all’epidemia, alle sue radici, ai suoi effetti. Accolsi la proposta con slancio, per molte ragioni. Tra le quali il fatto che la filosofia sia, com’è noto, anche «ihre Zeit in Gedanken erfaßt, il proprio tempo appreso e colto nel pensiero» (Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts, Vorrede, p. 25). Questi mesi di riflessione, di lavoro, di scrittura mi hanno aiutato a comprendere il significato della frase di Bergman in epigrafe. Il risultato è un libro che tra quelli sinora da me pubblicati è ai miei occhi il più urgente. Un libro nel quale e con il quale ho cercato di difendere le libertà, la razionalità e la scienza. E di mostrare che cosa può accadere quando libertà, scienza e razionalità vengono calpestate dal potere politico-mediatico.

Il testo si compone di 18 capitoli, così intitolati:
1 Don Abbondio
2 Un virus politico-visionario
3 La vita
4 Infodemia
5 Il piano inclinato
6 Numeri
7 Superstizione
8 Poteri
9 Cancellare le scuole, cancellare i luoghi, cancellare i corpi
10 Medicina e politica
11 Comunicazione e silenzio
12 La festa paternalistica
13 La solitudine del morente
14 Violenza e morale
15 Nietzsche
16 Una ferita
17 Gnosi
18 L’Intero, la Φύσις
Indice dei nomi

Questa la quarta di copertina, firmata dal Direttore della collana:
«La débâcle di questi due anni riguarda tutti: i media, la politica, il corpo sociale nel suo complesso. L’epidemia e il suo uso politico hanno messo in luce le viltà e le debolezze di interi settori, le fragilità di quella democrazia che diamo per acquisita e soprattutto la miseria teoretica e morale di coloro che dovrebbero analizzare e spiegare il mondo. Gli intellettuali, stricto o lato che sia il senso che diamo a questa parola, hanno mostrato con la loro ignavia le crepe che si sono aperte nel nostro stare consapevolmente al mondo. Biuso ci mostra come si possa leggere con parresia e compassione, con sapienza filosofica, letteraria e antropologica, questo nostro difficile passaggio storico e che cosa tutti potremmo imparare da esso».

Il volume è disponibile in varie librerie, su tutte le piattaforme e sul sito dell’editore, che ringrazio per il coraggio che ha mostrato nel pubblicare un libro lontano dalle opinioni dominanti.



 

Recensioni e articoli

-Michele De Vecchio, Diorama Letterario, n. 375, settembre-ottobre 2023, pagine 39-40
-Marcosebastiano Patanè, il Pequod, anno 3, numero 6, dicembre 2022, pagine 12-21
-Sarah Dierna, Dialoghi Mediterranei, n. 57, settembre -ottobre 2022, pagine 205-209
-Lucrezia Fava, Vita pensata, numero 27, settembre 2022, pagine 76-80
-Stefano Piazzese, Discipline Filosofiche, 4 luglio 2022
-Enrico Palma, il Pequod, anno 3, numero 5, giugno 2022, pagine 157-162
-Chiara Zanella, Di cosa parliamo quando parliamo di virus, Aldous, 7 maggio 2022
-Intervista rilasciata a RevolutionChannel, 14 giugno 2022

Mussolini, lo Spettacolo

Piccolo Teatro Strehler – Milano
M Il figlio del secolo
regia di Massimo Popolizio
tratto dal romanzo di Antonio Scurati
collaborazione alla drammaturgia di Lorenzo Pavolini
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
video Riccardo Frati
suono Alessandro Saviozzi
movimenti Antonio Bertusi
con Massimo Popolizio e Tommaso Ragno
e con (in ordine alfabetico) Riccardo Bocci, Gabriele Brunelli, Tommaso Cardarelli, Michele Dell’Utri, Giulia Heatfield Di Renzi, Raffaele Esposito, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Diana Manea, Paolo Musio, Michele Nani, Alberto Onofrietti, Francesca Osso, Antonio Perretta, Sandra Toffolatti, Beatrice Verzotti
produzione Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, Teatro di Roma, Luce Cinecittà
in collaborazione con il Centro Teatrale Santacristina
Sino al 26 febbraio 2022

