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Pina

Pina
di Wim Wenders
Germania, 2011
Trailer del film

«Ich würde nur an einen Gott glauben, der zu tanzen verstünde» (“Potrei credere solo a un Dio che sapesse danzare”, Così parlò Zarathustra, Libro primo, “Del leggere e dello scrivere”). Facile citazione, quando ci si riferisce a Pina Bausch (1940-2009). Ma citazione necessaria. La sua opera è il sacro che diventa movimento, è la grande malinconia della vita che si fa danza. È una bellezza pura, silenziosa, ma nella quale il corpo disegna parole, si fa linguaggio. C’è molta solitudine nella coreografia di Pina Bausch. Il corpo prende se stesso, afferra i propri arti e li sposta di qua e di là, si accarezza, si stringe. E poi cerca, disperatamente, un contatto con gli altri corpi. L’incontro avviene in una stupefacente leggerezza, come se l’aria abbracciasse se stessa. E sedie, prati, luoghi partecipano a questa danza che il corpomente scolpisce nello spazio, come un arabesco della memoria e dell’attesa.
A questo movimento Wim Wenders ha offerto la propria meditazione cinematografica, facendo parlare gli artisti che hanno interpretato i lavori di Pina, che l’hanno amata e perduta. E facendo parlare soprattutto i loro magnifici corpi d’aria e di canto. Un sorriso compare alla fine. Sorriso dionisiaco e calmo.

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