Il fantasma di Benito Amilcare Andrea Mussolini (1883-1945) continua ad aleggiare sul contemporaneo. Perché? Rispondere significa cercare di comprendere il presente nel suo battito profondo, nelle sue paure, nel bisogno di Autorità. È una delle prime affermazioni dello spettacolo: «Guardali: per un uomo avere un Capo è tutto». In 31 quadri tratti dal romanzo di Antonio Scurati M. Il figlio del secolo, Massimo Popolizio intreccia il teatro didascalico-didattico di Brecht e l’imponente visionarietà di Luca Ronconi per costruire una vicenda teatrale nella quale «la chiave di tutto sta nel montaggio» (Programma di sala, p. 10).
Un montaggio che racconta le vicende del fascismo e del suo capo dal 1919 al 1925, a partire dal programma ancora in gran parte socialista di San Sepolcro fino alla seduta del Parlamento del 3 gennaio 1925 durante la quale, assumendosi la responsabilità dell’assassinio di Giacomo Matteotti, Mussolini disse «Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!». Quando un capo di governo arriva a pronunciare parole come queste, è evidentemente sicuro che nulla gli accadrà, come infatti fu, e che anzi da quel momento potrà disporre del potere in piena autonomia, come protagonista, come Attore supremo.
Camillo Berneri, un anarchico che conobbe Mussolini all’epoca in cui questi era socialista, affermò che costui non era fondamentalmente né vile né coraggioso ma che «era capace di coraggio di fronte al pericolo soltanto quando aveva un pubblico cui mostrarsi audace» (Antonio Scurati, p. 17).  Mussolini lo Spettacolo, dunque. 

La tonalità con la quale viene narrato il piano inclinato che portò il fascismo dal completo fallimento elettorale del 1919 alla presa del potere nel 1922 – possibile solo con la piena complicità dei Savoia, della magistratura, dell’esercito, degli industriali- è «una chiave grottesca per uno spettacolo che non è mai ideologico, ma sempre teatrale» (p. 11). Questa affermazione di Popolizio è fondamentale anche perché parziale. La sua messa in scena è certamente grottesca/parodistica; di più – come aggiunge Pavolini – è «una sorta di cabaret espressionista» (p. 18) nel quale la complessità della storia, la tragedia della violenza, la ferrea casualità degli eventi sembrano smarrirsi in una trama puramente spettacolare.
Il regista rivendica l’affrancamento dalla figura di Mussolini, che viene incarnato da un attore non giovane e con la barba bianca (Tommaso Ragno) e, nei momenti più istrionici, dallo stesso Popolizio, i quali interpretano il loro personaggio facendolo parlare sempre in terza persona. Ma Mussolini non è un personaggio qualsiasi. Il suo corpo, la sua fisicità non costituiscono un elemento sostituibile. Mussolini ha bisogno di un corpo, Mussolini è il suo corpo. Dal corpo del capo – cangiante, ridicolo, solenne, dinamico, ammiccante, inquietante – si sprigiona l’aura del potere fascista. E invece Ragno e Popolizio disegnano «un organismo attoriale dove nessuno somiglia nelle fattezze al personaggio storico, ma prova ad impersonarne il destino» (Pavolini, pp. 18-19). Invece che offrire universalità alla messa in scena, questa soluzione ostacola l’empatia che sempre il teatro deve far nascere con il suo oggetto, in modo – come ci ha insegnato Aristotele – da ottenere la catarsi dei sentimenti anche distruttivi che albergano nei suoi fruitori.

È il corpo del duce, dalla bombetta del 1919 all’appeso/capovolto di piazzale Loreto del 1945, a costituire il magnete per le masse. Perché, come ricorda lo storico Marcello Flores, «Mussolini comprende che la società di massa, in Italia, è nata con la guerra, con i contadini-soldati nelle trincee che adesso, reduci, chiedono riconoscimento, integrazione, ricompensa» (p. 21).
Il fascismo è nato dai corpi slanciati e massacrati delle trincee, il fascismo è nato dal Trionfo della Morte del 1914-1918. Ancora Pavolini giustamente scrive che il duce vuole «essere applaudito anche se sta in piedi su una montagna di morti» (p. 19). Il potente infatti è in primo luogo il sopravvissuto, l’unico superstite di fronte alla distruzione dei suoi simili. Il suo trono poggia su mucchi sterminati di cadaveri: «Il più antico ordine – impartito già in epoca estremamente remota, se si tratta di uomini – è una sentenza di morte, la quale costringe la vittima a fuggire. Sarà bene pensarci quando si parla dell’ordine fra gli uomini» (Elias Canetti, Massa e potere, Adelphi 1981, p. 366). Il desiderio di dominare come signore incontrastato su un mondo ridotto al silenzio – rimanendo l’unico ad avere parola e vita – è inseparabile dal timore di poter essere a propria volta ridotti a nulla dalla rivolta di coloro che subivano. Ciò crea la necessità di eliminare il pericolo moltiplicando i cadaveri (in senso letterale ma più spesso traslato). È questa per Canetti la spirale del tutto paranoica del potere.
Canetti disvela la vera e propria natura patologica dell’autorità, nella quale pulsa una volontà di morte che «si trova davvero ovunque, e non è necessario scavare molto nell’uomo per trarla alla luce» (Massa e potere, p. 87). Volontà che in alcuni momenti diventa una cosa sola con il comando. Le epidemie costituiscono uno di questi momenti. Forse l’Ur-Fascismo, il ‘fascismo eterno’, esiste davvero. Sua espressione contemporanea sono il confino (lockdown), l’obbligo vaccinale, i trattamenti sanitari obbligatori (TSO) del tutto arbitrari, la violenza delle polizie contro cittadini inermi, la distruzione delle attività economiche, la devastazione delle comunità, la paura. Le ondate di panico collettivo sono sempre molto pericolose e quella legata alla Sars2 è particolarmente insidiosa anche per la sua dimensione planetaria, globale, dalle conseguenze ambientali assai gravi e intrisa di un asfissiante conformismo.
Canetti ci avverte che l’autorità è sempre potenzialmente paranoica e quando i suoi ordini riguardano la ‘salute’ diventa folle e contraddittoria. Contro tutto questo, il pensiero e la pratica libertari costituiscono una preziosa alternativa, un necessario vaccino. L’epidemia conferma infatti quanto con metodi diversi Elias Canetti e Philip Zimbardo hanno ben mostrato: è sufficiente far indossare una divisa a un essere umano (o dargli in mano un dispositivo di controllo del cosiddetto Green Pass) e le probabilità che costui si faccia prendere dal delirio di onnipotenza e dal sadismo (sempre strisciante nel corpo sociale) diventano molto alte. I decisori politici – sia centrali sia periferici – hanno creato una situazione nella quale tale patologia è dilagata.

L’immagine conclusiva di M. Il figlio del secolo appare quando lo spettacolo è finito e gli attori ricevono gli applausi. La foto in bianco e nero raffigura alcuni ragazzi che indossano delle maschere chirurgiche. Non si comprende se l’immagine si riferisca al presente, al Ventennio fascista, ad altre epoche ma costituisce una raffigurazione inquietante dell’oggi nel quale il fantasma di Benito Amilcare Andrea Mussolini continua ad aleggiare in altri nomi, con altre movenze, in corpi diversi ma altrettanto forieri di morte.

Giornalisti

Illusioni perdute
(Illusions Perdues)
di Xavier Giannoli
Francia, 2021
Con: Benjamin Voisin (Lucien), Cécile De France (Louise), Xavier Dolan (Nathan), Vincent Lacoste (Etienne Lousteau), Salomé Dewaels (Coralie), Gérard Depardieu (Dauriat), Jeanne Balibar (Marquise d’Espard)
Trailer del film

Per Marcel Proust il miglior romanzo di Balzac è Illusions Perdues. La continuità tra questo libro e la Recherche è evidente nella narrazione dei fasti delle aristocrazie, nell’importanza dei titoli nobiliari, nel rapporto complesso con le borghesie in ascesa. E soprattutto nella profonda consapevolezza che dentro il turbine delle ambizioni, degli amori e delle passioni, tutto è Havèl havalím, vanità delle vanità o -come traduce Guido Ceronetti- «fumo di fumi / dice Qohélet / Polvere di polveri / tutto fumo / polvere» (Qohélet o l’Ecclesiaste, Einaudi 1988, 1,2, p. 3).
Balzac non è soltanto un romanziere ma è anche uno dei più attenti sismografi del suo tempo (e del nostro), un autentico sociologo che ha la piena consapevolezza di come dopo l’Ottantanove e Napoleone, la storia stia rapidamente inclinando verso il dominio di qualcosa che gli umani utilizzano da millenni -ciò che Marx chiama l’«equivalente generale», il denaro- ma che adesso assume le forme nuove dell’informazione, della stampa, dei giornali, dei capitali. E infatti Lucien de Rubempré (nome musicalissimo) arriva a Parigi dalla provincia come protetto e innamorato di una nobildonna delle sue terre. Che però a Parigi non può più frequentarlo. La ferita è profonda. La disperazione si volge in volontà di affermarsi in ciò che Lucien meglio sa fare: scrivere. Ma il ragazzo scrive poesie, un genere che nessuno più compra, che nessuno più vende. La sua intelligenza si pone dunque al servizio dei giornali che esaltano o stroncano spettacoli teatrali, opere musicali, romanzi, attori, carriere, politici, uomini pubblici. Esaltano o stroncano in relazione a chi paga meglio, a chi ricambia con favori di carriera, di potere, di denaro. Agiscono dunque allo stesso modo del personaggio che con la sua claque vende applausi e fischi nei teatri, determinando il trionfo o la rovina di attori e impresari.
Balzac è del tutto consapevole che «necesse est enim ut veniant scandala, ‘è inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale lo scandalo accade!’» (Mt, 18,7 e Lc., 17,1). Gli scandali, le ‘polemiche’ sono necessari agli ambiziosi per farsi conoscere, alla stampa per vendere, al pubblico per guardare dal buco della serratura le vite degli altri. Balzac è del tutto consapevole persino del potere della pubblicità, che comincia a riempire i giornali e per la quale le aziende pagano bene, riempiendo di sé la ‘carta stampata’. L’obiettivo dell’informazione è dunque vendere in modo da poter aumentare le tariffe delle ‘inserzioni pubblicitarie’.
Un piano inclinato che conduce le aziende, gli affaristi, le banche, ad acquistare direttamente i giornali, le informazioni, le notizie e i giornalisti. Basti pensare che, in Italia, la Repubblica e La Stampa appartengono entrambi al gruppo Agnelli e Il Corriere della Sera è di proprietà di Urbano Cairo, ottimo sodale degli Agnelli. Gli scandali, le ‘polemiche’ sono necessari agli ambiziosi per farsi conoscere, ai siti e agli influencer per vendere, al pubblico di Internet per guardare dal buco della serratura le vite degli altri.
Ossessiva è in Balzac, e nel bel film che Xavier Giannoli ne ha tratto, la presenza del denaro, della cartamoneta, dei capitali. Il Narratore a un certo punto dice che «può darsi persino che un banchiere diventi un politico». In Italia e in Francia, ma non solo, i banchieri del XXI secolo sono direttamente diventati capi del governo. I quali negli ultimi due anni hanno letteralmente comprato l’informazione relativa all’epidemia Sars-COV-2 elargendo centinaia di milioni a giornali, televisioni, radio in cambio dell’inserimento di pubblicità governativa travestita da notizia dei telegiornali e degli articoli di giornale, come è consuetudine da parte di molte aziende ma come è evidentemente assai grave da parte dei governi su questioni quali la salute.
Le illusions perdues dei cittadini camminano parallele ai conti correnti dei giornalisti. Chi è più sciocco, il bugiardo o colui che al bugiardo crede?

Paure e razionalità

Pubblico qui due documenti.
Il primo è una Lettera inviata agli attuali Presidente del Consiglio e Ministro dell’Università da parte di più di un migliaio di docenti e membri del personale tecnico-amministrativo degli Atenei italiani (il cui numero va crescendo in questi giorni). Il testo si compone di 8 pagine; le ultime due sono costituite da una parte della bibliografia scientifica utilizzata per la stesura del documento. Riporto qui alcuni brani, consigliando naturalmente la lettura integrale della Lettera, la quale può essere scaricata e sottoscritta al seguente indirizzo:

Universitari e Ricercatori contro il GreenPass. Lettera aperta al Presidente del Consiglio

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Rileviamo anzitutto che non vi sono basi scientifiche per questo ennesimo inasprimento delle politiche di contenimento della pandemia e non possiamo non esprimerci relativamente alle fortissime implicazioni psicologiche, etiche, giuridiche ed economiche che questo approccio alla pandemia sta avendo sul nostro tessuto sociale e civile. Osserviamo inoltre con estrema preoccupazione l’escalation di violenza verbale e attacchi pretestuosi verso la minoranza di coloro che per vari motivi, tra cui considerazioni di tipo sanitario, hanno scelto di non vaccinarsi.

Considerati questi dati epidemiologici essenziali, l’obbligo vaccinale per gli over 50, o per particolari categorie di lavoratori, appare una misura di cui si fatica a comprendere la reale necessità.

Va altresì considerato che i vaccini attualmente somministrati sono farmaci la cui autorizzazione all’immissione in commercio è avvenuta in via “condizionata” e temporanea, sulla base del Regolamento della Commissione Europea n. 507/2006 del 29 marzo 2006, che si applica espressamente ai «medicinali» per i quali «non siano stati forniti dati clinici completi in merito alla sicurezza e all’efficaci (art. 2 e art. 4, n. 1, del regolamento), e che le evidenze scientifiche circa l’efficacia e la sicurezza della somministrazione di dosi booster a distanza ravvicinata sono scarse, ma già preoccupanti.

Un altro aspetto critico della campagna vaccinale è quello relativo alla comunicazione, che è stata estremamente variabile e incoerente: dalla promessa dell’immunità di gregge si è passati all’evidenza che il vaccino non protegge dal contagio; da un solo ciclo vaccinale si è passati alla necessità di una terza dose e forse una quarta, con tutti i pericoli che la somministrazione ripetuta del vaccino rappresenta per l’incolumità fisica dei soggetti trattati.

Con specifico riferimento alla vita della comunità universitaria, dobbiamo inoltre rilevare che l’applicazione del Decreto Legge è destinata inevitabilmente ad alimentare conflitti e discriminazioni. La nuova normativa, infatti, impedirà di lavorare e di percepire lo stipendio a chi sceglierà di non vaccinarsi o di non completare il ciclo vaccinale, introducendo di fatto una sanzione che non trova precedenti nel nostro ordinamento. Questa sanzione produrrà gravi ripercussioni sociali e psicologiche, che incideranno sulla vita individuale e familiare dei lavoratori sospesi, incluse persone al termine della loro carriera lavorativa, oltre ad avere ricadute sulla formazione degli studenti, sulla ricerca e sull’attività culturale e amministrativa dei nostri atenei. Singolare dal punto di vista giuslavorista appare poi la possibilità che i lavoratori strutturati sospesi possano essere sostituiti da lavoratori precari, ai quali sarà richiesto, se di età non superiore ai 50 anni, il Green Pass semplice, acquisibile, come era finora anche per il personale strutturato, mediante il semplice tampone.

Riteniamo che la sospensione dal lavoro e la perdita del sostentamento economico, come conseguenza dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, rappresenti un’imposizione sproporzionata e ingiustificata dal punto di vista sanitario e che, in quanto tale, debba essere portata all’attenzione della Corte Penale Internazionale come atto persecutorio nei confronti di un gruppo sociale, in questo caso identificabile dal suo status vaccinale (art. 7 dello Statuto di Roma).

Riteniamo particolarmente grave, infine, obbligare gli studenti ad esibire il Green Pass per poter partecipare in presenza alla vita universitaria. Ai fini della salvaguardia della salute di tutti, la distribuzione gratuita di test rapidi antigenici, anche salivari, che sono in grado di rilevare con elevata sensibilità non tanto la positività quanto la contagiosità degli individui, pare assai più efficace come misura di tutela della salute delle comunità universitarie.

In questa prospettiva, auspichiamo che Lei, signor Presidente del Consiglio dei Ministri, voglia prendere urgentemente in considerazione la necessità di ritirare il suddetto Decreto, allo scopo di restituire agli atenei l’universalità e la pluralità di pensiero, che è alla base dello stesso concetto di universitas, e di salvaguardare i principi e i valori su cui si fonda la nostra società, in nome di quanti hanno contribuito alla loro affermazione e di quanti hanno il diritto inalienabile a costruirvi la propria felicità.

Versione pdf della Lettera
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Il secondo documento è un saggio del Prof. Guido Nicolosi, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali di Unict.
Il testo si intitola Communication, Fear and Collective Trauma in first Wave Covid-19.“Double Epidemic” in Italy: traces and clues.
Uno degli argomenti è l’infodemia che ha colpito in particolare l’Italia. È stato pubblicato su Studia Humanitatis Journal, 2021, 1 (1), pp. 103-126.

Questo è l’abstract:
«The Coronavirus epidemic has demonstrated just how unprepared our societies were for an occurrence of this kind. On March 2020, the Italian government was in fact the first in Europe to implement a strategy of lockdown on the whole national territory, not just in the areas where outbreaks occurred. The coronavirus crisis was concentrated in a specific area: in particular, the region of Lombardy and some isolated provinces in the north of Italy. So, Italy has suffered a “double” epidemic, but the strategy adopted was uniform and radical. This contribution does not focus on the effectiveness of the Italian strategy per sè . The aim is rather to analyse the Italian Case from the point of view of media and institutional communications with the intention of bringing to light some critical issues. Particularly, here it is posited that emergency  ommunication produced during the “first wave” of pandemic has significantly contributed to fostering a climate of anxiety and collective fear with possible traumatogenic consequences. Within an emergency context, communication can be the thin boundary line between collective trauma and resilience and covid 19 pandemic was also a public communication crisis. This essay tries to analyse some traumatogenetic issues of institutional and media communication during the coronavirus crisis in Italy. Below a non-exhaustive list of these issues: A dramatic center-periphery coordination deficit; Wavering institutional communication; The “numerological” hegemony”; The absence of an “exit strategy”».

Il saggio, scritto in modo chiaro e vivace, merita di essere letto per intero. Anche in questo caso segnalo alcuni brani.
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As predicted by The Lancet, Italy had to face an infodemic crisis and a pandemic information overload. This has been widely confirmed by our routine research activity. In the absence of effective, professional institutional direction, the media did not hesitate to dramatize the narration of events for their own interest (audience), with massive coverage which was at times emphatic, others schizophrenic (alternating reassurances with alarmism). On occasions they might even be accused of foul play, with headlines for effect and news which was only partially true.

In other words, in order to convince the population to live under a regime of quarantine for an indefinite period, the government used a “strong” (alarmistic) communicative register.

The main traumas registered today by psychologists are the following:

▪ Isolation, with repercussions on somatic levels and reduced resilience;

▪ Symptoms of depression (loss of motivation, self-esteem, physical and cognitive fatigue);

▪Violence and aggression (an increase in domestic violence and conflicts between individuals was registered);

▪ Paranoid suspicion (search for the plague spreader);

▪ Sense of incoherence;

▪ Individual and social control;

▪ Technological overdose;

▪ Compromised development and growth in minors.

Nevertheless, the rite can have a dangerous, consolatory function (Gugg, 2014), because it can give a community the illusion of being immune to a successive disaster and generate a false sense of security. Or, rites can serve to remove the community’s sense of guilt by attributing the causes of the disaster to scapegoats. Or to re-establish the pre-existent social order (resilience) without reflexively reasoning on the political and social responsibilities and on the possible and necessary changes.
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I pdf contengono le mie sottolineature ed evidenziazioni. I due testi confermano che è possibile, solo che lo si voglia, osservare in modo razionale quanto sta accadendo da due anni; riflettere con attenzione sulle cause e sulle conseguenze della gestione politica dell’epidemia; evitare comportamenti irrazionali, fanatici, fideistici. Si può insomma, se lo si vuole, rimanere persone sensate, critiche, libere.

Post scriptum
Un collega che riceve gli aggiornamenti su ciò che pubblico sul sito mi ha scritto questo:
«grazie, confermando il mio dissenso…»
Gli ho chiesto: «Hai letto i due testi?»
La risposta è stata questa:
«conosco le ragioni, che non riesco a condividere. Sono prevenuto e quindi non li leggo neppure».
Ecco un esempio di «comportamento irrazionale, fanatico, fideistico» e certamente non consono a un professore, a un intellettuale, a uno studioso.

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